Roma: ritornare sui territori per combattere la povertà

Serve una nuova alleanza tra associazioni e istituzioni, a partire da un "piano strategico dei diritti"

Un’alleanza tra volontariato e istituzioni per combattere la povertà, concretamente, sui territori. Se ne è discusso nel seminario su “Una responsabilità comune: le nuove povertà”, che si è tenuto il 27 febbraio scorso nell’VIII Municipio, a Roma.
Nel corso del 2014, 1174 persone si sono rivolte al Punto Unico di Accesso del Municipio, nel 60% dei casi avanzando richieste puramente economicche. Si tratta di homeless, disoccupati, persone anziane sfrattate (questi casi sono in crescita), famiglie che richiedono bonus. Le richieste di aiuto vengono soprattutto dal quartiere Garbatella (23%), poi da Tor Marancia e da San Paolo.
Nel 72% dei casi si tratta di italiani, nel 5% di cittadini europei, gli altri sono extraeuropei. L’età si concentra nella fascia d’età tra i 40- 59 anni (41%) e i 18-39 (30%). L’età in cui la vita ti spinge a fare scelte e ad assumerti responsabilità – ad esempio mettendo su famiglia.

Un argine all’imbarbarimento

Sono dati che contribuiscono a disegnare i contorni della crisi nella «città più difficile d’Italia», come ha detto Andrea Catarci, presidente dell’VIII Municipio. Secondo Catarci, «questo non è uno scenario destinato ad essere superato. Anche se si vedono i segni – molto incerti – di una ripresa, non è detto che la crescita economica, ammesso che ci sia, porti con sè la crescita sociale». Perché ciò che si è visto crescere in questi anni è l’indisponibilità all’accoglienza, alla solidarietà più elementate. Un imbarbarimento di fondo».
Che cosa si può fare, dunque? «Costruire insieme un argine alla povertà crescente, insieme al volontariato e con i grandi della solidarietà, del lavoro sociale».

Il piano strategico dei diritti

Lavorare insieme ha come condizione il rilancio della progettualità dei territori, idea questa condivisa anche da Francesca Danese, Assessore alle Politiche sociali e alla Casa del Comune di Roma, che ha proposto di adottare «un approccio completamente diverso, cominciando a parlare di prevenzione anche nella lotta alla povertà». E questo implica «ripartire dal piano strategico dei diritti», perché solo riconoscendo i diritti di tutti è possibile garantire un livello della qualità della vita sufficiente. Dunque, « il Dipartimento deve dare delle linee guida, ma poi le competenze vanno passate ai territori e dai territori vanno tirate fuori le potenzialità». Un tema non facile da affrontare in questo momento, perché per «fare il piano strategico dei diritti dovremmo poter sapere su quali risorse possiamo contate» e in questi giorni si sta discutendo un bilancio che promette tagli ai fondi di tutti gli assessori, compreso quello delle politiche sociali. Eppure, è questo il quadro da costruire e all’interno del quale collocare la lotta contro le povertà nuove, o quelle vecchie che stanno assumendo forme particolarmente allarmanti, come le dipendenze e in particolare l’azzardo.

Le nuove povertà

Monsignor Enrico Feroci ha raccontato di una persona anziana, povera, che la Caritas ha aiutato a prendere coscienza dei suoi diritti: aveva diritto a una pensione, e non solo l’ha ottenuta, ma ha avuto anche una bella cifra di arretrati. Una grande felicità, bruciata alle slot machine, in pochi giorni. Secondo il direttore della Caritas di Roma l’azzardo è sicuramente un’emergenza, tanto più che a giocare sono spesso i poveri o i quasi poveri. Ma le nuove povertà hanno anche altre forme. Ad esempio, quella delle «grandi patologie individuali, soprattutto la depressione: il numero di suicidi èaltissimo».
E poi bisogna fare i conti con «la mancanza del senso del futuro e della trascendenza». Con fenomeni che sembrano caratterizzare la nostra epoca anche sul piano psicologico ed educativo, come «l’evaporazione della figura del padre, che corrisponde alla crisi degli insegnanti e lascia i ragazzi senza punto di riferimento. La carenza della figura paterna, tra l’altro, corrisponde anche alla crisi dell’autorità e delle istituzioni». Ciò che paghiamo è soprattutto «la mancanza di orizzonti collettivi: oggi conta solo il desiderio individuale». È questa, forse la povertà più grande.

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