“NELLE SITUAZIONI PIU DIFFICILI L’AMMINISTRAZIONE COLLABORI”
Tanti chiedono il rafforzamento della collaborazione tra associazioni e Amministrazione locale, soprattutto nella fase 2. Parlano i Medici per i Diritti Umani
27 Aprile 2020
Sebbene la curva del contagio stia lentamente calando e di conseguenza la pressione sulle strutture ospedaliere si stia abbassando, quello che ci apprestiamo a vivere è un periodo caratterizzato da poche certezze, contrapposte a molti punti interrogativi. La cosiddetta fase due è prossima, e la parola che l’accompagna è cautela, perché tutto potrebbe precipitare nuovamente. Le strategie messe in campo dal Governo, tra app di tracciamento e limitazione degli spostamenti, sembrano però dimenticare, o comunque non dare il giusto rilievo, al fatto che più che l’individuo, ad aver bisogno di essere tracciato in maniera sistemica è il territorio, il che si traduce con nessuno escluso. Da più fronti si chiede il rafforzamento della collaborazione tra associazioni e Amministrazione locale, soprattutto in questa fase, la più delicata, in cui degli errori del recente passato si deve far tesoro.
Falsa partenza al Selam
Lunedì 6 aprile, l’esercito arriva a Palazzo Selam per circoscrivere la prima zona rossa di Roma, poiché il giovedì precedente erano state trovate due persone positive al Covid19; martedì 21 aprile, a quarantena finita, il numero degli infetti era arrivato a 53. Ora che l’esercito è andato via, è stato attivato un servizio di sorveglianza attiva condotto da Medici Senza Frontiere e Medicines du Monde in collaborazione con l’ASL RM 2.
Tutto risolto? In realtà no, se da un lato il presidio sanitario attivato dai medici volontari sembrerebbe offrire un sostegno agli abitanti del Selam, dall’altro lato Cittadini del Mondo, storica associazione attiva al Selam, si dice «amareggiata» per la mancanza di coinvolgimento di cittadini e associazioni che fanno fronte da tempo alle avversità in cui si trovano gli abitanti del palazzo, poiché totalmente ignorati dalle istituzioni. Il sostegno sanitario è necessario, così come lo è l’approvvigionamento delle risorse alimentari. Ma la confusione dovuta alla mancanza di concertazione tra associazioni e Amministrazione pubblica è tale da far chiedere alla stessa associazioni attraverso una nota se tutto si possa dire veramente risolto: «Chi è stato ricoverato come Covid positivo ed è ormai guarito, potrà rientrare senza pericolo di un nuovo contagio? E alla luce di tutto ciò i nostri aiuti e interventi sono ancora necessari a Palazzo Selam? Gli abitanti che fino a oggi hanno avuto bisogno del nostro sostegno, da domani riusciranno a cavarsela serenamente da soli?»
Secondo Cittadini del mondo «la Asl avrebbe dovuto dare informazioni sulla pianificazione delle settimane successive per il contenimento dell’infezione», cosa non avvenuta.
L’azione e la prevenzione
Insediamenti precari e condizioni abitative al pari del Selam sono una realtà nota e diffusa a Roma, presente in numerosi punti della città. E i dati dell’ultimo censimento Istat, riferito al 2014, riportano circa 8.000 persone senza fissa dimora. Una cifra importante che non può non essere tenuta a mente quando si parla di pandemia. Il lavoro che le associazioni stanno portando avanti in questo momento è indispensabile, ma risulta inefficace se dall’altro lato le istituzioni non sono pronte a sostenerle.
«Pensare di gestire un’epidemia con un approccio ospedale-centrico è fallimentare, perché l’epidemia va affrontata con una politica di sanità pubblica sul territorio, volta a isolare e limitare il contagio a monte, in modo che la piena non arrivi a valle travolgendo tutto, anche il sistema ospedaliero più eccellente e strutturato», spiega Alberto Barbieri, di Medu, Medici per i Diritti Umani, organizzazione che si occupa di persone in stato di vulnerabilità in tutta Italia. A Roma l’associazione è attiva presso le stazioni di Tiburtina e Termini, oltre che nei vari insediamenti e occupazioni che si trovano in diversi luoghi della Capitale, dando sostegno a circa 3000 persone. Come molte realtà del Terzo settore, il lavoro di Medu, da inizio epidemia si è focalizzato sul Covid, svolgendo azione di monitoraggio da un lato, facendo screening sulla popolazione attraverso il controllo della temperatura e i test sierologici; e svolgendo azioni di prevenzione e sensibilizzazione e dall’altro, attraverso la distribuzione di disinfettanti e mascherine.
«Distribuiamo mascherine uno o due volte a settimana», continua Barbera. «Spiegando l’importanza del loro utilizzo, l’ideale sarebbe avere a disposizione un numero sufficiente di mascherine da distribuire quotidianamente, ma al momento non è possibile, inoltre mascherine e disinfettanti sono diventati beni talmente preziosi che vanno letteralmente a ruba, tant’è che qualche giorno fa un’unità mobile è stata scassinata e derubata dei dpi.»
Fase due: le risposte devono essere di sistema
Le difficoltà in questo momento sono molteplici, ma la necessità più grande, secondo le associazioni, resta la sponda che dovrebbe dare l’Amministrazione al loro operato. «Le associazioni operano in contesti dove l’SSN non entra mai, però manca un sostegno da parte dell’amministrazione, che sia essa comunale, regionale o sanitaria. Ad esempio a Roma non sono presenti strutture per la quarantena: se rileviamo una persona con sintomi da Covid e con parametri socioanagrafici di rischio, ma con condizioni che non giustificano un ricovero, o una chiamata al 118, e poi non ci sono strutture dove le persone possono fare la quarantena, ovviamente l’intervento non è efficace».
La fase due è imminente, e l’assenza di una messa a sistema della gestione dell’epidemia potrebbe creare pericolosi focolai: «stiamo chiedendo con insistenza la creazione di strutture per la quarantena agili, nel senso che, come noi, la maggior parte delle associazioni opera nella fascia oraria serale, e dunque abbiamo la necessità di strutture che possano accogliere anche in orari non usuali. Abbiamo altresì chiesto l’istituzione di una linea telefonica da contattare in caso di collocamento di possibili infetti». Al momento né struttura né linea telefonica sono presenti e gli elementi critici non si limitano solo alla mancanza di strutture, ma anche alla mancanza collaborazione tra strutture.
Medu ha segnalato un aneddoto avvenuto alla stazione Termini qualche giorno fa e che rende bene l’idea di cosa sia un sistema scarsamente collaborativo: «una situazione che definirei grottesca in quanto, avendo rilevato una persona potenzialmente infetta nei pressi della stazione, abbiamo chiesto collaborazione al nuovo triage di Termini. La persona al triage ci ha comunicato che non poteva fare nulla per noi e che non poteva contattare il medico, in quanto quella struttura è destinata solo ai viaggiatori. Il medico all’interno del triage non poteva essere raggiunto per via delle barriere che noi non potevamo oltrepassare. Fortunatamente la persona che avevamo individuato è poi risultata negativa».
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