LEGGERE DANTE A TOR BELLA MONACA. PERCHÈ DANTE È MEJO DE TOTTI

Emiliano Sbaraglia e il racconto di come una mattina, tra i banchi, ti ritrovi a leggere Dante. E funziona. Funziona contro pregiudizi e stereotipi. Funziona in un posto che purtroppo è più famoso per il tasso di criminalità che per le esperienze virtuose che nascono grazie ai suoi abitanti. E di come i versi danteschi diventano una chiave per arrivare al cuore dei suoi alunni

di Laura Badaracchi

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Prendi un professore di materie letterarie che insegna da un decennio in una scuola media della periferia romana, ovvero una frontiera ma anche una sorpresa capace di sbaragliare pregiudizi e stereotipi. Perché l’insegnante decide di puntare sulla Commedia dantesca e renderla avvincente più di una serie tv, suscitando nella classe interesse, domande, immedesimazione. Tanto che a fine anno scolastico, dopo gli esami di terza media, i ragazzi lo cercano per pranzare con lui e sapere «come va a finire. È autobiografico, avvincente, spiazzante e a tratti commoventi il volume Leggere Dante a Tor Bella Monaca, pubblicato da Edizioni e/o e scritto da Emiliano Sbaraglia, nel gruppo fondatore dell’associazione di scrittori Piccoli Maestri, collaboratore alle pagine culturali di Collettiva.it.

Leggere Dante a Tor Bella Monaca
Emiliano Sbaraglia. «La storia della nostra letteratura è composta di fenomeni assoluti, rapper ante litteram dalla tecnica ineguagliabile, una crew di fuoriclasse disseminati nel tempo, a cui nessuno potrà minimamente avvicinarsi»

Sbaraglia: «Questo si dovrebbe insegnare agli studenti: come la lettura può condurti verso qualcosa che vale la pena conoscere»

L’esperimento vede la sua genesi proprio nei mesi estivi, gli stessi che segnano l’epilogo del libro: «Quando decidi di puntare su Dante è come se ti sentissi autorizzato a formarti e aggiornarti diversamente, alla vecchia maniera, tornando a prendere in mano i libri, a leggerli sottolineando con la matita alcuni passaggi, delle frasi che poi, una volta in classe, possano fornire lo spunto giusto per impostare una lezione fuori dal consueto. Così diventa piacevole tornare a frugare in quella parte di libreria, ormai poco frequentata, che ancora custodisce piccoli tesori nascosti», ricorda l’autore. «Una sera capita tra le mani Conversazione su Dante, acquistata la prima volta in altra edizione e in tempi non sospetti, in un periodo sospeso, quando l’università si era appena conclusa, l’estate era alle porte e il futuro si prospettava più incerto che mai, ma almeno le letture erano libere di essere scelte al di là di ogni vincolo. L’autore è Osip Mandel’štam, poeta tanto amato in gioventù». Secondo Sbaraglia, «questo si dovrebbe provare a insegnare agli studenti: il modo in cui la lettura può condurti verso qualcosa di sconosciuto che vale la pena conoscere, facendoti compagnia e aiutandoti a crescere meglio».

Dante è un numero uno. Anzi, un numero dieci

Insieme agli studenti, il professore cerca «uno spunto adeguato, l’input da cui partire, con il quale tutta la classe potesse trovarsi d’accordo. Per noi è stata l’affermazione categorica di questa frase: Dante è un numero uno. Anzi, un numero dieci. Lui è il fuoriclasse della lingua italiana, il campione della letteratura, campione più di Totti, più di Messi. Più di Maradona. Non è stato facile da spiegare, è stato duro da far digerire, c’è voluto tempo, tanto sforzo, ma è così: “Dante è mejo de Totti”. Però si devono portare le prove, prove inconfutabili, altrimenti tutto crolla in un istante. Così una mattina, gironzolando tra i banchi, ti ritrovi a leggere Dante Alighieri. E funziona. Non si capisce bene come, non c’è un vero perché. Però funziona». Così i versi del Sommo poeta diventano una chiave insolita ma efficace per arrivare al cuore dei suoi alunni spesso problematici, sia per le famiglie di provenienza sia per il contesto in cui vivono, segnato da problemi sociali e abbandono scolastico: qui «l’emarginazione si abitua a fare i conti con il senso di abbandono, la consapevolezza di essere dimenticati, rimossi da una società cosiddetta civile, rappresentata da istituzioni che si fanno vedere quando conviene, non quando serve. Allora il disagio spesso si trasforma in rabbia, sfogata tirando fuori tutto quello che ognuno si porta dentro».

«Alla fine me sa che c’avevi ragione tu, professò: ’sto Dante è pure mejo de Totti”. Vittoria»

In un quartiere tristemente famoso per l’alto tasso di criminalità e per essere una piazza importante dello spaccio, e non per le esperienze virtuose che nascono fra le sue vie e grazie ai suoi abitanti (« Difficile da credere, eppure la zona rimane tra le più verdi della città, e l’unico Municipio in vantaggio rispetto agli altri nel rapporto tra il nascere e il morire»), anche la scuola può fare la sua parte per innescare un cambiamento dal basso e anche soltanto un docente può fare la differenza con la sua passione e testimonianza. «C’è chi già ha le idee chiare per il futuro, e chi non sa neanche cosa farà domani; chi pensa solo all’estate, e chi tra pochi anni si vede già sposata, una bella famiglia con almeno quattro figli, come si usa da queste parti; chi pensa di vivere all’estero, come insegna la nostra Beatrice, e chi non vede altra soluzione che buttarsi a testa bassa nel groviglio della strada, in attesa degli eventi. Chi vorrebbe fare della sua vita un’opera d’arte e chi la prende come viene, come verrà, “tanto alla fine nun cambia niente”». In questo contesto complesso, che provoca abbandono scolastico non solo fra i ragazzi ma anche tra i professori, che non ce la fanno e chiedono il trasferimento, ma poi ci ripensano, Sbaraglia decide di esserci, di rimanere, cercando però un percorso diverso da quello tracciato da indicazioni nazionali e circolari ministeriali: punta anzitutto alla relazione con gli adolescenti che incontra ogni giorno in classe, spesso cresciuti troppo in fretta. Per molti di loro, il poeta trecentesco considerato padre della lingua italiana – la sua biografia tormentata, i suoi versi accorati – diventa un contemporaneo: «Come ogni rapper che si rispetti, anche Dante non è che fosse un tipo così tranquillo, tutto casa e chiesa. Per esempio, era uno che insieme alla sua cricca di amici spesso organizzava quelle che nel linguaggio dei rapper possiamo definire sfide di free-style, delle vere e proprie “rap-battle” ante litteram. Abbiamo cercato di capire perché l’utilizzo delle rime sia un modo di comunicare che esiste fin dalle origini della lingua italiana. Da Dante a Leopardi, passando per Ariosto, la storia della nostra letteratura è composta di fenomeni assoluti, rapper ante litteram dalla tecnica ineguagliabile, una crew di fuoriclasse disseminati nel tempo, a cui nessuno potrà minimamente avvicinarsi». Fino alla sorprendente conclusione: «”Ammazza professò… Ma lo sai che è proprio bello? Ma bello bello. Dall’inizio alla fine, come comincia e come finisce. E alla fine me sa che c’avevi ragione tu, professò: ’sto Dante è pure mejo de Totti”. Vittoria».

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leggere Dante a Tor Bella MonacaEmiliano Sbaraglia
Leggere Dante a Tor Bella Monaca
Edizioni e/o 2025
pp. 160 € 17.00

 

 

 

 

LEGGERE DANTE A TOR BELLA MONACA. PERCHÈ DANTE È MEJO DE TOTTI

LEGGERE DANTE A TOR BELLA MONACA. PERCHÈ DANTE È MEJO DE TOTTI