DOSSIER STATISTICO IMMIGRAZIONE 2023: LA VERA EMERGENZA È IL SISTEMA DI ACCOGLIENZA

Presentato in questi giorni a Roma il Dossier statistico immigrazione 2023. Luca Di Sciullo: «La politica taglia, restringe, chiude e poi parla di immigrazione irregolare. La verità è che le possibilità di migrare regolarmente sono sempre meno, un modello detentivo, non inclusivo»

Allarmismi, preoccupazioni, pericoli dai quali difendersi: inquadrando l’immigrazione con questa lente si corre il rischio di distorcere la realtà, alimentando paure collettive e tensioni sociali. Viceversa, analizzare i dati attraverso una cornice più consona permette di andare oltre la narrativa parziale dell’accerchiamento. È l’obiettivo che si pone anche quest’anno il Dossier statistico immigrazione, condotto dal Centro Studi e Ricerche IDOS insieme a Confronti e all’Istituto di Studi Politici S. Pio V, presentato giovedì mattina al Nuovo Teatro Orione di Roma. Il punto di partenza per cogliere una prospettiva forse migliore è quello che offre, all’interno del volume, Stefano Allievi, docente dell’Università di Padova: «Il nomadismo è una costante della storia umana: la sua fisiologia, non la sua patologia, la norma, non l’eccezione. Solo molto lentamente e molto recentemente siamo diventati stanziali».

Dossier statistico immigrazione 2023: i dati

Dossier statistico immigrazione 2023
Fonte Dossier statistico immigrazione 2023

Nel 2022 sono risultati residenti in Italia 5.050.257 stranieri, quasi 20 mila in più rispetto al 2021 ma molti di meno rispetto ai 5.171.894 del 2020. Le regioni più popolate, secondo quanto emerge dal Dossier statistico immigrazione 2023, restano Lombardia (1.165.102 stranieri), Lazio (615.108) e ed Emilia Romagna (548.755). Sviscerando le nazionalità si nota inoltre che in Italia quasi uno straniero su due è europeo (47,7%) e solo il 22,6% proviene dall’Africa. Lo Stato più rappresentato continua a essere la Romania, con oltre un milione di persone, davanti a Marocco (420 mila), Albania (419,9), Cina (300) e Ucraina (225). Sono state 77.200 le domande di protezione presentate per la prima volta in Italia nell’ultimo anno, l’8,7% del totale Ue. È un numero in crescita (erano state 54 mila nel 2021), ma non inquadrabile in termini di eccezionalità: aveva superato le 100 mila unità sia nel 2016 sia nel 2017 e resta ben al di sotto di quello di altri Paesi europei.

Nonostante la comunicazione politica sia sempre di più improntata all’allarmismo, la realtà ci dice che non siamo i soli al mondo a ospitare persone di diversi Paesi: l’Europa è la casa di 54,5 milioni di stranieri, ma ce ne sono di più in Asia (63,5); quelli che accolgono più rifugiati risultano, nell’ordine, Turchia, Iran, Germania, Pakistan e Uganda, mentre per i richiedenti asilo svettano nelle classifiche Usa, Perù, ancora Turchia e Germania e Costa Rica. A volte ci sentiamo – nel bene, ma soprattutto nel male – il centro nevralgico dell’universo, ma meno del 7% dei migranti forzati nel mondo vive in uno degli Stati membri Ue e un abitante della Terra su 30 è migrante (295 milioni).

L’Italia resta un paese di transito

Tornano all’Italia, nel Dossier statistico immigrazione 2023 emerge un dato in controtendenza rispetto alla narrativa che rappresenta l’immigrazione come un’urgenza nell’ottica dell’invasione culturale: negli ultimi 5 anni il numero degli immigrati è diminuito di 17 mila unità, mentre nel resto d’Europa il segno meno è stato registrato solo in Croazia, in Grecia, in Lettonia, in Romania e in Slovacchia. In Italia generalmente non si resta, ma il nostro Paese è un porto nel quale si continua a sbarcare con partenza principale dalla Tunisia, Paese di transito (governato con autoritarismo) con il quale l’Ue a luglio 2023 ha negoziato e firmato un memorandum per cercare di arginare le partenze. I risultati? Non quelli che la politica si aspettava. Nel 2023 sono raddoppiati infatti gli arrivi in Italia (88 mila) rispetto allo stesso periodo del 2022 (41.435) e sono arrivati via mare soprattutto cittadini ivoriani (13,1%), guineani (12%), egiziani (11,2%), bangladesi (9,7%), pakistani (9,1%), tunisini (7%) e siriani (6%).

Dall’accoglienza diffusa alla detenzione indefinita

Dossier statistico immigrazione 2023
La presentazione del Dossier statistico immigrazione 2023 a Roma

Il Dossier statistico immigrazione 2023 mette in guardia circa un passaggio che inevitabilmente sta segnando i nostri tempi: dall’accoglienza diffusa alla detenzione indefinita. Anche dopo il naufragio di Cutro, il focus sull’immigrazione continua a spostarsi dai trafficanti ai migranti, accomunati e confusi nella categoria dell’irregolarità anche quando sono persone in fuga da guerre, crisi climatiche e gravi violazioni dei diritti umani. Nel 2022, su oltre 500mila stranieri stimati in condizione di soggiorno irregolare in Italia (un decimo rispetto ai regolarmente residenti), a 36.770 è stata intimata l’espulsione, circa 1 ogni 14 (inclusi 2.804 afghani e 2.221 siriani, che pure fuggono da Paesi in guerra e da gravi pericoli). Nei Cpr, che il dossier definisce «luoghi di diritti negati», sono aumentati i tempi del trattenimento da 3 a 18 mesi, con maggiori costi; parallelamente, è cresciuto il budget a disposizione (42,5 milioni nella finanziaria di fine 2022) per rafforzare questi centri. Il Decreto Cutro, infine, ha ampliato la platea delle persone sottoposte alla procedura accelerata di frontiera, e quindi al trattenimento, anche a coloro che richiedono protezione qualora non abbiano passaporto o non versino “idonea” garanzia finanziaria, fissata in euro 4.938.

Lavoro precario, sottopagato, rischioso

Le conseguenze della mancata inclusione emerge con chiarezza nel mondo del lavoro perché, anche quando è regolarmente impiegata, la manodopera straniera da Nord a Sud è spesso relegata a impieghi precari, faticosi, sottopagati e rischiosi per la salute. Quasi due occupati stranieri su tre svolgono mansioni di bassa qualifica (lavoro domestico al 62,2% e agricoltura al 17,7%), una quota doppia rispetto a quella degli italiani. E le retribuzioni sono inferiori di ben un quarto. Quando si banalizza – quasi con toni ironici – il concetto di immigrazione come “risorsa” si dimentica poi che il saldo tra entrate dello Stato (contributi previdenziali, Irpef, Iva, permessi e cittadinanza) e uscite (servizi sociali, accoglienza, giustizia e sicurezza, previdenza e sanità) è ancora una volta positivo e negli ultimi dodici mesi si è attestato a +6,5 miliardi di euro.

Non gestire le frontiere, ma affrontare le cause

Le cause strutturali della fame – riassumibili secondo Francesco Petrelli di Oxfam Italia nelle tre “C” di conflitti, clima e Covid – anziché attenuarsi si stanno strutturando. Come sostiene Martien Van Nieuwkoop della Banca mondiale, le recenti ondate di calore stanno già provocando a livello globale la riduzione del 22% dei raccolti agricoli e così continuiamo ad allontanarci dagli obiettivi di contenimento dell’aumento della temperatura entro 1,5 gradi e dalla riduzione delle emissioni fossili del 45% entro il 2050, senza considerare che negli ultimi 20 mesi sono sorti altri due conflitti (russo-ucraino e israelo-palestinese) oltre a quelli già attivi in Africa. A proposito del continente africano: produce solo il 2% delle emissioni, ma ne paga le conseguenze maggiori tanto che, entro il 2030, ben 118 milioni di persone saranno colpite da una crisi climatica irreversibile e da quelle terre saranno probabilmente costrette a emigrare. Arginare questo fenomeno senza porre rimedio alle sue cause è come tentare di fermare il vento con le mani. Concentrandosi quasi esclusivamente sulla gestione delle frontiere – il sistema costruito dal “Nuovo patto di asilo e migrazione” si basa sul presupposto che una buona gestione dei migranti comporti la diminuzione delle partenze e l’aumento dei rimpatri – l’approccio europeo finisce senza dubbio per trascurare le conseguenze a medio lungo termine dei processi migratori. Non a caso, gli esperti cominciano già a parlare di “integrazione dimenticata”.

La vera emergenza non è l’immigrazione

Dossier statistico immigrazione 2023
Schiavone: «Chi chiede protezione non è irregolare, sta cercando asilo ed è un suo diritto. Questa distorsione porta al respingimento. E così si arriva a limitare la libertà non per una condotta, ma per una condizione umana»

«Negli ultimi dodici mesi in Italia si è parlato di emergenza migratoria, è stato nominato un commissario, sono stati dedicati al tema sei decreti legge, dei memorandum con Libia e Tunisia, un comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica, un decreto flussi e tante altre misure che hanno re-introdotto multe, sequestri e fermi. La politica taglia, restringe, chiude e poi parla di immigrazione irregolare. La verità è che le possibilità di migrare regolarmente sono sempre meno» ha spiegato Luca Di Sciullo, presidente Idos, durante la presentazione del rapporto. «È uno sfregio continuo all’articolo 10 della Costituzione che garantisce il diritto d’asilo. Questo governo sta facendo passare un messaggio: sai a priori che ti espellerò e nel frattempo ti tengo internato, oppure speculo sul tuo bisogno chiedendoti 5 mila euro». Per Di Sciullo è «un modello detentivo, non inclusivo» che starebbe promuovendo «una violenza istituzionale, giuridica e burocratica». Termini come “cariche residuali”, “isole artificiali”, la considerazione dei migranti come moneta di scambio per accordi internazionali o qualsiasi altra parola finalizzata a spersonalizzare gli individui che espatriano «dovrebbe farci indignare». Per il ricercatore «la vera emergenza non è l’immigrazione, ma il sistema di accoglienza che non funziona». Gianfranco Schiavone dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) ha spiegato come il termine “irregolare” non sia mai legalmente corretto. «Chi chiede protezione non è irregolare» ha aggiunto, «perché sta cercando asilo ed è un suo diritto. Questa distorsione porta al respingimento. E così si arriva a limitare la libertà non per una condotta, ma per una condizione umana. Sei un problema perché esisti, questo purtroppo stiamo dicendo ai migranti».

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