ECONOMIA CIVILE E SOCIALE. VERSO UN DISTRETTO LAZIALE DI SVILUPPO SOSTENIBILE

La prima edizione del Festival Regionale dell'Economia Civile si terrà a Rieti dal 16 al 18 maggio: sarà l’occasione per coniugare economia civile e sociale e creare progetti nel territorio

di Maurizio Ermisino

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La prima edizione del Festival Regionale dell’Economia Civile si terrà a Rieti dal 16 al 18 maggio, a Palazzo Aluffi – Polo Universitario di Rieti, Sabina Universitas e Archi del Vescovado, in Via Cintia, 106. Il Festival sarà l’occasione per legare il tema dell’economia sociale a quello dell’economia civile in vista delle elezioni europee per immaginare e lavorare a un’Europa diversa, inclusiva e partecipata. Il Festival, che precede quello nazionale che si terrà a Firenze, nasce anche per dare seguito all’evento con la realizzazione di un Distretto di Economia Civile e Sociale che possa portare a una visione programmatica e duratura dello sviluppo sostenibile nel territorio laziale. Il programma e il form per registrarsi all’evento sono disponibili sul sito.

Economia civile e sociale
Luca Raffaele: «Il Festival regionale dell’economia civile vuole collegare economia civile e sociale e applicare questo modello a sperimentazioni di distretti che favoriscano lo sviluppo locale»

Ma di cosa parliamo quando parliamo di economia civile?  Oggi il termine “economia sociale” è più diffuso e usato, soprattutto in ambito europeo. Ma le esperienze e i principi dell’economia civile, maturati soprattutto in Italia, possono essere di grande aiuto per lo sviluppo dell’economia sociale. Ne abbiamo parlato con Luca Raffaele, Direttore Generale di NeXt – Nuova Economia per Tutti. «L’economia sociale e l’economia civile hanno in comune molto» ci ha spiegato. «Prima di tutto il rispetto e la dignità delle persone e dell’ambiente, che sostituiscono il modello di massimizzazione del profitto individuale. L’economia sociale è stata maggiormente codificata a livello europeo e dice qualcosa in più: che non basta occuparsi di persone e ambiente, ma serve che il Terzo Settore partecipi nelle varie fasi di gestione dell’economia. Quando si parla di economia sociale si pensa spesso alle Aps, al volontariato che interviene per supportare lo Stato per dare un servizio, presidiare il territorio, attuare la sussidiarietà. L’economia civile parte dal concetto della persona e dell’ambiente al centro, ma lo fa con meno restrizioni su chi può partecipare a questo modello di governance: e così la amplia ai soggetti del mondo profit. L’economia civile dice che, per cambiare le cose, tutti i soggetti di un territorio devono contribuire e partecipare. Parla quindi di reti ibride, di costruzione di un capitale sociale del territorio che coinvolga tutte le imprese che lo abitano al di là della loro natura giuridica. L’economia civile introduce un tema in più, quello della felicità pubblica. Per fare queste cose serve l’azione dal basso dei cittadini, ma bisogna misurare i benefici di queste azioni collettive. Bisogna cercare la felicità, e la felicità può essere misurata in maniera complementare a come si misura il Pil».

L’imprenditore civile ha un ruolo decisivo

L’economia civile si basa su principi come reciprocità, fraternità, gratuità e felicità pubblica, che possono dare alle esperienze dell’economia sociale qualcosa in più. «La felicità è qualcosa che ha a che fare con lo sviluppo della città e con la sua inclusività. Il discorso della reciprocità è chiaro: tutta l’economia civile si basa sulla cooperazione, sul mutualismo. E tutti gli altri valori sono ripresi in maniera abbastanza ordinata e chiara dall’uno e dall’altro modello. Non c’è una particolarità, se non che, nell’economia civile, anche l’imprenditore civile, oltre al cooperante e al volontario, ha un ruolo decisivo nel cambiare i modelli di sviluppo del proprio territorio».

 Economia civile e sociale: profit e non profit insieme

 L’economia civile e sociale è incentrata sulle persone e sull’ambiente e non sulla massimizzazione del profitto individuale, in un contesto di mercato. È caratterizzata da dignità e rispetto dei lavoratori e delle lavoratrici. Nell’economia civile e sociale la logica di collaborazione supera quella conflittuale, le aziende e le organizzazioni sono aperte al dialogo e la finanza è finalizzata allo sviluppo dell’economia reale e non alla speculazione. L’economia civile tra le sue principali peculiarità ha quella di allargare gli interlocutori imprenditoriali con i quali poter costruire il modello di sviluppo economico, coinvolgendo maggiormente il mondo delle imprese for profit. Queste imprese hanno un ruolo molto importante. «Sì, ce l’hanno, evitando la trappola del green washing che è insidiosa quando unisci soggetti che devono stare nella stessa partita, ma nascono con finalità diverse» ci spiega Raffaele. «Profit e non profit sono modelli diversi, ma tutti e due contribuiscono alla realizzazione dell’economia civile e sociale. Cambiano gli strumenti. Nell’economia civile è più semplice avere strumenti di rete, che hanno a che fare con modelli imprenditoriali e che prevedono anche specifici ruoli, come i manager di rete, ben codificati. Nei distretti di economia civile il contratto di rete viene in genere fatto dalle imprese profit per mettere insieme knowhow e strumenti territorio. I distretti di economia sociale nascono invece spesso da soggetti omogenei, ci si unisce tra simili, mentre l’economia civile è come una fase due, dove ci si allarga ad altri soggetti per investire altre risorse ed esser più efficaci e incisivi».

Felicità pubblica e autointeresse coopetitivo

L’economia sociale e l’economia civile, come spiega Raffaele, non sono e non devono essere modelli di altra economia, nicchie o oasi felici dove ci si unisce tra soggetti simili immaginando un mondo ideale, ma pensando a una felicità per pochi. «Quello che caratterizza l’economia civile e l’economia sociale è pensare alla felicità per tutti, partendo da chi è svantaggiato, senza limitarsi alle buone pratiche. Dobbiamo percepire soggetti che stanno già facendo un percorso virtuoso, senza classifiche tra buoni e cattivi». In questo senso un concetto interessante è l’autointeresse lungimirante: «prendersi cura dell’altro, raggiungere la felicità pubblica porta comunque un vantaggio e un autointeresse, non competitivo, ma coopetitivo: nel cooperare acquisisco un vantaggio. Quando le imprese si mettono insieme tra diversi, non sono rafforzano le loro relazioni, non solo fanno felici gli altri, ma sono anche economicamente più stabili, più produttive».

Il profitto serva ad investire e innovare

Nel documento pubblico Alleati nell’Europa per una nuova economia sostenibile ed inclusiva proposto nell’aprile 2022, in occasione della Conferenza Stato Europa, si mette in evidenza la grave insoddisfazione della maggior parte dei cittadini per il modello economico dominante, centrato sul dominio di un solo attore, il capitale. Una nuova economia sostenibile a livello ambientale e inclusiva deve avere il benessere per tutti come obiettivo e l’uso delle sole risorse rigenerabili della nostra Terra come limite. Ma, soprattutto, vede il profitto come necessità per potere investire ed innovare e come uno stimolo ad operare. «Non è da demonizzare il profitto ma il profitto individuale» commenta Raffaele. «Il profitto è giusto ma deve essere comunitario. Non deve essere demonizzato perché in questi anni ci siamo resi conto che le esperienze che si sono occupate di sostenibilità che non hanno raggiunto quel tipo di maturità economica hanno prodotto risultati peggiori». Ci sono due problematiche che ci portano a non realizzare ancora compiutamente il modello dell’economia civile. «La prima è l’indignazione, che va bene ma non porta a uno dei concetti chiave dell’economia civile che è la premialità» ci spiega il direttore generale di NeXT. «Se sono indignato e faccio un’azione di boicottaggio, faccio una cosa importante ma che non porta a quel cambiamento radicale che dovremmo applicare con urgenza. L’indignazione serve, ma serve una parte di premialità verso i modelli virtuosi». E questo si collega alla seconda, la partecipazione. «Le persone sono più consapevoli, più informate, ma sono rassegnate al fatto che il loro contributo non possa portare davvero a un cambio di paradigma. E molte volte la partecipazione si riduce drasticamente. Si tratta di capire quanto le persone sono disposte a fare un’azione anche per mettere solamente un seme. E questo è il grande tema dei prossimi anni, quello in cui ci giocheremo la partita».

Le aziende: economia civile nel Dna o percorsi di transizione

La narrazione corrente ci dice però che le grandi aziende sono da sempre orientate al profitto e all’accumulo di capitale. Le aziende profit che sposano l’economia civile nascono già in quest’ottica? E le aziende a modello capitalista che stanno sposando questa idea lo fanno per convinzione o per convenienza? «Se mi avessero fatto questa domanda dieci anni fa avrei detto che molte delle imprese nascono già con i riferimenti dell’economia civile nel loro Dna» ci risponde. «In questi ultimi dieci anni molte imprese non nate in questo modo invece stanno facendo dei percorsi di transizione verso l’economia civile. Ci sono tanti segnali di questo cambiamento perché si comincia a parlare di benessere organizzativo, di partecipazione dei lavoratori e lavoratrici nelle scelte strategiche. Le collaborazioni, le reti e i partenariati sono sempre più numerosi. Vedo un’accelerazione dovuta al tempo che avanza e che l’economia sociale e civile sta diventando sempre più mainstream». È l’Europa che sta dando una spinta in avanti in questo senso. «Se avessimo aspettato il sistema Paese per fare determinate scelte saremmo andati lunghi con i tempi» spiega Raffaele. L’Europa, con gli obblighi che applicherà alle imprese per le rendicontazioni sta dando un’accelerazione: a volte le imprese lo fanno per cultura, a volte per esigenza, ma l’importante è farlo. Il cambiamento riguarderà anche le piccole imprese; l’obbligatorietà scatterà nel 2028 per le grandi, ma le filiere delle piccole saranno comunque ingaggiate».

Il Festival di Rieti: l’economia civile nei territori

Nella prima edizione regionale del Festival di Rieti si parlerà di tutto questo, ma si proverà anche a sperimentare una forma nuova di Distretto per l’economia sociale e civile nei territori. «È il primo festival regionale dell’economia civile, un appuntamento verso il festival nazionale che organizziamo ogni anno a Firenze» ci illustra l’organizzatore. «E ha più di un obiettivo. Il primo è culturale: collegare economia civile e sociale per far capire che il modello economico di riferimento è quello che integra questi due aspetti e può essere il futuro non solo per l’Italia, ma anche per l’Europa. Il secondo è quello di applicarlo a sperimentazioni locali che mettano insieme P.A., terzo settore, imprese, gruppi informali, università e scuole per creare nuovi modelli di distretti di economia civile e sociale che favoriscano lo sviluppo locale delle città, delle aree interne e dei piccoli comuni. L’ultimo giorno si tireranno le fila, per capire quali siano le condizioni per creare questo distretto che dovrà studiare uno sviluppo del territorio realizzabile, tenendo conto di quei valori che dalla teoria dobbiamo applicare alla pratica. E l’Europa diventa il nostro modo per dire quello che per noi è importante in vista delle prossime elezioni europee».

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