LUCI IN LONTANANZA. DIECI STORIE PER RACCONTARE I MIGRANTI

Non semplici storie, ma voci da ascoltare e volti in cui riconoscersi. Così Trilling spinge alla condivisione di responsabilità ed all'impegno comune

Prima di evidenziare la sua importanza va sottolineato subito un aspetto: Luci in lontananza. Storie di migranti ai confini d’Europa deve essere letto da chi vuole, onestamente e coraggiosamente, non fermarsi alle notizie, ma rendersi conto che la notizia è sempre un’interpretazione intenzionale e comunicativa della vita di una o più persone. Questo libro dovrebbe essere letto soprattutto in quel luogo dove l’educazione prende forma: la scuola.

Il sottotitolo italiano è chiaro: “storie di migranti” (nel titolo originale Exile and Refuge). Quelli che sono lì dove finisce l’Europa (o per loro dove comincia l’Europa): questo limite geografico può essere un con-fine se chi sta di qua e chi sta di là riconosce reciprocamente e condivide il diritto di con-vivere le proprie terre.
Altrimenti tutta l’Europa è un’autoghettizzazione che ghettizza anche gli altri che sono oltre i suoi limiti geografici e i suoi abitanti sono prigionieri di se stessi, con la presunzione di essere i padroni di quella terra che li ospita.

Questa precisazione non è da poco, ma in sintonia con quanto è precisato prima che le pagine raccontino le storie. L’onestà professionale e quindi la documentazione e la ricerca (durata cinque anni) del giornalista freelance Daniel Trilling e quindi l’attendibilità di queste storie la si percepisce dall’inizio, quando prima di raccontare viene fatta a premessa una dichiarazione di chiarezza dei termini (spesso etichette giornalistiche usate in modo inadeguato se non usurate dall’assuefazione): «il termine migrante descrive un individuo che si sposta per motivi non specificati»; «il termine rifugiato ha sia un’accezione legale, poiché designa un individuo idoneo all’asilo in base alla legge internazionale sul diritto d’asilo; sia un’accezione colloquiale, poiché designa un individuo costretto ad abbandonare la propria patria»; «l’espressione richiedente asilo designa un individuo arrivato in un paese per chiedere asilo, ma la cui richiesta non è stata ancora accettata o rifiutata».

Queste pagine raccontano storie: i nomi di dieci “persone” sono il loro indice, persone che l’Autore ringrazia «per avergli permesso di entrare nelle loro storie ed essersi fidati di lui». Storie rappresentative di tante altre persone che queste “impersonano” e rappresentano. E ringrazia «quel numero incalcolabile di persone che nel corso dei cinque anni di ricerche per scrivere questo libro ha conosciuto e gli hanno offerto aiuto, consigli, un posto dove stare».

Quella di Trilling (lui stesso di famiglia migrante) è una testimonianza e un contributo che una professione come il giornalismo – soprattutto quello freelance – dà a far emigrare le notizie dei mass media in storie di persone in prima persona. Sempre se non sono oscurate dagli effetti sconsiderati dell’incoscienza di chi si appropria della notizia senza valutarla o addirittura alterarla e strumentalizzarla.

Questo libro ha diritto di essere letto. Perché si fa leggere per il coinvolgimento (e non solo emotivo) che genera nel lettore. Ma bisogna leggerlo come avviene nel racconto delle storie: non bisogna leggere le pagine, ma ascoltare le voci e vedere i volti di chi racconta. Marco Damilano nella prefazione opportunamente ricorda il filosofo e teologo ‘cattolico’ italiano Italo Mancini che nel 1989 pubblicava Tornino i volti, in cui auspicava un futuro di «comunione di volti», di «vivere faccia a faccia con il volto degli altri».

 

UNA COMUNIONE DI VOLTI.  Ascoltare le loro voci significa poi porsi la domanda – come dovrebbe avvenire in tante storie – ed io cosa farei nelle loro condizioni? Questa comunione di intenti e questo riconoscimento di se stessi nell’altro è il vero principio cofondativo della propria identità: il volto dell’altro (e quindi la sua storia) è la condizione – che dovrebbe poi diventare opzione – per una democrazia dal volto umano, quel volto che in altri contesti di migrazioni (non solo fisiche, ma anche intellettuali) hanno evocato quei testimoni che hanno raccontato la liberazione dall’autoreferenzialità sovranista di se stessi, da un’ideologia e da un’autoghettizzazione identitaria e geografica über alles. Per quanto la Storia (quella che in inglese si dice History) di queste storie (in inglese Stories) abbia poi smentito le presunzioni di questi pochi, da tanti fatti diventare ‘i pochi che decidono la storia degli altri’.

Quest’ascolto non sarà quindi solo empatia con l’altro ma condivisone di valori e di responsabilità. Ed è questa consapevolezza che, in Luci in lontananza, queste pagine contribuiscono ad acquisire. Attivando le proprie coscienze in quell’impegno comune – come il volontariato – che può liberarci da chi ha ben altre intenzioni e non intende ascoltare nessuno se non se stesso e la propria supremazia di voler controllare la geografia degli spostamenti e rendere statico ciò che la storia delle civiltà ha dimostrato essere dinamico: siamo stati tutti migranti, alcuni lo sono ancora oggi. E questi migranti sono quelle «luci in lontananza» – che questo libro titola – che quando arrivano potranno con noi illuminare ben altre storie di solidarietà e di pace. Ancor meglio se fosse di Amore.

 

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Luci in lontananzaDaniel TRILLING
Luci in lontananza. Storie di migranti ai confini d’Europa
Marsilio, 2019
pp. 270, € 17.00

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