COORDOWN: L’AMORE HA BISOGNO DI SPAZIO

La campagna CoorDown per il diritto delle persone con sindrome di Down a vivere una relazione sentimentale e una vita sessuale indipendenti

“Just the two of us, we can make it if we try”. “Solo noi due, possiamo farcela se proviamo”. La canzone resa famosa da Grover Washington Jr. e Bill Withers è il tema dello spot che fa da centro alla nuova campagna CoorDown, che ci vuole raccontare che “l’amore ha bisogno di spazio”. La campagna  CoorDown Just The Two Of Us è stata lanciata in occasione della Giornata Mondiale sulla sindrome di Down, il 21 marzo 2022 per promuovere il diritto delle persone con sindrome di Down di vivere una relazione sentimentale e una vita sessuale indipendente e di ricevere informazioni corrette e accessibili per godere appieno di una sana e libera sessualità. Il film di lancio della campagna, in uno stile grottesco e ironico, racconta come le famiglie possano diventare una presenza ingombrante nella vita delle persone. In scena vediamo spesso dei primi piani di due ragazzi con sindrome di Down che in vari momenti della loro vita sentimentale. Subito dopo, la macchina da presa allarga il campo visivo, o il montaggio introduce una scena in campo lungo, e noi capiamo che, accanto ai ragazzi, ci sono sempre le loro premurose, invadenti, e numerose famiglie. È un’iperbole, un modo esagerato di mostrare quello che però accade davvero tutti i giorni nelle vite di questi ragazzi. Cioè un’eccessiva protettività delle famiglie. Ed è una comunicazione di grandissima efficacia, in grado di andare dritta al punto e far capire in maniera immediata di che cosa stiamo parlando. La campagna è stata curata da Luca Lorenzini e Luca Pannese, oggi direttori creativi esecutivi dell’agenzia SMALL di New York, e il film “Just The Two of Us”, diretto da Martin Romanella e Augusto Gimenez Zapiola, con la direzione della fotografia di Marcello Dapporto, è prodotto da Indiana Production. A supporto della campagna è stato realizzato un sito che offre informazioni e risorse sul tema della sessualità delle persone con sindrome di Down e disabilità intellettiva.

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Falugiani: «Il ragazzo con sindrome di Down è una persona a 360 gradi, nasce, fa il suo percorso, ama e ha diritto a scegliere il proprio compagno o la propria compagna, e a vivere la vita adulta»

Sognare cose meravigliose, come qualsiasi altra coppia

I protagonisti della campagna sono Kenya Koene e Liam de Waele, due giovani olandesi di 20 e 21 anni, che si sono conosciuti sul set di una web serie e stanno insieme anche nella vita. Lavorano entrambi in una mensa. Lei pratica fitness ed è una ballerina con ben 4 titoli nazionali, lui appassionato di vlogging, pratica basket, il fitness, lo sci, lo snorkeling. Entrambi hanno già diverse esperienze come modelli e attori. Quello che ci piace è che questi due ragazzi sono una storia vera. Da qualche giorno, sui propri profili social, CoorDown ha iniziato a presentare una serie di storie di persone con sindrome di Down che hanno voluto condividere la loro idea dell’amore.

Tathi e Vinicius sono entrambi brasiliani, hanno 34 e 37 anni e il loro è un grande amore. «L’amore è quando vedi fiducia e determinazione negli occhi dell’altro» racconta lei. «L’amore è più della relazione tra due persone: è essere maturi, responsabili. Non voglio più stare lontano da lui. Stiamo per sposarci, e questo è stimolante. Spero che porterà a me e a Vinicius cose meravigliose, come a qualsiasi altra coppia». Elisa, 27 anni, e Roberto, 44 anni, sono una coppia felice. Lui vive a Cagliari e lei a Quartucciu. Il loro amore è sbocciato durante una trasferta con la squadra di volley integrato nel giugno del 2019. Nonostante le restrizioni della pandemia, nel weekend passano il loro tempo libero insieme, vanno al mare e a spasso nella natura. Progettano una vita insieme senza lasciarsi scoraggiare da impedimenti che possano ostacolare il loro sogno. «Per la nostra vita di coppia desidero formare una famiglia come fanno tutte le altre coppie, avere una casa tutta nostra» dice lei. «Per me l’amore è amare per sempre Elisa» racconta lui.

Stessi desideri, stessi sogni di ognuno di noi

Abbiamo parlato con Antonella Falugiani, Presidente di CoorDown ODV, partendo dall’immediatezza della campagna per addentrarci poi nella complessità del problema. «Abbiamo giocato sul paradosso» ci ha spiegato. «Il film accentua molto quello che in realtà è generalmente il comportamento della famiglia, quello di un’eccessiva protezione, di un essere sempre presente anche in momenti meno opportuni. Questo ha fatto sì che il film fosse abbastanza ironico, e ci ha permesso giocare su questo nostro modo di essere. La nostra modalità spesso è molto invadente. E allora serve un segnale per dire: forse è meglio se qualche volta lasciamo i ragazzi da soli per poter vivere la propria intimità, così come tutti». «Le persone con sindrome di Down hanno un cromosoma in più, ma sono persone. Quindi hanno esattamente tutti i desideri, i sogni e le necessità di qualsiasi persona. Non è la sindrome di Down che li esime dall’avere un rapporto affettivo o sessuale perché hanno un cromosoma in più. Sono persone. Persone che hanno sicuramente bisogno di essere supportate in questo percorso. È questo che manca».

Una cultura da cambiare

Quando si parla di sessualità nelle persone con disabilità intellettiva, l’Italia è il fanalino di coda dell’Europa. «Noi, dopo 10 anni di campagne, abbiamo deciso di affrontare questo tema perché forse era il momento» riflette Antonella Falugiani. «Se 10 anni fa fossimo partiti con questa campagna non avremmo potuto portarla avanti. CoorDown ha un progetto per proseguire, un programma per poter aiutare i ragazzi le famiglie e gli operatori a seguire questo percorso. Per i nostri figli, fin fa piccoli, insistiamo sulla riabilitazione precoce, il linguaggio, la logopedia, il progetto di vita, la scuola, le autonomie, imparare a spostarsi da soli, il lavoro, la vita indipendente. E magicamente ogni volta saltiamo il tema dell’affettività e della sessualità». «Il ragazzo con sindrome di Down è una persona a 360 gradi, nasce, fa il suo percorso, ama e ha diritto a scegliere il proprio compagno o la propria compagna, e a vivere la vita adulta» continua. «Spesso le persone con sindrome di Down sono considerate degli eterni bambini. Ma questa è un po’ una conseguenza della società che parte dalla famiglia, dall’atteggiamento protettivo della famiglia che poi porta a trattare la persona con approcci un po’ troppo infantili. È una cultura che deve essere comunque, anche se gradualmente, cambiata. Abbiamo deciso di fare questo percorso consapevoli delle conseguenze».

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CoorDown intende lavorare a formare professionisti che accompagnino la famiglia, la persona e gli operatori

Meno occasioni per sperimentare

È perfettamente comprensibile che una famiglia si senta in dovere di proteggere e di accompagnare i propri figli, ad essere protettiva, ad avere paura delle prime esperienze sentimentali. In fondo si tratta di qualcosa che è universale, che capita a tutto noi genitori. Ovviamente, sapere di avere un figlio più fragile può spingere questo atteggiamento verso l’iperprotettività. Ma l’educazione sessuale è qualcosa che serve, e servirebbe a tutti. «È qualcosa di trasversale» fa notare Antonella Falugiani. «Anche oggi nella scuola la famosa educazione sessuale non c’è, a prescindere l’adolescente si trova nella situazione di non conoscenza. Se un ragazzo non ha particolari problematiche, non ha un ritardo cognitivo, le sue esperienze le fa da solo. I nostri figli hanno molto meno occasioni per sperimentare, anche di fare esperienze con fidanzatini o fidanzatine. Proprio perché culturalmente non siamo ancora pronti. Quando uniamo disabilità e sessualità c’è un pochino da lavorare. È chiaro che la possibilità di sperimentare ti fa crescere, ti fa capire quale persona è quella giusta per sé. Questa impossibilità poi genera tutta quella serie di problematiche che viviamo tutti i giorni. Se sarà la fidanzata o il fidanzato giusto lo possiamo scoprire solo frequentandosi. Possiamo essere noi genitori a scegliere il fidanzato o la fidanzata di nostro figlio o di nostra figlia?» «C’è la necessità di arrivare gradualmente a far sì che il percorso di crescita sia come tutti, come lo facciamo per la scuola, per le autonomie» aggiunge.

«Occorrono persone preparate: è uno dei nodi su cui bisogna lavorare tanto. Perché non può essere sempre compito della famiglia, così come può non esserlo nel caso di figli che non hanno disabilità intellettiva. Spesso il tema è un tabù in famiglia a prescindere. Difficilmente se ne parla, e quasi mai i figli che non hanno una disabilità esprimono o raccontano. I nostri ragazzi invece lo chiedono e siamo noi a dover accogliere questa richiesta. CoorDown li ha ascoltati, e cercherà di lavorare su questo per riuscire a formare dei professionisti che possano accompagnare la famiglia la persona e gli operatori a far sì che la sessualità sia un diritto e alla possibilità di scegliere la propria sessualità».

Né angeli asessuati né persone incapaci di gestire le proprie pulsioni

Le storie che vi abbiamo riportato sopra, diffuse sui social, sono un esempio importante, dimostrano che due persone possono avere una piena realizzazione dei loro desideri. «È fondamentale proprio perché la famiglia inizia a domandarsi cosa si può fare per aiutare il proprio figlio a vivere la propria esperienza» spiega la presidente. «La sessualità è la cosa più naturale di questo mondo per tutti noi. I nostri figli non sono né angeli asessuati né persone incapaci di gestire le proprie pulsioni, sono persone che vanno aiutate altrimenti questa sessualità si può esprimere in maniera inadeguata e in luoghi inopportuni. Ma questa è una responsabilità nostra, aiutarli a capire dove e come viverla».

Abbiamo lasciato i ragazzi liberi di raccontarsi 

Non sono mancate, com’era lecito attendersi, anche delle reazioni negative alla campagna. «Ce lo aspettavamo proprio perché l’Italia purtroppo vive come un tabù questo tema altrimenti non saremmo il fanalino di coda dell’Europa» ci spiega Antonella Falugiani. «Ha dato fastidio il raccontarsi di alcuni ragazzi. Ma, nel rispetto di ciascuno, se un ragazzo decide, anche per essere utile ad altri e aiutare la società a fare questo piccolo passo culturale, di raccontare la propria storia ha tutto il diritto di farlo, di essere rispettato, così come chi non ha voglia di raccontare non la racconta. Non abbiamo obbligato nessuno, ma abbiamo lasciato liberi di raccontare consapevolmente, proprio per fare il primo passo». «Come tutte le strade in salita, sappiamo che non sono facili, e che ci sono i primi pionieri» conclude. «Ma la salita ci porta veramente alla speranza di poter raggiungere una vetta dove poter vedere tutto in maniera molto chiara».

 

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