CARCERE. UNO SPAZIO PENSATO PER CREARE POSITIVITÀ

Una ricerca e alcune esperienze con le donne in carcere raccontano i benefici di un ambiente pensato per la vita, non solo per la reclusione

Quali sono i luoghi in cui vivono le detenute nella Capitale e come la qualità delle celle e dell’habitat ristretto influenza il recupero sociale e la riabilitazione personale? Analizzare questi aspetti anche estetici e strutturali è l’obiettivo della ricerca “Riabilitare spazi e persone. Le carceri romane” sulla qualità architettonica e l’adeguatezza degli spazi all’interno della Casa circondariale femminile di Rebibbia, finanziata nel 2018 da Sapienza Università di Roma confluita nel volume “Donne in carcere. Ricerche e progetti per Rebibbia” (pp. 288, € 25, LetteraVentidue). Lo firmano due architette e docenti, Francesca Giofrè e Pisana Posocco, che nell’ambito del progetto G124, promosso da Renzo Piano, ha realizzato a Rebibbia un piccolo fabbricato di 28 metri quadrati inserito in un’area verde per incontri tra madri e famiglie, il Ma.ma (Modulo per l’affettività e la maternità): un prototipo che potrebbe «essere replicato anche in altri penitenziari, così da provvedere un luogo di incontro tra detenuti e famiglie».

Un luogo di vita

Nello stesso istituto è stato realizzato l’allestimento degli interni con arredi e attrezzature nella nuova sezione detentiva Orchidea, ristrutturata nel 2019 anche con la tinteggiatura di corridoi, stanze e spazi comuni.

donne in carcere
Rebibbia, il ballatoio: lo spazio tra le celle che mette in relazione i vari piani (Foto ©Riccardo Bonanni)

«Uno spazio di qualità sta inducendo comportamenti virtuosi: sta responsabilizzando le donne che lo abitano spingendole a farsi carico del mantenimento e, al contempo, sta trasformando il loro stesso modo di vivere», riferiscono le autrici.

Le architette Giofrè e Posocco sostengono che «il progetto degli spazi ristretti possa svolgere anch’esso un ruolo chiave nel processo di riabilitazione e risocializzazione, cui è chiamato il carcere nella sua principale finalità». Infatti la ricerca «ribalta un concetto fortemente radicato: il carcere non deve essere visto solo come luogo di segregazione, ma come luogo di vita, seppure in uno spazio confinato. La prigione è un luogo dell’abitare».

Proposte per la società civile

Lo studio si è focalizzato sui luoghi di detenzione di una minoranza carceraria, ovvero le donne: in linea con i dati europei, «sono circa il 4-4,5% dell’intera popolazione carceraria. A luglio 2020 in Italia, le donne detenute erano 2.248, ovvero il 4,2% dell’universo carcerario». Se diverse ricerche hanno evidenziato «una differenza di genere nel modo di vivere e avere cura dello spazio ristretto», le detenute «hanno avuto e hanno meno possibilità in termini di spazi – pensati solo per gli uomini». Su questi spazi da ristrutturare, riqualificare e migliorare si sono concentrate le sperimentazioni progettuali, sviluppate e in parte realizzate nella Casa circondariale femminile di Rebibbia (uno dei quattro istituti femminili presenti in tutta Italia, dove sono recluse oltre 300 detenute e lavorano più di 200 persone fra staff penitenziario, amministrativi ed educatori) con il coinvolgimento diretto delle persone che in carcere vivono e lavorano.

Le stesse detenute, interpellate con questionari, hanno evidenziato «la necessità di qualità – che è sinonimo di dignità – di domesticità, di relazioni con lo spazio aperto; il carcere è un luogo che, nei limiti di quanto permesso da leggi e regolamenti, avrebbe bisogno di privacy e di una, pur piccola, possibilità di personalizzazione». E durante il lavoro d’indagine, sottolineano le autrici, «è sempre stata presente la consapevolezza che gli esiti della ricerca stessa potessero rappresentare un insieme di proposte da fornire alla società civile e che queste potessero essere assunte per migliorare le condizioni di vita negli istituti penitenziari femminili o quantomeno riavviare il necessario dibattito sul tema». Quindi è chiaro l’invito all’emulazione e alla moltiplicazione di progetti analoghi che possano migliorare la vita quotidiana dei detenuti e delle detenute.

Lo spazio e il benessere

Alcuni esempi: nelle aree verdi della Casa circondariale femminile di Rebibbia è stato allestito un nido per animali curato dalle detenute.

donne in carcere
Immagini del progetto realizzato: il corridoio dell’ala 2. (Foto ©Letizia Gorgo)

«È una normale attività lavorativa. Le donne impegnate non solo ne sono particolarmente felici, ma svolgono questo lavoro con una dedizione ed una partecipazione emotiva sorprendente. L’isolamento acustico è cosa non impossibile da realizzare e di indubbia importanza per riqualificare gli spazi delle carceri. Assolutamente facile da realizzare è la possibilità di avere in stanza piccole piantine. La volontà e la necessità di prendersi cura di qualcosa; il desiderio di qualcosa che scandisce lo scorrere del tempo», fa notare la professoressa Posocco.

Ripensare gli spazi per le donne in carcere non solo è possibile, ma è diventato oggetto di tesi di laurea in architettura, che hanno elaborato progetti anche di design, ad esempio di arredi in cartone per contenere i costi e scongiurare usi impropri.

Eufemia Telesca ha sviluppato un kit di prima accoglienza da fornire alle detenute al loro ingresso che include un kit di cucito o di pittura per «una minima personalizzazione degli spazi che le donne andranno ad occupare», mentre Martina Nigero ha studiato un nuovo edificio per la mensa e il bar dedicati allo staff del carcere: «Al buon funzionamento ed al benessere di un istituto penitenziario non concorrono solo gli spazi in cui vivono le persone detenute ma anche quelli destinati al personale che entro il carcere lavora». Sempre con una convinzione di fondo: «Uno spazio che offre benessere può anche indurre comportamenti positivi».

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donne in carcere Francesca Giofrè e Pisana Posocco
“Donne in carcere. Ricerche e progetti per Rebibbia”
LetteraVentidue 2022
pp. 288, € 25
 

 

 

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