IMPARARE DIVERTENDOSI: CI PENSA DIMITRIE

Dimitrie Worms è insegnante di sostegno nella scuola primaria Federico Fellini a Roma. Crede nella scuola come espressione di sé e fiducia nelle proprie capacità  

di Maurizio Ermisino

«Papà, a scuola c’è un maestro che insegna giocando». Eravamo a settembre, a pochi giorni dall’inizio della scuola, ed entrambi i miei figli, che fanno la prima e la terza elementare, un giorno se ne sono usciti con questa notizia. Poi noi genitori abbiamo avuto modo di conoscerlo. Si chiama Dimitrie Worms, ha 35 anni ed è l’insegnante di sostegno di alcune classi della scuola primaria Federico Fellini, che fa parte dell’IC Stabilini, a Cinecittà, Roma. Il suo arrivo è stata una benedizione in un anno come questo, che per gli alunni è stato particolarmente pesante. Alle norme di comportamento che già la scuola di per sé prevede, si sono aggiunte le regole di contenimento del Covid-19. E, come sappiamo, tutte le occasioni di gioco e di svago fuori dalla scuola sono state limitate. Ma in questa storia non parliamo solo di questo. Parliamo di un approccio alla scuola che ci piace. Una scuola che non deve essere solo lavoro, ma anche espressione di sé e fiducia nelle proprie capacità, inclusione e passione.

In questi mesi i bambini si sono trovati molto a loro agio, con modi nuovi di affrontare l’apprendimento. Quando si è trattato di restare a casa e mettere in pratica la temutissima DAD, la didattica a distanza, ad esempio, si sono visti arrivare dei video spassosi in cui materie come scienze e tecnologia erano trattate dalla maestra, diventata il personaggio di Floretta, insieme al suo imbranato assistente Poldo. Poldo era Dimitrie. In un’altra classe, per sensibilizzare i bambini sulle tematiche ambientali, ha fatto fare loro un video a ritmo di rap in cui, in rima, scandivano i consigli per prendersi cura del nostro pianeta. E, anche in un momento in cui non è possibile fare gite, il nostro maestro è riuscito, in qualche modo, ad ovviare al problema. I bambini, pur rimanendo nel cortile della scuola, hanno preso un pullman di cartone e si sono recati in un parco giochi pieno di stand e di attività. Con una serie dei materiali a cui il maestro ha lavorato a lungo in questi giorni.

Imparare divertendosi

È la scuola che ci piace, quella in cui abbiamo fiducia. «La mia idea di insegnamento parte da due presupposti» ci ha raccontato Dimitrie.

imparare divertendosi
Un momento della “gita scolastica” nel cortile della scuola

«Primo, che la scuola non deve essere una cosa noiosa, non deve essere un lavoro. Spesso sentiamo dire: “dobbiamo lavorare”. I bambini non devono lavorare. Devono imparare, ma farlo divertendosi. Ed è un principio universale. Anche noi adulti impariamo di più quando facciamo qualcosa che ci piace. Il secondo principio è questo. Io ho venti alunni. Se ho la presunzione di arrivare a venti alunni diversi, con venti intelligenze diverse, utilizzando un unico canale, sicuramente fallisco, ma non è colpa degli alunni. Sono convinto che il 90% dei disturbi dell’apprendimento che vengono diagnosticati ai bambini siano fasulli».

Questo accade perché la scuola italiana ha un difetto. «Usa un solo canale di apprendimento, quello linguistico», spiega il maestro. «Anche per la matematica: la imparano scrivendo e leggendo, operazioni sul quaderno e la lavagna. Se un bambino non ha quel tipo di intelligenza, che apprende con il visivo, con l’uditivo, col motorio, con l’arte, facendo esperienza, e se gli do quell’unico canale, l’ho distrutto. E se un bambino capisce che su una cosa è in difficoltà, è finita. Quella cosa diventa un ostacolo da superare, ci si blocca proprio. La mia missione, come insegnante, è conoscere ogni bambino e capire qual è la sua specificità, il suo punto di forza».

L’intelligenza cinestetica

E i nostri bambini Dimitrie ha dimostrato di conoscerli, di saperli ascoltare, di andare incontro alle loro peculiarità. «Pensiamo a un bambino appassionato della ricerca, che sia un ricercatore, un esploratore», ci fa riflettere. «Se gli voglio far apprendere una cosa, devo fare leva su questo aspetto: allora magari organizzo una caccia al tesoro, o un’indagine da detective, per imparare le cose. Se scrivo le cose sulla lavagna magari le impara lo stesso, ma ci mette di più. E cosa rimane poi tra qualche anno?». «Se un altro bambino ha una vena artistica, deve imparare attraverso l’arte». Il segreto, insomma, è cambiare sempre, per non annoiare i bambini. «Vedo che molti bambini hanno un’intelligenza cinestetica, legata ai movimenti, apprendono tantissimo quando si muovono», ci ha spiegato Dimitrie. «Così abbiamo pensato di fare apprendere la matematica con l’uso del corpo. Abbiamo lavorato sul reticolo e sulle coordinate, A1, B1, come la battaglia navale. Abbiamo realizzato un vero percorso, un reticolo a terra in cui i bambini si muovevano. E il movimento li ha aiutati a capire tutto questo molto meglio che con la solita scheda».

Il coordinatore dell’inclusione

Fare l’insegnante di sostegno, oggi, è un lavoro molto diverso di quello a cui siamo soliti pensare noi che siamo andati a scuola negli anni Settanta. «L’insegnante di sostegno viene richiesto quando in classe un bambino ha una disabilità importante», spiega Worms. «L’errore più grande che viene fatto è pensare che l’insegnante di sostengo debba lavorare prettamente con il bambino disabile. La legge parla chiaro: per favorire l’inclusione nella classe è importante che l’insegnante di sostegno venga percepito come insegnante di tutta la classe e non come il maestro del bambino. Perché questo accada ci deve essere uno scambio. Altrimenti il bambino percepisce che è differente dagli altri, perché ha un insegnante che si occupa solo di lui. E la classe percepisce che quel bambino ha bisogno di un aiuto perché ha il suo insegnante. E non riesce a vedere te come l’insegnante di classe». «L’insegnante di sostegno è il coordinatore dell’inclusione scolastica della classe, ha il ruolo di garantire questa inclusione» ci spiega. «L’inclusione non è: tutti devono fare le stesse cose allo stesso modo. L’inclusione è dare a tutti le stesse opportunità in forme diverse. Che è quello che bisognerebbe fare sempre, non solo con il bambino disabile: partire dalle capacità del bambino, dai punti di forza e debolezza, e su questo organizzare una didattica che sia inclusiva. Se devo lavorare sui problemi di matematica, posso fare due gruppi che lavorano in modo diverso. È questo quello per cui mi batto».

Arriva Poldo

Il format Ma Che Scienza, che ha allietato le giornate dei bambini durante la zona rossa e la DAD, è nato per caso. «Una delle maestre ha detto: voglio andare al Bioparco, prima che chiudano, per registrare qualcosa da far vedere ai bambini», racconta Dimitrie. «Io ho rilanciato: allora realizziamo un format per questa DAD. Era previsto che scienza e tecnologia fossero trattate in maniera asincrona, si potevano mandare delle schede. Invece abbiamo pensato a un format per scienze e tecnologia, insieme. Ci siamo visti a scuola, abbiamo fatto le riprese in una giornata». E così sono entrati in scena Floretta e Poldo, l’assistente imbranato che i bambini (e anche i grandi) adorano. «È nato sul momento, è stato tutto improvvisato. Le idee più belle che ho avuto a scuola sono nate così. Come quella della gita».

Grazie caro maestro

Ma da dove arriva la passione, questa passione, per l’insegnamento? Da molto lontano, e da un programma tv.

imparare divertendosi
Secondo il maestro Dimitrie Worms nelle scuole bisognerebbe introdurre il teatro

«A otto anni ho detto ai miei genitori che volevo fare il maestro», confessa Worms. «Tutto è partito da Marco Columbro e dalla serie tv Caro maestro. Ne ero appassionato. E non dicevo: “vorrei avere un maestro come lui”, ma “vorrei essere un maestro come lui”». Anche la scelta della scuola superiore è curiosa e appassionante. «Ho fatto il liceo scientifico, anche clandestinamente» racconta. «I miei genitori mi avevano iscritto all’Istituto Tecnico per odontotecnici, perché, nel caso non avessi voluto fare l’università, avevo un lavoro in tasca. Finito il primo anno, mi ero reso conto che la scuola non mi stava formando, e, senza dire nulla, sono andato a chiedere il nullaosta e a iscrivermi al liceo. Ho solo portato ai miei i documenti da firmare, li ho messi davanti al fatto compiuto». Finite le superiori ha iniziato a lavorare come animatore, con l’associazione La Barchetta, con cui lavora ancora. «Arrivato il momento di iscrivermi all’università, i miei volevano delle facoltà prestigiose, come medicina. Io volevo insegnare, così trovammo un compromesso: neuropsicomotricità dell’età evolutiva, una facoltà paramedica, che aveva a che fare con i bambini». In tre anni Dimitrie si laurea, e lo fa anche la sua ragazza, che oggi è sua moglie. Pensano di iscriversi a Scienze della formazione primaria, e di fare insieme il test d’ammissione. «Sono molto credente» ci racconta Dimitrie. «E ho fatto una sorta di sfida a Dio. “Sai che il mio sogno è fare il maestro. Io non studio. Se quella è la mia strada, fai in modo che si apra”. Ho fatto il test, eravamo in 2500 per 250 posti, sono arrivato primo, e non ho sbagliato neanche una risposta». Se stava cercando un segnale, eccolo qui.

Il teatro dovrebbe essere materia scolastica

Dimitrie Worms fa anche teatro da 23 anni, da quando ne aveva 12, una passione nata grazie alla professoressa delle scuole medie. Così ha studiato recitazione, dizione, regia, scrittura creativa. Oggi insegna teatro, dirige e scrive spettacoli. L’associazione culturale La Barchetta si occupa di teatro, anche per i bambini. «Il teatro dovrebbe essere una materia scolastica, è una disciplina che include tutto» ci spiega. «Nella scuola italiana siamo ancorati all’insegnamento delle conoscenze. Si parla tanto di lavoro sulle competenze. Ma non si riesce a scardinare la mentalità antica di lavorare solo sulle conoscenze. Così l’insegnate svolge il ruolo di Google e di Alexa. Oramai viviamo in un’epoca in cui il bambino, se vuole, le nozioni le trova prima che l’insegnante gliele trasmetta. A scuola dovresti lavorare sulle competenze del bambino, renderlo competente. Se devo lavorare su spesa, guadagno e ricavo non ci lavoro sul libro, li porto al mercato a fare la spesa». «Il teatro è una fonte di lavoro sulle competenze», spiega. «Non faccio leggere un testo perché è fine a se stesso, ma perché devo andare in scena. Facendo teatro fai italiano, ci sono la lettura e la scrittura, fai educazione civica. Tratti tematiche che possono essere sociali, fai storia perché lavori su un discorso temporale, fai geografia perché c’è l’organizzazione degli spazi; fai matematica, perché trovi le misure del palcoscenico e dei costumi. Lavori su arte e immagine: puoi far realizzare a loro i costumi, ma lavori divertendoti e facendo fare loro esperienze».

«Il teatro di permette di liberare le tue emozioni senza essere giudicato» aggiunge. «Se piangi, se ti arrabbi, lo puoi fare perché non sei tu, ma è il tuo personaggio a farlo».

La consapevolezza di saper fare le cose

Il punto è che le cose vanno fatte capire. «Soprattutto con i bambini, quello che manca proprio è l’autoefficacia»,  dice appassionato il maestro. «I bambini non hanno la consapevolezza di quello che sanno fare e di quello che non sanno fare. Sei tu insegnante, o genitore, che gliela devi trasmettere. I bambini non lo sanno». Ad esempio, il maestro ci parla delle lezioni di tecnologia, un percorso sui materiali che sta facendo a scuola. «Ci sono bambini che hanno una competenza nell’uso dei materiali pazzesca», racconta. «E noi glielo abbiamo detto apertamente. “Guarda che capacità hai, guarda come hai fatto questo lavoro”. Gli insegnanti invece di solito tendono a dire all’alunno che ha sbagliato, che non è preparato. E anche il bambino si focalizza su questo. L’errore fa parte di un percorso. Se faccio un errore a lezione io lo ammetto: il maestro non è perfetto, sbaglia anche lui come mamma e papà. Anche le grandi scoperte scientifiche nascono da errori».

 

 

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