CORPO A CORPO: UNA BELLEZZA DIVERSA È POSSIBILE

Il documentario di Maria Iovine, dal 20 giugno in tour nei cinema, racconta la vita di Veronica Yoko Plebani, atleta della nazionale paralimpica di Triathlon e ambasciatrice di accettazione indiscussa del corpo

«Mi piace che si veda la cicatrice. Mi danno più fastidio le occhiaie». Veronica Yoko Plebani, la protagonista di Corpo a corpo, il documentario di Maria Iovine che, presentato in Panorama Italia ad Alice nella Città, alla Festa del Cinema di Roma, dal 20 giugno è in tour nei cinema di tutta Italia (questa sera, alle 21, sarà proiettato all’Apollo 11, a Roma, alla presenza dell’autrice), è al trucco per un servizio fotografico. Quella cicatrice non la vuole coprire, perché è parte di lei, perché racconta la sua storia e chi è oggi. Le occhiaie, invece, si possono coprire, come si fa per tutti. «È la grande rivoluzione di Veronica anche nei miei confronti, in quanto donna, e nei confronti di molte donne» ci spiega Maria Iovine, la regista del film. «La cicatrice è qualcosa che fa parte di lei, mentre l’occhiaia è la dimostrazione che, se c’è qualcosa che si può migliorare, lo facciamo tutte». Veronica Yoko Plebani è un’atleta della nazionale paralimpica di Triathlon. A 25 anni ha nel cuore un sogno: le Olimpiadi di Tokyo 2020. Ne aveva solo 15 quando una meningite batterica l’ha trascinata per mesi in una lotta fra la vita e la morte che le ha restituito un corpo segnato per sempre. Veronica è laureanda in scienze politiche con una tesi sui diritti delle atlete. Ed è un’ambasciatrice di accettazione indiscussa del corpo con migliaia di follower, da Instagram alle copertine dei giornali. Posa, anche nuda, per fotografi di fama internazionale frantumando ogni canone di bellezza. Corpo a corpo è un film molto importante. Parla di diversità e di accettazione, ma anche di bellezza e dei canoni che ci vengono imposti. È un film che parla di disabilità ma anche di genere. È un film che parla a tutti.

corpo a corpo
Presentato alla Festa del Cinema di Roma, Corpo a corpo è ora in tour nei cinema di tutta Italia. Questa sera alle 21.00 sarà all’Apollo 11, a Roma, alla presenza dell’autrice.

Lo sguardo di una donna verso un’altra donna

Corpo a corpo colpisce da subito per come il corpo di Veronica, con le sue cicatrici, i segni, le sue imperfezioni, viene mostrato: con estrema franchezza, con onestà, senza remore, Il che ci mette subito a nostro agio con questo corpo, come è a suo agio Veronica. «Sono partita prima di tutto dalla storia di una ragazza che è un soggetto» ci spiega Maria Iovine. «Siamo così abituati a uno sguardo oggettivante, soprattutto nei confronti delle donne. Io sono partita dalla storia di Veronica, che ho imparato prima di tutto a conoscere io e che ho voluto raccontare attraverso questo documentario. Il motivo per cui ho voluto raccontare la vita di questa ragazza è che lei ha fatto qualcosa di straordinario. Però questa straordinarietà ce la mettiamo sempre noi con gli occhi, con il modo in cui la guardiamo. Ma io mi sono resa conto che Veronica per me era un’amica, una ragazza, un’atleta. Questo sguardo sulla straordinarietà a volte può essere anche morboso, per qualcosa che in qualche modo viene considerato diverso: tutto questo invece sparisce nella relazione. Ho voluto proprio cercare di restituire il mio sguardo, che è quello di una donna verso un’altra donna. Questo corpo non andava mostrato: questo corpo esiste nello spazio, nella vita di Veronica, nelle nostre vite che si relazionano a lei. E io ho raccontato semplicemente questo. Se la restituzione, attraverso il film, è quella di uno sguardo discreto, è perché è la realtà, è solo il frutto di un altro processo che in me non c’è stato e spero non ci sia nemmeno rispetto al film».

Corpo a corpo: questa è davvero la vita di Veronica

Lo sguardo della regista, l’inquadratura, il tono del racconto, in un film di questo tipo sono fondamentali, e Maria Iovine ha fatto un grande lavoro in questo senso. «Per me è stato soprattutto un lavoro di sottrazione» ci ha spiegato la regista. «Credo che il documentario, e il cinema in generale, sia un lavoro di sguardo. Che cosa fa una storia migliore di un’altra? Come è raccontata. E nel cinema si racconta con le immagini, con il punto di vista, con lo sguardo. Io ho lavorato di sottrazione sul set, anche con la troupe e il direttore della fotografia. Ci sarebbero state mille occasioni per raccontare il sudore, la fatica, il sangue, le ferite, le cicatrici. Per me è stato importante mettermi in una posizione quasi da osservatrice. È una cosa su cui sono stata petulante, perché c’erano davvero molte occasioni in cui si sarebbe potuti andare molto dentro. Ma per me era importante dire: io sono qui e sto osservando. E questa è davvero la vita di Veronica». Si parla spesso, a proposito del documentario, del saper diventare invisibili da parte di un regista e di una troupe, in modo che chi viene ripreso si senta libero di essere chi è, e non venire influenzato. Ma qui è accaduto qualcosa di diverso. «Più che un processo di invisibilità, in questi due anni c’è stato un processo di amalgama all’linterno della vita di Veronica. Non è successo solo con lei, ma con la squadra, l’allenatore, il padre e la madre, Era l’unico modo, perché Veronica è parte di questi ambienti».

Vite straordinarie, raccontate sempre come lontane da noi

 Al centro del film di Maria Iovine c’è dunque un corpo, che è visto nello sforzo, nell’impresa, nella sua accezione sportiva, ma anche nella vita normale. Vediamo Veronica mentre si sta preparando per uscire la sera, e in altri momenti quotidiani. «È stato il punto dal quale ho iniziato da quando ho iniziato a pensare alla storia di Veronica» ci spiega la regista. «Le vite straordinarie vengono raccontare sempre come qualcosa di lontano da noi. Veronica è una campionessa, questa cosa è innegabile ed è sotto lo sguardo di tutti. Il mio sguardo doveva dire qualcosa in più di lei. Anche quando raccontiamo le foto di un fotografo internazionale importantissimo io ho voluto vederle attraverso il rapporto con la madre, nel modo in cui lei le ha veramente vissute. Vederla su una copertina di giornale è qualcosa che mette una distanza rispetto a chi guarda. Io volevo entrare dentro. E questo è stato ciò che mi ha mosso durante tutto il film. In fase di montaggio avevamo tante situazioni in più, soprattutto sportive, invece io ci tenevo a tenere sempre presente la Veronica reale, la Veronica intima. Senza sacrificare l’atleta, perché lo è e questa cosa va restituita».

Un processo quotidiano su se stessa

 E in questo senso c’è, in Corpo a corpo, una scena molto importante. È il momento del discorso con la madre. Parlando del suo abbigliamento, e del suo mostrare con tranquillità le cicatrici, la madre le dice che non bisogna “né nascondere né ostentare”, mostrando un punto di vista diverso. Veronica le dice che è normale, che se ha caldo mette i pantaloni corti, mette i vestiti che le piacciono, e non importa se si vedono i segni sulle sue gambe. «Secondo me quel dialogo tra la madre e Veronica è un po’ la chiave del film» ci spiega Maria Iovine. «Noi guardiamo Veronica che con questo corpo è completamente libera, lo assumiamo. È quasi un dato di fatto. Invece quella scena lì ci racconta che è un processo che ha fatto su se stessa e che fa quotidianamente nella vita, e che fa anche con i suoi cari. Sua madre condivide completamente l’approccio e la visione di Veronica, eppure ha uno sguardo leggermente diverso. È come sentire di avere qualche chilo in più e non mettere gli shorts, oppure fregarsene dei chili in più e metterli. Questo è un processo e appunto è la chiave del film perché ci racconta che è davvero un cambio di sguardo da parte di Veronica. Ha sempre detto che quello che le è successo è qualcosa che ha subito, le è capitato, che non ha scelto. E questa grande forza che ha avuto, non per rinascere, ma per continuare ad essere quello che era, si è evoluta con lei, con il suo corpo, con quello che le è successo. Una meningite a 15 anni non solo è una malattia per cui hai rischiato la vita, ma è avvenuta anche in un’età delicatissima. E l’ha trasformata. Siamo arrivati in un momento della vita in cui diciamo: ok, si è accettata e ha iniziato a fare grandi cose. In realtà questa trasformazione è un work in progress, qualcosa che non finisce mai. È qualcosa che è relativa a lei, ma è relativa a tutti noi».

Quello viviamo tutti i giorni sui nostri corpi

Dalle note del film leggiamo anche il pensiero di Veronica, che è molto importante. «Negli ultimi anni alcuni movimenti hanno trasformato la narrazione femminile nello spazio pubblico: molti marchi e anche i media hanno mutato il loro racconto della bellezza, includendovi altri tipi di femminilità» spiega Veronica. Corpo a corpo è un film importante anche in questo senso, per capire cosa può essere oggi il femminile. «Secondo me la storia di Veronica è sicuramente una storia di diversità, ma che parla a tutte noi» spiega Maria Iovine. «Per tutto il tempo in cui abbiamo parlato ho detto: parla con me ma parla a tutte le donne. Lei parte da uno step successivo, da un caso ancora più eccezionale, ma la pressione che la società fa sui nostri corpi, soprattutto sui corpi delle donne, è enorme: in anni di storia ci è stato imposto di essere belle e basta, e belle secondo dei canoni. Questa cosa è verissima, ed è avvertita da tutte noi». «Io mi dichiaro apertamente femminista, attivista, e da anni ho fatto una riflessione sul corpo femminile e sul posto che ha nel mondo e nella nostra società» continua. «E ho fatto un lavoro di ricostruzione rispetto ai canoni. Ma quanto posso dire io oggi di essere completamente libera da questi canoni? Questo lavoro di ricostruzione è un lavoro lungo e faticoso.  La storia di Veronica è emblematica proprio perché, nella sua eccezionalità, in realtà ci racconta quello che noi donne viviamo tutti i giorni sui nostri corpi».

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Veronica Yoko Plebani, atleta della nazionale paralimpica di Triathlon, laureanda in scienze politiche con una tesi sui diritti delle atlete, ambasciatrice di accettazione indiscussa del corpo

Una pluralità di canoni di bellezza

Ma in realtà la situazione è molto più complessa, oggi. Come spiega Veronica nelle note, «la realtà non sempre rispecchia questa grande voglia di cambiamento, e anzi nei fatti si fanno passi indietro. Dobbiamo combattere la volontà di normalizzare e standardizzare la bellezza, e cercare di includere invece le storie e le vite diverse dalle nostre, perché solo attraverso la diversità possiamo scoprire la bellezza». Quanto allora, siamo andati avanti, e quanto siamo ancora indietro? Quanto è stato fatto e quanto è ancora da fare? «Oggi la situazione è migliore ma anche peggiore» ci risponde Maria Iovine. «È migliore perché, per la prima volta nella storia, si parla di corpi non conformi, dell’abilitazione della pancetta, della cellulite, del fianco troppo largo, cosa di cui fino a qualche anno fa sui giornali non si parlava. C’è un movimento che sta mettendo in discussione quello che è il discorso prevalente». Ma c’è un rovescio della medaglia. «Dall’altro lato con i social c’è anche un’estrema polarizzazione di corpi femminili» ci spiega la regista. «Se andiamo su TikTok e Instagram siamo pieni di ragazzine che mettono filtri per avere la pelle più levigata. Ci chiediamo: ma quanto hai bisogno di questo? La nostra pelle non è liscia, ha le sue imperfezioni, i suoi colori. Anche l’arrossamento del sole è una cosa bella. I nostri corpi sono al centro di una battaglia. Lo sono sempre stati, ma in questo momento il discorso è dualistico. C’è una casa di intimo che fa pubblicità con modelle oversize, che poi non sono così oversize, ma nello stesso tempo le donne bellissime firmano contratti da milioni di euro solo per la loro bellezza». «Per il nostro discorso di decostruzione dei canoni la storia di Veronica, come di tutte le ragazze normali, va raccontata» conclude. «È importante quantomeno dare un’altra possibilità. Dire c’è questo canone, ma c’è anche un altro. Non parliamo di uscire dai canoni, ma di una pluralità di canoni. Parliamo di scelta».

CORPO A CORPO: UNA BELLEZZA DIVERSA È POSSIBILE

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