LA GUERRA ALLE PORTE DELL’EUROPA, KIEV COME SARAJEVO?

La guerra, lo spaesamento del popolo ucraino, la decolonizzazione di ciò che è russo e il nazionalismo, gli equilibri internazionali. E un’Europa che dovrebbe somigliare all’idea che gli altri hanno di noi. Se ne è parlato a Multi 2024

di Maurizio Ermisino

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«Se da bambino mi avessero detto che la mia nazione sarebbe scomparsa dalla faccia della Terra avrei pensato che sarebbe stato impossibile. Ma poi ho pensato che la mia nazione sarebbe scomparsa, cancellata». È quello che rivelava, in un’intervista del 1980 a Philip Roth, Milan Kundera. Queste parole sono risuonate in apertura dell’incontro Da Sarajevo a Kiev: La guerra alle porte dell’Europa, a Multi, manifestazione promossa da Slow Food Roma e Lucy sulla cultura con il supporto anche di CSV Lazio. Con Andrea Graziosi, storico e scrittore, e Adriano Sofri, giornalista, moderati da Lorenzo Gramatica, si è cercato di raccontare lo spaesamento che gli ucraini vivono oggi, a due anni e mezzo dall’inizio di questa guerra. Ricordando che con l’idea di una guerra in Europa, che ci turba così tanto, avevamo già fatto i conti più di trent’anni fa, con la Guerra dei Balcani.

ucraina
Andrea Graziosi e Adriano Sofri, moderati da Lorenzo Gramatica a Multi 2024

Gli ucraini, trattati come fratelli traditori

«Ho iniziato ad andare a Kiev negli anni Novanta» ricorda Andrea Graziosi. «Il mondo ucraino allora non era mischiato alla Russia, ma alla cultura sovietica, una cultura materiale, fatta di cose lette, telegiornali visti, film e durata settant’anni». «Adesso si sta in un posto completamente diverso» continua. «Molti parlano ancora il russo, non si è penalizzati». «La sensazione che ho avuto, fortissima, è quella di un uomo che è partito, che si è fatto una nuova vita, e un lontano parente convinto che sia un fratello traditore venuto a bombardare» spiega.

 Incredulità

Ma che cose vuol dire, in concreto, per gli ucraini, vivere una vita in guerra? «La vita continua, la città è viva. Poi arrivano le sirene, i bombardamenti. Ti guardano e dicono: dobbiamo andare in rifugio. Le prime volte ci vai, poi non più. È un mondo altro che si sente perseguitato da qualcuno che gli chiede di cambiare. L’Ucraina si è diretta altrove rispetto a un mondo abbastanza simile, è diventata un’altra cosa. Gli Ucraini la persecuzione non la capiscono. C’è un senso di incredulità».

Eliminare tutto ciò che è russo

«Ho frequentato l’Ucraina solo dopo la guerra», racconta Adriano Sofri. «Sono stato lì più di sei mesi. Ho frequentato Odessa, Mykolaïv, Dnipro, Zaporižžja e sono rimasto colpito da come a Odessa il monumento a Pushkin verrà abbattuto e distrutto, da come i nomi delle strade dedicate a Pushkin e Babel sono stati cambiati per intitolarle a qualche nazionalista oltranzista ucraino». Si chiama decolonizzazione, un processo che vuole provare a rimuovere tutto ciò che è russo.  «Questa scelta del potere ucraino è un errore strategicamente gravissimo» riflette Sofri. «Il primo discorso di Zelensky fu in russo, poi non è più successo. I libri russi sono stati distrutti e buttati fuori dalle librerie». «Un errore grave da chi solidarizza con gli ucraini fuori dall’Ucraina – come l’UE, l’Unesco, l’Italia che ha promesso di ricostruire i monumenti – è che nessuno ha detto nulla contro questa deriva nazionalista» continua. «L’Ucraina non scomparirà come Paese: si è enormemente rafforzata e, come era inevitabile, si è rafforzato il nazionalismo».

La Russia, l’Ucraina, l’America e la Cina

La cosa che spaventa di più Putin è l’espansione della Nato verso est, e il fatto che l’Ucraina voglia andare verso l’Europa. L’Unione Europea è così fragile agli occhi di noi europei, ma estremamente desiderabile per chi non c’è. Ci si chiede cosa e quanto manchi, oggi, alla fine di questo conflitto. «Per finire una guerra cosi ci vuole un armistizio» ragiona Graziosi, «ma bisogna capire cosa si negozia. Tutti vogliono la pace ovviamente, ma altrettanto ovvio è che non è semplice. Il punto non è cosa si concede, ma le volontà. L’impressione è che tutti aspettino le elezioni americane per capire con chi discutere». Ma ci sono importanti equilibri di geopolitica dietro a questa guerra. «La Russia riesce ad andare avanti perché ha il sostegno cinese» spiega Graziosi. «E alla Cina questa guerra conviene perché porta uno spostamento della Russia dall’Europa verso di sè». Oggi nessuno dei leader, per questioni di retorica, parla di tregua, ma è una guerra che è già ferma, in cui, nell’ultimo anno, ci si sposta guadagnando solo qualche centinaio di chilometri quadrati.

L’Ucraina come l’ex Jugoslavia

Questa guerra alle porte dell’Europa fa venire in mente l’ex Jugoslavia. Entrambi sono territori plurilinguistici e, allora, Milosevic considerava serbo qualsiasi territorio in cui c’era un serbo, come oggi Putin considera russo qualsiasi territorio in cui c’è un russo. Altri aspetti sono diversi. «Milosevic era un nazionalista tradizionale» spiega Graziosi. «Putin non lo è. La Russia è un continente nella visione di Putin: lui è anti Europa nel senso che pensa che la Russia sia un continente e che di questo faccia parte l’Ucraina. In Russia c’è tanta gente, anche intellettuali, che invece crede che la Russia sia in Europa». L’ideologia di Putin è una cosa estremamente interessante per gli storici. «Quello che è stato costruito a Mosca negli anni Novanta è una novità» spiega Graziosi. «È iniziato con la ricostruzione della verticale del potere e con l’idea che la Russia sia una cosa a parte. Ma Putin ha fatto un’evoluzione: ha cominciato come anticomunista e questo è uno dei suoi successi in Occidente. Oggi in Russia Stalin è stato rivalutato pienamente, e stanno tornando i primi monumenti in suo onore».

L’Europa dovrebbe somigliare all’idea che ne ha chi non ci vive

L’Europa, ora come allora, tentenna. Cosa dovrebbe fare per risolvere questa situazione? «Dovrebbe cercare di somigliare all’idea che ne hanno quelli che ne sono al di fuori» risponde Sofri. «Kundera aveva scritto come l’Europa che desiderava un cittadino di Praga fosse un ideale che questa non era in grado di perseguire e nemmeno di immaginare. Questo continua ad accadere» continua. «L’idea che dell’Occidente hanno le ragazze di Teheran è un ideale formidabile. L’Europa dovrebbe cercare di somigliare un di più a quell’idea che smentiamo dalla mattina alla sera».

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