
MARCO CAVALLO IN VIAGGIO PER LA CHIUSURA DEI CPR: LA TAPPA ROMANA
La scultura simbolo della lotta basagliana contro le istituzioni totali guida il corteo dinanzi al Centro per il rimpatrio di Ponte Galeria. Ferrari Aggradi (Forum Salute Mentale): «Abuso di psicofarmaci. Non possiamo tollerare che ancora una volta la psichiatria istituzionale si presti a questo gioco del potere per controllare il comportamento delle persone»
29 Settembre 2025
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Un piccolo ma rumoroso corteo ha accolto lo scorso sabato, dinanzi al Centro per il rimpatrio di Ponte Galeria, la tappa romana del viaggio di Marco Cavallo per chiedere la chiusura dei Cpr: quelle strutture create per trattenere i cittadini stranieri privi di regolare permesso di soggiorno in attesa di espulsione, che gli organizzatori dell’iniziativa definiscono come i “moderni manicomi”. O, per essere più esatti, come i luoghi dove vengono rinchiuse, in condizioni disumane, donne e uomini la cui unica irregolarità è l’assenza di un documento valido per stare in Europa. «Siamo qui per denunciare l’ingiustizia e la disumanità che si manifestano nei Cpr e per chiederne la chiusura, come un tempo abbiamo voluto la chiusura dei manicomi e degli ospedali psichiatrici giudiziari», afferma Carla Ferrari Aggradi, psichiatra e rappresentante del Forum Salute Mentale, l’organizzazione triestina che ha promosso quest’ultimo viaggio di Marco Cavallo, a cui hanno aderito numerose grandi e piccole associazioni italiane, da Medici Senza Frontiere a Società italiana Medicina delle Migrazioni, da Acli ad Asgi. «Marco Cavallo è sempre stato promotore di libertà e di giustizia. Ovunque sia andato, si è sempre fatto portavoce delle istanze delle persone più deboli e più fragili».

Ma chi è Marco Cavallo?
Marco Cavallo è un’imponente scultura di legno e cartapesta azzurra alta circa quattro metri, realizzata nel 1973 all’interno dell’ospedale di Trieste, allora diretto da Franco Basaglia, da un gruppo di artisti con il contributo dei laboratori creativi nati all’interno della struttura. L’anno prima i ricoverati avevano inviato una lettera al presidente della Provincia per chiedere il dignitoso “pensionamento” del cavallo Marco, realmente esistente e fino a quel momento usato per trainare il carretto della lavanderia e dei rifiuti. In cambio si offriva una somma pari a quella ricavabile dalla vendita del cavallo per la macellazione e il mantenimento dell’animale a vita. L’accoglienza della richiesta da parte delle autorità rese Marco Cavallo e la statua che lo rappresenta il simbolo della lotta ai manicomi e a tutte le istituzioni totali. «Come negli anni Settanta si abbattevano i cancelli dei manicomi, oggi dobbiamo guardare oltre le reti dei CPR e vedere quello che ci viene impedito di vedere: vite e sogni interrotti di persone la cui unica colpa è non essere in regola con il permesso di soggiorno», sintetizzano i promotori. E, così dopo aver attraversato gli Ospedali psichiatrici giudiziari d’Italia, oggi Marco Cavallo è tornato a nitrire e il suo cammino, iniziato il 6 settembre, lo ha condotto alle porte dei Cpr per chiedere la fine della detenzione amministrativa.
Centri per il rimpatrio e psichiatria: un rapporto più stretto di quel che si potrebbe pensare
D’altra parte l’abuso di farmaci all’interno dei Centri per il rimpatrio è un fenomeno ormai documentato. «Agli internati vengono somministrati psicofarmaci a volontà per tenerli calmi, per farli tacere, per attuare un controllo violento sui loro comportamenti», spiega Ferrari Aggradi. «Noi che amiamo parlare di salute mentale e buone pratiche non possiamo tollerare che ancora una volta la psichiatria istituzionale si presti a questo gioco del potere per controllare il comportamento delle persone e in particolare delle persone più deboli». Non a caso nel pomeriggio la manifestazione si è spostata davanti all’Ospedale Grassi di Ostia, dove un presidio per sensibilizzare il mondo sanitario ha chiesto agli operatori sanitari di non validare il trattenimento nei Cpr. «Vogliamo invitare i medici che firmano l’idoneità all’ingresso nei Cpr a liberarsi da questa schiavitù», chiarisce la psichiatra. «Come si fa a dire che una persona è idonea per entrare in un luogo in cui sappiamo che verrà maltrattata, e dove i suoi diritti verranno calpestati per un’infrazione amministrativa, cioè solo perché senza documenti? D’altra parte chi può essere considerato idoneo per entrare in un luogo dove, se prima eri sano, ti ammali fisicamente e psichicamente?».

Il corteo delle associazioni tra “Bandiere di scarti” e percussioni
Da Stop Cpr Roma a Tavolo Asilo e Immigrazione, dalla Fondazione Tetrabondi ad Antigone Lazio sono tante le associazioni romane che, sabato mattina, hanno preso parte al piccolo corteo punteggiato dalle coloratissime “Bandiere di scarti”, prodotte nella sartoria sociale di Gorizia per rappresentare la bellezza di quell’umanità che si vorrebbe scartare. Il corteo, che ha sfilato al ritmo delle percussioni del Collettivo Samba Precario, è stato accompagnato dalla piccola Mandria di cavallini realizzati dal Collettivo degli artisti di Monte Mario, una realtà nata nel 2019 negli spazi della Ex Lavanderia dell’ex manicomio di Roma, Santa Maria della Pietà. Mentre gli attori Anna Ferraioli Ravel e Lino Musella hanno prestato la propria voce per raccontare la storia di tanti uomini e donne che hanno avuto la disgrazia di passare per i Cpr. «È profondamente ingiusto che una persona fuggita dalla fame o dalla guerra venga trattenuta in un posto che è peggio di una galera», dice Daniele Lauri di Radio 32, una delle realtà che hanno sostenuto e organizzato la tappa romana di Marco Cavallo. «Ma in carcere ci sono i regolamenti, esiste almeno in teoria una funzione riabilitativa. Nei Cpr, invece, si attende e basta. Puoi essere trattenuto fino a 18 mesi, un anno e mezzo di vita. Ci finiscono dentro anche persone che sono in Italia da 20 o 25 anni e che magari non riescono a rinnovare il permesso di soggiorno. Credo che si tratti soprattutto di una scelta funzionale per avere a disposizione persone che possono essere sfruttate come manodopera, nella raccolta dei pomodori o nei lavori più degradanti e umilianti. In questo senso non è solo l’atto simbolico di uno Stato che vuole mostrarsi cattivo nei confronti dell’immigrazione, ma anche un modo distorto di affrontare una questione che potrebbe essere gestita con ben altri strumenti». Dopo Gradisca d’Isonzo, Milano e Roma, il viaggio di Marco Cavallo punta a Sud con tre ulteriori tappe: Palazzo San Gervasio (Potenza), Brindisi e Bari, dove terminerà il 10 ottobre.
