LOTTA ALLA POVERTÀ: PERCHÈ È COSI DIFFICILE PORTARLA AVANTI?

Se la politica abbandona il sociale e nega i diritti, non ci saranno passi avanti. La presentazione del volume "L'ABC della povertà in Italia e in Europa".

Come si fa la lotta alla povertà in Italia e in Europa? Al di là delle frasi roboanti e di facile effetto, che ogni tanto aleggiano sul nostro panorama sociale e politico, la lotta alla povertà è fatta del lavoro quotidiano di tanti operatori, delle relazioni che si riescono a tessere per includere le persone in difficoltà, delle esperienze innovative che vengono portate avanti, di una analisi attenta dei vari aspetti che la povertà assume.

Se ne è discusso durante la presentazione a Roma del volumetto ABC della Povertà in Italia e in Europa, curato dal Cilap (Collegamento italiano lotta alla povertà) e pubblicato con il supporto dei Centri di Servizio per il Volontariato del Lazio. Un volumetto agile, di facile lettura, ma molto utile perché fornisce un quadro delle povertà, con le testimonianze di chi si trova in questa condizione e soprattutto con i dati essenziali.

 

Lotta alla povertà
La copertina del volume presentato a Roma

VALORIZZARE LE ESPERIENZE. Le esperienze innovative ci sono. Ad esempio Caterina Cortese della Fiopsd (Federazione italiana organismi per le Persone Senza Fissa Dimora), ha ricordato che in Italia ci sono 50mila senzatetto e che il numero è in crescita. La Federazione sta attuando il progetto Housing First, che rovescia i metodi di intervento tradizionali: la casa non è il punto di arrivo di un percorso verso il benessere e l’inclusione, ma il punto di partenza, quello da cui si comincia, e l’esperienza dice che in genere le persone che l’hanno avuta riescono poi a mantenerla.

Anche nel campo della lotta alla povertà dei bambini ormai le idee e le esperienze ci sono. I bambini che soffrono di una condizione di povertà o esclusione sociale in Italia sono il 32 per cento: una delle percentuali tra le più alte in Europa. E «alla povertà economica è correlata a quella educativa, che non è solo scolastica. È piuttosto la mancanza di un’offerta formativa più ampia di quella che attribuisce alla scuola», ha ricordato Patrizia Sentinelli dell’Associazione Altramente. L’esperienza ci dice è necessario intervenire pensando non solo a una «educazione frontale, ma ad attività cooperative orizzontali», che aprono nuove prospettive. E ci dice anche che occorre riscoprire lo spazio pubblico, e portare i ragazzi a «viverlo come spazio di relazione».

Sono solo due esempi: ogni forma di povertà – quella delle donne, dei giovani, dei migranti, degli anziani eccetera – ha proprie caratteristiche e sollecita soluzioni ad hoc, ma le esperienze italiane ed europee hanno molto da insegnarci. Perché, dunque,  la lotta alla povertà sembra congelata ai blocchi di partenza?

 

lotta alla povertà
Foto di Rocco Mangiavillani tratta dal testo “ABC della povertà”

L’EUROPA. Le risposte sono ovviamente molte, ma quelle emerse dal dibattito si possono raccogliere attorno a due poli. Uno riguarda l’Europa, che probabilmente dice e fa più di quello che nel nostro Paese viene comunicato, ma che soffre indubbiamente di forti limiti. Viviamo in un’epoca di euroscettismo, e questo porta le istituzioni europee a cristallizzarsi.  Inoltre con la Brexit l’Unione avrà meno soldi in bilancio da investire in politiche sociali. E, come se non bastasse, il Consiglio europeo si muove solo all’unanimità, e poiché non la si raggiunge mai, non prende decisioni rilevanti.

C’è da dire che gli Stati nazionali non sono particolarmente collaborativi, in particolare sul tema delle politiche sociali: secondo Letizia Cesarini Sforza del Cilap, «tengono per sé le politiche sociali, così possono attingere alle risorse, quando serve».

 

LA SCOMPARSA DEI DIRITTI. Il secondo polo riguarda il nostro Paese e il clima che vi si è creato. «Siamo pieni di idee», ha affermato Letizia Cesarini Sforza,  «ma c’è un gap con la politica che blocca il Paese». Ed è d’accordo anche Patrizia Sentinelli: «La politica dovrebbe sostenere le nostre azioni, invece troviamo ostacoli a volte insormontabili».

Si è persa, insomma, la collaborazione tra società civile (e in particolare il non profit) e politica, anche perché si è persa la cultura dei diritti e la condivisione dell’idea che il loro rispetto è fondamentale per una società inclusiva. Eppure, come ha detto Caterina Cortese, «l’inclusione passa attraverso il riconoscimento dei diritti. Se non c’è questo prendono forma leggi che non aiutano, come il cosiddetto Decreto Sicurezza che crea nuove marginalità. Ogni persona ha bisogno di un’opportunità. Se può ottenere un po’ di benessere poi potrà restituire alla società».

Il fatto è che «ci stiamo trasformando in un paese cinico», ha concluso Nicoletta Teodosi del Cilap. «Abbiamo sempre creduto in uno Stato innovatore. Il nostro non lo è, anzi, è disinnovatore, perché ha paura. Per questo si crea questa distanza incolmabile tra chi opera sul terreno e chi dovrebbe garantire gli operatori».

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