IN ARRIVO IL NUOVO DECRETO FLUSSI: PIÙ INGRESSI, PERCHÈ SERVE MANODOPERA

Potranno entrare tra i 70mila e gli 80mila migranti. Servono lavoratori per agricoltura, edilizia, turismo

È attesa, se non ad horas, a giorni, la firma del premier Mario Draghi al decreto flussi 2021 della Presidenza del Consiglio dei Ministri che, stando alle anticipazioni, dovrebbe segnare una svolta secca rispetto alle specifiche politiche messe in campo dal nostro Paese, al netto delle sanatorie, negli ultimi dieci anni.

Risultato di un lungo e delicato lavoro dei ministeri dell’Interno, del Lavoro e degli Esteri, e sotto l’occhio vigile di Draghi, da quando è stato istituito (1998) il decreto flussi fissa il numero e le categorie di lavoratori stranieri non comunitari (per i quali vige la libera circolazione) che possono fare ingresso in Italia per lavoro e negli ultimi sei anni è sempre rimasto appena sotto quota 31mila e comunque negli ultimi 10 anni non è mai andato oltre le 60mila unità, anche se nel 2010 si è arrivati – unica volta – alla soglia record di 100mila.

Questa volta la cifra dovrebbe attestarsi fra i 70 e gli 80mila, un balzo in avanti che già suscita forti malumori in alcuni settori dei partiti che sostengono il governo Draghi (vedi alla voce Lega), ma che si rendono necessari per affrontare il bisogno di manodopera che da tempo mettono in evidenza molti esponenti di rilievo dei datori di lavoro, a maggior ragione in tempo di attuazione di Pnrr. Il quale non ha solo bisogno di esperti nella pubblica amministrazione e negli enti locali ma anche, appunto, di manodopera. Più volte, infatti Coldiretti ha chiesto che il decreto venisse emanato con numeri adeguati in modo da salvaguardare la produzione agricola italiana, che dipende molto dagli stagionali (oltre che da una infinità di lavoro sommerso e sfruttato dal caporalato). Ma rilievi analoghi sono stati avanzati di recente anche dai costruttori nell’ambito dell’edilizia. E mancano addetti nel settore turistico. E del resto, solo alcuni mesi fa l’Istat stimava in oltre 400mila i posti di lavoro da ricoprire nel nostro paese. Buona parte in attività tecniche e scientifiche, ma un’altra buona parte nel settore delle costruzioni. Posti non occupabili dai percettori del reddito di cittadinanza, come amano sostenere aree del centrodestra, a partire dai Fratelli d’Italia e dal Carroccio. Molti dei quali per varie ragioni (per esempio di salute) non occupabili, altri con scarse competenze, altri non disposti a spostarsi verso Nord, dove la richiesta è più alta.

Quale sarà la proporzione fra le varie categorie di lavoratori – subordinati, stagionali e altro – è tutta da verificare, ma se le anticipazioni fossero confermate, la quota 70/80mila nel decreto flussi sarebbe una svolta a tutti gli effetti, tanto più che attualmente l’Italia è, insieme alla Grecia, il fanalino di coda in Europa per quanto riguarda la concessione di permessi di soggiorno per motivi di lavoro.

Fanno infatti notare sulla Voce.info Enrico Di Pasquale e Chiara Tronichin, ricercatori della Fondazione Leone Moressa, «Da noi i permessi per lavoro sono stati appena 1,7 ogni 10 mila abitanti, contro i 12,9 di media Ue». E sottolineano: «I bassi numeri dei “decreti flussi” degli ultimi anni non dipendevano da un mancato bisogno di manodopera straniera. Al contrario, il ridotto impiego dei flussi ha spinto verso l’utilizzo di “altri” canali di ingresso, più difficili da monitorare: cittadini comunitari, sbarchi, ricongiungimenti familiari, visti turistici».

E più in generale, per quanto riguarda i permessi di soggiorno, i due ricercatori mettono in evidenza che «Se fino al 2010, se ne registravano più di 500 mila nuovi ogni anno, negli ultimi tempi si è registrato un calo drastico, con il picco minimo toccato nel 2020 (106 mila permessi). Inoltre, è cambiata fortemente la composizione dei nuovi ingressi. Fino al 2010 gli ingressi per lavoro rappresentavano la componente maggioritaria, oggi sono meno di un decimo del totale. Fatta eccezione per il 2016 e 2017, in cui si è registrato un picco degli ‘altri motivi’ (principalmente asilo e motivi umanitari), negli ultimi dieci anni, la componente principale è stata quella dei ricongiungimenti familiari». Altro che frontiere aperte.

 

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