COOPERAZIONE INTERNAZIONALE: PICCOLO È BELLO, MA…

In Africa non ci sono solo le grandi associazioni e le grandi Ong, ma anche un lavoro importante fatto da piccole realtà che rischiano di rimanere al di fuori dei finanziamenti pubblici. Se ne è parlato al 12mo Convegno del Consorzio SPeRA

«Mi sembra che questo sia uno dei pochi momenti in cui la rivendicazione non è a chiedere più soldi, ma a chiederne meno». Lo spunto, apparentemente paradossale, sintetizza una delle questioni più interessanti emerse dal dibattito avvenuto alla fine del 12mo Convegno del Consorzio SPeRA, che opera nel campo della cooperazione internazionale, per un sostegno attivo ai paesi del terzo mondo in attività umanitarie e di solidarietà, soprattutto a favore dell’Africa. A tirare in ballo la questione è stato Enzo Morricone, coordinatore generale CSV Lazio, in sintonia con l’intervento del prof. Edoardo Berti Riboli, presidente Medici in Africa OdV e Consorzio SPeRA. Potremmo dire, parlando di cooperazione internazionale, che anche «piccolo è bello», visto il grande lavoro fatto da molte piccole realtà. Associazioni che, anche se organizzate, rischiano di rimanere al di fuori dei finanziamenti pubblici per la cooperazione internazionale, riservati alle grandi.

La legge 25/2014 e il volontariato

Il dibattito, nel corso della giornata finale del convegno, nella Sala Aldo Moro presso La Farnesina, sede del Ministero degli Esteri, a Roma, lo scorso 27 maggio, è nato anche in seguito all’intervento del Viceministro degli Esteri Marina Sereni. «Abbiamo verificato un grande interesse nelle leadership africane e nelle imprese africane e italiane», ha dichiarato. «C’è una possibilità di partenariato che va oltre la dimensione della cooperazione, verso lo sviluppo sostenibile reciproco, su un piano di parità, pur a partire da punti di vista diversi». «Si è detto che questo è il luogo della cooperazione spontanea», ha continuato il viceministro, riferendosi al convegno SPeRA. «Non è così. Le università, le imprese, i missionari non sono cooperazione spontanea. E c’è un segmento, una componente del volontariato italiano, ma bisogna essere consapevoli che non si può fare tutto con il volontariato. C’è una componente della cooperazione italiana che si fonda sul volontariato e ha assunto nel corso degli anni delle dimensioni organizzative importanti se fotografate nel loro insieme, minoritarie dal punto di vista dell’impatto sul sistema. Il volontario è il medico in pensione o il giovane studente che decide di andare un mese in Africa non a fare una vacanza, ma a fare il volontario, in una dimensione positiva, di solidarietà, che crea legami, relazioni con le persone, ma non necessariamente ha bisogno di una struttura organica alle spalle. E che vuole avere un riconoscimento». È una parte importante della cooperazione internazionale, che però non riesce ad usufruire dei finanziamenti pubblici. «Dobbiamo intenderci su questo», continua Marina Sereni. «L’utilizzo delle risorse italiane del bilancio pubblico italiano è basato su una legge dello Stato, la n. 125 del 2014, una legge complessa che stabilisce che una pluralità di soggetti, le organizzazioni della società civile, le società profit, gli enti locali, le Regioni, le università, concorrono a realizzare la cooperazione italiana allo sviluppo attraverso le risorse pubbliche, per accedere alle quali bisogna stare dentro le regole della legge. Accanto ci sono tante altre risorse private che concorrono alla cooperazione allo sviluppo.  Non possiamo sottovalutare né le risorse delle grandi aziende né la miriade di piccole iniziative di volontariato che qui rappresentate. Ma, se non possiamo costringere nessuno a stare dentro il modello unico, non possiamo far sì che il modello unico si debba adattare a qualcuno di voi. È legittimo che la piccola associazione locale di volontariato non si voglia iscrivere al registro, non voglia stare dentro ad alcune regole rigide. Ma è legittimo che ci chieda di essere riconosciuta, che si sappia della sua presenza. È giusto che il Ministero degli Esteri, sia per la parte diplomatica che per la cooperazione, riconosca la vostra presenza e la valorizzi». «La legge che abbiamo non è inventata, non è una pazzia», continua. «È una legge che si muove lungo la strada delle altre cooperazioni europee, noi siamo dentro un sistema più grande verso il quale non possiamo essere eccentrici. Come facciamo a rendere tutta questa ricchezza un valore per tutti? Vogliamo creare una rete di queste grandi associazioni di volontariato che hanno un rapporto con l’Africa profondo, costante, significativo. È chiaro che l’Africa è la sfida dell’oggi, non del domani: anche se stiamo tutti sull’Ucraina, dobbiamo stare a fianco dell’Africa. Ne va dello sviluppo sostenibile, della sicurezza, della pace».

Volontari, ma strutturati, con competenze e capacità

«È stata data una rappresentazione del volontariato un po’ antica» è intervenuto nel dibattito Enzo Morricone, coordinatore generale CSV Lazio. «Non stiamo parlando di persone che si alzano la mattina e fanno cose, ma di organizzazioni che operano in maniera volontaria perché le persone non sono retribuite, ma questo non vuol dire che non abbiano la loro strutturazione, le loro competenze, che non ci siano le capacità. Certo, c’è il problema di fare sistema, che non è solo del nostro mondo, ma del sistema Paese Italia. Esistono forme organizzative molto precise anche dentro il volontariato. Che poi queste non prevedano figure retribuite è un’altra cosa». «Non è tanto fare una celebrazione del piccolo è bello», ha aggiunto Renzo Razzano, vice presidente vicario CSV Lazio. «Il problema è di strategia generale di aiuto allo sviluppo: non è detto che quest’ultimo venga favorito solo con i grandi progetti. Lo si sostiene se si lavora a costruire le comunità locali. I grandi progetti vanno integrati, ma non possono essere l’alternativa alla piccola progettualità, caratteristica del nostro mondo. E credo che sia l’elemento più efficace da tenere presente».

consorzio spera
Renzo Razzano, vice presidente vicario CSV Lazio: «Non è detto che l’aiuto allo sviluppo sia favorito solo con i grandi progetti. Lo si sostiene se si lavora a costruire le comunità locali. I grandi progetti vanno integrati, ma non possono essere l’alternativa alla piccola progettualità».

Progetti che costano troppo poco…

Il professor Edoardo Berti Riboli ha sintetizzato in modo molto chiaro il problema. «Se vinci un bando da un milione di euro lo devi giustificare, e non hai la struttura. La scelta iniziale della legge è riconoscere le realtà che possono accedere a questi bandi, che devono avere un bilancio sopra i 300mila euro l’anno e almeno dieci persone dipendenti. In questo modo la valutazione diventa puramente economica, mentre dovrebbe essere fatta su basi più di merito». «I bandi attuali costano troppo» continua centrando il punto. «Noi costiamo troppo poco. Con 20-30mila euro facciamo grandi cose, e siccome costiamo poco veniamo in qualche modo penalizzati». Il confronto tra grande e piccolo viene sintetizzato dal professore con un’efficace metafora. «Alcune associazioni sono come le navi che passano sul Canal Grande» spiega. «Arriva una grande associazione in Uganda e mette su un ospedale di chirurgia pediatrica senza sapere quello che fanno le associazioni di volontariato che stanno formando giovani chirurgi pediatrici. Arriva il grande vapore e passa senza guardare niente e nessuno».  «La questione dei bandi, la valorizzazione del lavoro volontario non riguardano solo le associazioni che lavorano in Africa, ma tutte le associazioni», conclude Enzo Morricone. «Sono questioni ampiamente dibattute nel mondo del volontariato e del terzo settore. In questo ambito bisogna un po’ recuperare. Siamo a disposizione come Centri di Servizio, come rete, e credo che dovremo fare ulteriori passi in avanti». La risposta per il volontariato può essere quella di fare sistema, e diventare un interlocutore importante parlando all’esterno con un’unica voce.

I dazi e la crescita delle associazioni

I casi di piccole realtà che si scontrano con varie problematiche dovute alla loro piccola struttura, o al loro riconoscimento, sono venuti fuori proprio in occasione di questo dibattito. L’associazione Radici d’Amore Onlus è presente da trent’anni in Senegal e Burkina Faso con la costruzione di pozzi: una richiesta che è stata fatta proprio dalle comunità locali. L’associazione fa tutto con le proprie forze, e ha pensato di trasformare l’associazione Onlus in una Ong, ma non ha la struttura che giustifichi questo, cioè le grandi sovvenzioni, i grandi progetti, i 10-15 operatori salariati. L’associazione Tivoli In Senegal, invece, ha posto il problema dei dazi doganali e del riconoscimento delle piccole associazioni. Oltre alle spese di trasporto queste realtà si trovano a pagare un dazio identico a quello di un normale rapporto commerciale.

C’è un lato politico da valorizzare e portare alla luce

«Come direzione politica, abbiamo acceso un faro su questo mondo che chiamo cooperazione spontanea, quella che si paga da sé, che non rientra nell’aiuto pubblico allo sviluppo». Ha concluso così i lavori Giuseppe Mistretta, Direttore Centrale Africa Sub-Sahariana Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. «Sono convinto che si tratti di piccoli gruppi di persone di buone intenzioni, ma anche di grandi gruppi, grandi benefattori, fondazioni o banche». «Abbiamo fatto due comunicazioni interne prima del Covid, per il ministro e le nostre sedi, che mettevano in luce la ricchezza umana e finanziaria, sociale e religiosa, dentro questo mondo. E lo abbiamo fatto da direzione politica, perché un lato politico da valorizzare e portare alla luce c’è. Un esempio: noi diamo come borse di studio del ministero poche mensilità. Tra tutta l’Africa partiranno 150-200 studenti. Solo l’Emilia Romagna, con i fondi di dipartimenti per l’educazione nel 2019 mandò 1400 studenti. Mettendo a fattor comune tutte queste risorse, l’Italia si pone, anche a livello ufficiale, con una forza d’urto molto superiore a quella dell’aiuto pubblico allo sviluppo. È questo che intendiamo: abbiamo inteso fare questo quando abbiamo acceso il faro sulla cooperazione spontanea, di cui si è parlato in questo convegno». «I flussi di finanziamento che vengono da banche, fondazioni, imprese, eguagliano, se non superano, l’ammontare dell’aiuto pubblico allo sviluppo e questo è importante, perché, in un momento di risorse decrescenti, mettere a fattor comune tutto quello che l’Italia fa è essenziale. L’aiuto spontaneo si sviluppa su vari filoni, come la formazione: il Cucs, mettendo insieme gli atenei che fanno interventi in Africa, riesce a coordinare una varietà di iniziative. La cooperazione, a livello culturale, non si riduce alle borse di studio messe a disposizione dal Ministero degli Esteri, ma vive anche dell’autonomia universitaria. La formazione è un momento chiave: oggi un terzo della popolazione africana di oltre un miliardo di persone non sa leggere e scrivere. È inutile parlare di progetti se le persone non sanno leggere e scrivere. Il secondo è il filone religioso: l’importanza dei missionari per l’intercultura, l’inclusione e il dialogo interreligioso è molto importante. Il terzo filone è quello della sanità. Parliamo di territori dove c’è un medico chirurgo ogni 100mila abitanti, spesso proveniente dall’Europa. Il ruolo svolto con finanziamenti propri da tutte le Ong che si occupano dii sanità, è un’attività eccezionale. Pensiamo alla nave ospedale Elpis: un rimorchiatore sovietico è stato trasformato in un ospedale itinerante per mare, fino alle coste del Madagascar. Mi sembra un simbolo di come le cose dovrebbero andare anche con piccole iniziative».

Il ruolo di CSVnet

Nella prima giornata dei lavori, Chiara Tommassini, presidente CSVnet, aveva illustrato l’ultra decennale collaborazione tra lo stesso CSVnet, i CSV e il Consorzio Spera. «Oltre alla promozione a livello nazionale, la nostra rete ha fornito un supporto per l’implementazione del database on line che mette in rete le attività di queste associazioni» ha spiegato. «Sono state registrate 288 associazioni, di cui 47 socie del consorzio, per un totale di 678 progetti. La maggior parte di queste sono organizzazioni di volontariato e poi Ong. Il settore di intervento più impattante è quello della prevenzione alla salute, seguito da istruzione, infrastrutture, servizi all’infanzia e il lavoro, formazione al lavoro e all’utilizzo delle risorse territoriali, cura delle donne. Dove operano le associazioni inserite nel data base? La maggior parte in Kenya, in Etiopia, in Madagascar, Tanzania, Benin, Burkina Faso e a seguire tanti altri paesi». «Fare volontariato oggi vuol dire costruire ponti e superare confini, per creare comunità sempre più accoglienti, e capaci di dialogare. Lavorare per costruire reti è fondamentale, anche per promuovere la cultura del volontariato. Mettere in dialogo le associazioni con i Centri di Servizio, che possono supportarle, è fondamentale. Un lavoro che troverà ancora più spinta e impatto perché siamo certi di poter contare sullo sguardo attento delle istituzioni, chiamate a favorire lo sviluppo di progetti di cooperazione internazionale, ma anche di tutte le altre partnership che si dovranno coordinare e integrare, per aumentare, tutti insieme, la capacità di risposta ai bisogni, apportando, come volontariato, visioni e passione. Passione per le persone, per l’ambiente, per la cultura, per i giovani, per la tutela dei diritti. È questa la nostra richiesta. Che è anche la nostra forza. Perché l’insieme è più forte della somma delle parti».

Immagine di copertina: pagina Fb Consorzio SPeRA

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