
CARCERE, IL BILANCIO NERO DEL 2025
Con il garante delle persone private della libertà personale del Lazio Stefano Anastasia e il presidente dell’associazione Conosci, Sandro Libianchi, una fotografia del sistema penitenziario italiano nell’anno che volge al termine e delle priorità da affrontare per il 2026. Il garante: «Si chiude un anno di morte e disperazione»
31 Dicembre 2025
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I tassi effettivi di affollamento degli istituti di pena hanno raggiunto il 139% nell’intero Paese e il 149% nel Lazio. Secondo gli ultimi dati pubblicati dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria – Dap e riferiti a fine novembre, i detenuti in tutta Italia erano 63.868 mentre nel Lazio 6.702. «Considerando una capienza effettiva pari a 46mila posti in Italia e 4.485 nel Lazio, i tassi effettivi di affollamento hanno raggiunto il 139% nell’intero Paese e il 149% in regione», dice Stefano Anastasia, Garante delle persone private della libertà personale del Lazio. «Rispetto all’inizio del 2025 la popolazione detenuta è cresciuta di circa duemila unità in tutto il Paese, un più 3,1%. In regione, invece, i numeri di fine novembre sono sostanzialmente simili a quelli di inizio anno, ma bisogna considerare che nel mese di ottobre si è reso necessario trasferire fuori regione un numero consistente di detenuti sfollati dal carcere di Regina Coeli dopo il crollo di una parte del tetto della seconda rotonda».
Nel Lazio +19% persone sottoposte a misure penali restrittive della libertà personale
Il Lazio risulta tra i territori con i più alti tassi di affollamento accanto ad altre cinque regioni (Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia-Giulia Puglia e Basilicata) nelle quali si registrano indici superiori al 150%. «Parallelamente e in combinazione agli incrementi della popolazione detenuta va registrato anche l’aumento delle persone sottoposte a misure penali alternative al carcere che, a metà del mese di novembre, ha superato la soglia delle 100milaunità attestandosi al 100.699 in tutta Italia: circa 7mila in più da inizio anno. Nel Lazio le persone che si trovano in queste condizioni sono 7.535; a fine dicembre dello scorso anno erano 6.325. Incrementi – del 7,7% nel Paese e ben del 19% in regione – che risultano piuttosto anomali alla luce dei dati del Ministero dell’Interno, elaborati dal Censis e presentati a inizio dicembre nel Rapporto sulla situazione sociale del Paese, dai quali emerge che nel primo semestre del 2025 si è registrata una diminuzione complessiva del 5% dei reati denunciati rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Un anno di morte e disperazione
Le notizie di questo periodo sono tragiche. «A metà dicembre è morto un detenuto al Policlinico di Tor Vergata, che è stato ricoverato prima all’Umberto I e poi in riabilitazione per un’aggressione subita in carcere alcuni mesi fa. E ancora, si è suicidato un uomo a Viterbo ed è morta una donna a Rebibbia femminile». La causa di questo decesso sembrerebbe essere un’overdose. Dopo quest’intervista, un altro suicidio di un detenuto a Lecce ha fatto aumentare il numero dei suicidi del 2025 a 76 (dati del dossier Morire di carcere di Ristretti orizzonti. «Si sta chiudendo ancora un anno di morte e disperazione, nelle carceri italiane e nelle carceri del Lazio, che hanno un tasso di affollamento superiore alla media nazionale, dove le condizioni di disagio si avvertono più forte che altrove», continua Anastasia. «In questa situazione, non solo non c’è un’iniziativa adeguata da parte del Governo, ma l’amministrazione penitenziaria sembra tutta chiusa in se stessa a porre norme che rendono più difficile il lavoro degli operatori, dei volontari e anche la vita dei detenuti. In questo momento, con questo sovraffollamento, bisognerebbe sospendere la circolare Renoldi che prevede che i detenuti, nei momenti di socialità, non possano stare fuori dalla cella», continua Anastasia. «Le stanze di socialità oramai vengono utilizzate, spesso, per ospitare detenuti che non hanno letti, non c’è più posto. Almeno si dovrebbe consentire ai detenuti che stanno in 6-8 in una cella di uscire e stare in corridoio. Il ministero di Giustizia è stato sanzionato quasi 6mila volte, da parte dei magistrati di sorveglianza solo per le istanze accolte di risarcimento per le condizioni disumane».
A Latina il carcere laziale con il più alto tasso di affollamento
«Sono stato di recente nelle carceri di Cassino e Latina, quest’ultimo è l’istituto di pena laziale che ha il più alto tasso di affollamento». Sono 146 i detenuti presenti al 13 dicembre 2025, a fronte di 77 posti disponibili (dati del ministero della Giustizia). «È un piccolo carcere in cui ci sono tante persone che vengono arrestate quotidianamente, c’è un’attività abbastanza intensa da parte delle forze dell’ordine e il risultato è che le camere detentive sono tutte in violazione delle norme stabilite dalla Cassazione della Corte europea dei diritti umani. A Latina ho trovato detenuti che stanno sulla terza branda dei letti a castello», continua il garante. «Un detenuto che aveva esperienza professionale in materia, ha detto che per salire sulla terza branda, secondo le norme sulla sicurezza sul lavoro, dovrebbe usare il caschetto, bisognerebbe essere attrezzati. È una situazione ingovernabile. A Cassino mi è stato detto che, essendo in sei in ogni stanza e in violazione dei limiti di presenza stabiliti dalla Cassazione della Corte europea dei diritti umani, nelle quattro ore pomeridiane di socialità, in cui dovrebbero poter stare fuori dalle stanze, l’unica possibilità che hanno è quella di andare in un’altra camera detentiva. Ma, essendo anche lì in sei, posso farlo solo con uno scambio di camera. La socialità è diventata un ballo della quadriglia, per poter uscire dalla propria camera per alcune ore al giorno». La priorità del 2026 da cercare di risolvere? «Sicuramente ridurre i numeri. Abbiamo oggi gli stessi detenuti che avevamo quando siamo stati condannati, nel 2013, dalla Corte europea dei diritti umani, la differenza è che allora la popolazione detenuta era già in diminuzione, invece ora è in crescita. La situazione non può che peggiorare».

Aumento degli eventi traumatici da caduta
«Nonostante una situazione immutata per commissione di reati e incarcerazioni, ormai da diversi anni il numero delle persone in carcere, tra gli adulti e tra i minori, ha sempre più una tendenza ad aumentare, mentre il numero dei posti disponibili diminuisce», dice Sandro Libianchi, presidente dell’associazione CONOSCI, il Coordinamento nazionale degli Operatori per la Salute nelle Carceri Italiane. Libianchi ha lavorato più di 30 anni a Rebibbia, come dirigente medico. «La mia è stata in tutti questi anni una sfida e io di fronte alle sfide mi ci butto a capofitto». Conosci tutela i sistemi di assistenza della salute negli ambienti di riduzione delle libertà personali, per le persone detenute, per gli operatori, per la Polizia penitenziaria, per gli operatori della sanità e per gli amministrativi. Nelle carceri italiane, sono 63.868 le presenze, ma sono 51.275 i posti disponibili, senza tenere in conto i circa 4.500 posti inagibili costanti nel tempo (dati del ministero della Giustizia, al 30 novembre 2025). «Siamo ritornati alla situazione di parecchi anni fa, si utilizza il terzo piano dei letti a castello. E guarda caso, negli istituti di pena sono aumentati gli eventi traumatici da caduta dal letto. Consideriamo che le persone detenute, che hanno il posto letto al terzo piano, possono essere in astinenza, in terapia psichiatrica. Cadendo da lassù, si fanno veramente male».
La carenza di scorte
«Quest’anno non abbiamo visto provvedimenti in questo settore, solo promesse e diminuzione dei posti disponibili là dove le pene brevi potrebbero essere convertite in pene domiciliari. C’è una volontà politica molto specifica di non essere clementi in nessun modo», continua Libianchi. «L’assetto organizzativo delle Asl e delle regioni fa sì che ci siano aree problematiche, non remunerative, non gradite e il settore penitenziario è una di queste. È uno degli effetti del trend privatistico che c’è nella sanità. E si innescano carenze nella giustizia, molte visite specialistiche saltano per problemi di disponibilità dei nuclei di scorte e traduzioni, che di fatto decidono sulle carenze in un tale giorno, spesso gli agenti devono accompagnare le persone detenute in tribunale anziché in ospedale. Viene chiesto ai medici quali sono le visite irrinunciabili, ovviamente questi rispondono che sono tutte importanti. Il più delle volte gli agenti devono decidere in proprio, la scelta cade spesso sui tribunali», prosegue. «Tra un’udienza e una visita specialistica, quest’ultima viene messa in second’ordine. Lo stesso accade per i ricoveri programmati in chirurgia, ortopedia, Ginecologia, medicina. Un piantonamento in ospedale, mediamente, impegna circa due persone a turno per tre turni, per 24 ore, sono sei persone per giorno e notte finché la persona è in regime di ricovero. Le sollecitazioni che vengono esercitate sui medici per dimettere le persone sono sempre presenti, come se il tempo delle dimissioni fosse opinabile».
Ritardi nelle visite, negli esami, nelle operazioni
«Quando i ricoveri e le visite specialistiche non vengono effettuati, ci sono situazioni anche gravi. Tutti gli anni circa 90-100 persone muoiono in detenzione. Non si tratta di suicidi, ma di morti per altre cause legate alla salute. Morti in stato di detenzione, quindi il dato che abbiamo di morti in carcere è molto sottostimato: appena varchi la soglia del carcere la morte non è considerata nell’istituto penitenziario, anche se il malore o il tentato suicidio sono avvenuti in carcere», continua Libianchi. «Ma non ha senso, se si muore immediatamente o dopo tre ore di ricovero è comunque una morte in stato di detenzione. Una delle proposte che stiamo avanzando da tempo è che, sulle cartelle cliniche ospedaliere, venga inserito lo stato giuridico del momento, una casella “detenuto” in cui mettere una crocetta. Se potessimo contare su questo dato, potremmo vedere quanto realmente incide il fenomeno della mortalità nel settore penitenziario, ma anche quanti sono i ricoveri e le diagnosi di ricovero. Andrebbe però modificato tutto il sistema software degli ospedali italiani», prosegue Libianchi. Un altro problema è la rilevazione dello stato di salute delle persone. «L’unica rilevazione seria, affidabile ed estesa su circa 15mila persone detenute è stata fatta con l’Osservatorio regionale della Sanità della regione Toscana, 10 anni fa. Ancora oggi usiamo quei dati perché furono raccolti in maniera molto precisa. In teoria, le Regioni dovrebbero raccogliere questi dati, ma non lo fa quasi nessuno o lo si fa in modi diversi, con software che non dialogano tra loro. Non c’è invece un software unico, che permetta anche di programmare gli investimenti. Così si procede “alla cieca” con progettazioni e organizzazione locali».
Quelle raccolte di dati che non ci sono
D’estate le carceri sono bollenti, per il caldo asfissiante, d’inverno spesso ci sono problemi per il non funzionamento dei termosifoni. «Registriamo lamentele sporadiche, ma non sappiamo nel complesso qual è la situazione. Anche qui: i dati danno molto fastidio e non si raccolgono in maniera analitica», continua Libianchi. Un altro problema importante è legato ai progetti: «Registriamo in Italia una certa quantità non trascurabile di progetti portati avanti in carcere e che riguardano aree multiple, come aspetti educativi, formativi, lavorativi, di prevenzione. Il punto chiave è che è più importante fare il progetto che non vedere cosa ha prodotto o l’esito. Nelle carceri italiane c’è poi, un po’ il “vizio” di inaugurare: c’è un istituto di pena italiano il cui settore sanitario è stato inaugurato cinque volte», dice Libianchi. «Un esito positivo di un progetto è importante perché, sulla base delle osservazioni che si fanno a fine progetto, sarebbe possibile metterlo a regime, continuare ad acquisirlo nella struttura e anche replicarlo, diventerebbe esportabile in altre strutture penitenziarie».
Una delle priorità: un intervento di polizia giudiziaria
Nelle carceri italiane, qual è la priorità assoluta nel 2026, secondo Libianchi? «Sarebbe un intervento sistematico – secondo la legge 354/75 e il regolamento penitenziario – da parte dei dipartimenti di prevenzione delle Asl che intervengano su quella struttura penitenziaria secondo un criterio di “igiene pubblica”. Dovrebbero dare prescrizioni effettive sulle carenze riscontrate: ad esempio che entro 30 giorni bisogna riparare o provvedere, altrimenti si può arrivare a sospendere le attività dell’istituto. Questi provvedimenti sono rarissimi e mi pare che, quando accaddero, non fu chiuso un carcere ma ci furono provvedimenti durissimi che “casualmente” precedettero il mancato rinnovo del contratto dei due medici che avevano preso questo provvedimento», prosegue Libianchi. «Se i dipartimenti di prevenzione funzionassero veramente, dovrebbero andare a vedere le condizioni igieniche delle persone. Se fosse un albergo, forse lo si chiuderebbe immediatamente. Per le condizioni delle nostre carceri, l’Europa ci fa le multe, il Comitato per la tortura ci sanziona, e noi cosa facciamo in casa nostra?». Come associazione, seguiamo con interesse gli sforzi messi in atto dal Garante Nazionale delle persone con privazione delle libertà per superare questi ostacoli pur rendendoci conto delle grandi resistenze del “sistema”. A tale proposito abbiamo deciso di mettere a sua disposizione le nostre esperienze e conoscenze». Infatti, lo scorso novembre è stato firmato un protocollo d’intesa tra il presidente del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, Riccardo Turrini Vita, e il presidente di Conosci Sandro Libianchi: hanno sottoscritto un Accordo di programma volto a rafforzare la tutela dei diritti fondamentali e del benessere delle persone private della libertà personale.







