HOTSPOT. MA QUANTO FANNO MALE AI MIGRANTI. E A NOI

La commissione per i diritti umani al Senato denuncia tutte le criticità di queste strutture ingiuste, che producono irregolari

Condizioni igienico-sanitarie “appena dignitose”, minori non accompagnati “lasciati liberi e senza alcuna tutela”, difficoltà nella fase di preidentificazione perché “non tutti gli stranieri sono in grado di comprendere quello che viene loro richiesto” e persone che rifiutano di farsi identificare tramite il rilevamento delle impronte digitali. Una vera e propria bocciatura quella che la commissione Diritti umani del Senato ha dato al nuovo sistema degli hotspot per i migranti. La Commissione ha presentato alla stampa la seconda edizione di un rapporto che evidenzia e denuncia anche le criticità legate ai Cie (Centri di identificazione ed espulsione), emerse nel 2015 e in queste prime settimane del 2016.

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Il senatore Luigi Manconi

«La fase di preidentificazione», hanno spiegato Luigi Manconi e Riccardo Mazzoni, rispettivamente presidente e vicepresidente della commissione, «così come viene attualmente effettuata, risulta essere un esame sommario e superficiale, che non coinvolge gli operatori umanitari e non tutela pienamente il diritto a chiedere un’eventuale protezione internazionale da parte dei profughi». Costoro, infatti, spesso sono analfabeti, oppure hanno un grado di istruzione molto basso e non possono comprendere ciò che viene loro richiesto circa le ragioni del loro “viaggio” nel nostro Paese e la volontà o meno di chiedere asilo.
Dall’ispezione della Commissione è emerso il caso di 184 eritrei, presenti a Lampedusa da alcune settimane, quando in realtà gli hotspot prevedrebbero una permanenza dei migranti di pochissime ore (massimo 48), perchè non vogliono farsi identificare: questi stranieri chiedono di lasciare l’isola e raggiungere altre destinazioni europee senza essere registrati nel sistema Eurodac.
Stessa situazione riguarda un gruppo di migranti provenienti da una regione dell’Etiopia, i quali, non volendo presentare domanda d’asilo in Italia, non rientrerebbero comunque nei programmi di ricollocamento in quanto legati a una nazione non ammissibile per la redistribuzione a livello europeo.
La domanda conseguente, posta da Manconi e Mazzoni, è una sola: «Occorre definire la natura giuridica dei centri in cui si attua l’approccio hotspot: continuano a essere centri di prima accoglienza o diventano dei centri di identificazione ed espulsione, unica tipologia di strutture dove si è trattenuti e da cui non ci si può allontanare?».

Chi arriva nell’hotspot di Lampedusa

Entrando nel merito del dossier, la Commissione ha visitato il primo degli hotspot aperti nel nostro Paese, quello di Lampedusa, rilevando che tra l’l1 settembre 2015 e il 13 gennaio 2016 sono arrivati sull’isola 4.597 cittadini stranieri: di questi ne sono stati registrati e identificati 3.234 (870 provenienti dall’Eritrea, 848 dalla Somalia, 711 dalla Nigeria, dal Marocco 535, 235 dal Sudan, 222 dal Gambia, dal Mali 133, dalla Guinea 130, dalla Siria 129, e numeri più bassi da altri Paesi). Ma al programma di ricollocamento hanno avuto accesso solo 563 persone (circa il 12 per cento del totale). Di queste 279 sono già state trasferite nei Paesi di destinazione, mentre 198 sono in attesa di partire. Altre 86 hanno avviato la procedura i primi giorni di gennaio. Come previsto dal piano europeo si tratta di eritrei (nella maggior parte dei casi), insieme a siriani e iracheni. Le persone che, invece, hanno manifestato la volontà di chiedere asilo nel nostro Paese sono 502 (10 per cento).
hotspotQuanto ai minori, accompagnati e non, ne sono sbarcati complessivamente 612. Di questi, 320 (non accompagnati) sono stati trasferiti da Lampedusa e inseriti nel circuito d’accoglienza siciliano. Altri 20, minori accompagnati, verranno ricollocati.
Ma il nodo cruciale riguarda coloro che non hanno voluto chiedere asilo in Italia e sono stati considerati, quindi, migranti irregolari: 74 sono stati trasferiti nei Cie in tutta Italia, mentre 775 hanno ricevuto un provvedimento di respingimento differito, con l’ordine di lasciare il territorio nazionale entro 7 giorni (sono complessivamente più del 18 per cento del totale degli stranieri arrivati a Lampedusa). «Questi ultimi, secondo quanto denunciato da alcune associazioni, una volta trasferiti da Lampedusa, sono sbarcati a Porto Empedocle dove hanno ricevuto il provvedimento del questore di Agrigento, senza aver ricevuto nessuna informazione in merito a ciò che sarebbe loro accaduto e senza aver diritto a essere ospitati nel circuito d’accoglienza», denuncia il dossier . «Di fatto, sono destinati a rimanere irregolarmente nel territorio italiano e a vivere e lavorare illegalmente e in condizioni estremamente precarie nel nostro Paese».

Ridefinire la natura degli hotspot

Secondo la commissione Diritti umani, dunque, la natura giuridica dei centri in cui si attua l’approccio hotspot deve essere meglio definita: «continuano a essere centri di prima accoglienza o diventano dei centri di identificazione ed espulsione?». Non solo, ma data la presenza altissima e costante di profughi provenienti dall’Eritrea nei flussi dalla Libia verso l’Italia (38.612 persone sbarcate in Italia in tutto il 2015 e 870 persone solo a Lampedusa, da settembre 2015 a metà gennaio 2016), la questione, delicatissima, dei cosiddetti “transitanti” è cruciale per l’effettivo funzionamento dell’Agenda Ue. Il rifiuto di farsi identificare viene motivato dai profughi dal fatto di non poter scegliere il Paese di destinazione, su cui, una volta avuto accesso al ricollocamento, possono esprimere solo una preferenza. Mentre «la possibilità di determinare la destinazione di un richiedente asilo in un altro Stato europeo in base all’esistenza di una rete familiare o una rete di conoscenze o di rapporti culturali (così come dalle clausole discrezionali dello stesso regolamento di Dublino) andrebbe privilegiata e diventerebbe un fattore incentivante per la partecipazione al programma», sottolinea la Commissione.
Per questo, secondo il rapporto «l’intero sistema andrebbe riconsiderato partendo dai risultati di questi primi mesi di attuazione: a un tasso di identificazioni che ha superato l’80 per cento, non corrispondono risultati positivi in termini di persone ricollocate e persone rimpatriate. Unico risultato tangibile è l’aumento di stranieri con in mano un decreto di respingimento differito del questore che intima di lasciare il nostro Paese entro sette giorni. Persone che di fatto rimangono poi nel territorio italiano irregolarmente. Persone, dunque, escluse da ogni possibilità di regolarizzazione e di inserimento in un percorso di integrazione». Sarebbe, invece, «opportuno avviare un piano per ridurre il fenomeno dell’irregolarità che è strettamente collegato all’aumento della marginalità».

La preidentificazione

Le modalità di svolgimento della preidentificazione sono assai problematiche. Appena sbarcati, infatti, i migranti vengono trasferiti nel Cpsa di Contrada Imbriacola, dove viene fatta «una prima differenziazione tra le persone richiedenti asilo/potenziali ricollocabili e quelle in posizione irregolare». Tale procedura – denuncia la Commissione – si svolge dunque quando i profughi, soccorsi in mare e appena sbarcati, «sono spesso evidentemente ancora sotto shock a causa di un viaggio lungo e rischioso».
Non si tratta poi “di un colloquio vero e proprio”, ma della semplice compilazione di un questionario che risulta formulato in maniera estremamente stringata e poco comprensibile. Non tutti gli stranieri, infatti, sono in grado di comprendere quanto viene richiesto poiché le zone di provenienza sono diverse e l’accesso alle quattro lingue tradotte dai mediatori non è scontato. Inoltre, la presenza di persone analfabete o poco alfabetizzate è evidentemente molto alta e «la presenza di operatori dell’Unhcr e di altre organizzazioni internazionali all’interno del centro è garantita, ma non è prevista in questa fase». La gestione dei migranti nel nostro Paese rimane, dunque, molto critica ed evidenzia sempre più l’esigenza di un approccio decisamente differente.

(La foto di copertina è di Giorgio Marota)

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