NOI STIAMO CON LA SPOSA

“Io sto con la sposa” racconta il viaggio di cinque palestinesi e siriani da Milano a Stoccolma, aiutati da una rete di solidarietà tra amici. Un atto di disobbedienza civile verso una legge che nega l’aiuto al prossimo.

«Il cielo è di tutti. No alle frontiere. Morte al contrabbandiere. Ce la faremo». Sono le scritte che leggiamo sui muridi una casa abbandonata a Grimaldi, frazione di Ventimiglia, vicino al Passo della Morte, il confine tra Italia e Francia. Da lì passavano gli italiani che emigravano un tempo. Oggi ci passano migranti di tutte le nazionalità, in fuga dalle guerre e dalla morte. Ci sono passati anche cinque palestinesi e siriani, sbarcati a Lampedusa e diretti in Svezia, a oggi l’unico Paese in Europa che dal settembre 2013 concede il diritto di residenza a tutti i siriani che domandano asilo. Un poeta palestinese siriano, un giornalista italiano e altri amici li aiutano. E per evitare di essere arrestati come contrabbandieri si inventano una geniale messinscena, un atto di disobbedienza civile, una meravigliosa “truffa” a fin di bene: un finto matrimonio, con un finto corteo nuziale, con un’amica palestinese che si traveste da sposa, e tutti gli altri da invitati. Chi può dire di no a una sposa? In caso di posti di blocco o di controlli, l’idea è quella di dire “Io sto con la sposa”. Che è anche il titolo del film di Gabriele Del Grande, Khaled Soliman Al Nassirye Antonio Agugliaro, che racconta questa straordinaria esperienza e che, finanziato da 2617 produttori dal basso, grazie al crowdfunding, è arrivato nelle nostre sale.

La solidarietà
«A ottobre dell’anno scorso a Milano stavano arrivando famiglie siriane in cerca di un passaggio verso il Nord Europa, sono arrivate circa 40 mila persone», ci racconta Gabriele Del Grande. «Ero appena tornato dalla Siria e andavo spesso in stazione. Abbiamo conosciuto un ragazzo, che poi è diventato il nostro “sposo”, e siamo diventati amici anche degli altri quattro, che avevano questo sogno di andare in Svezia. Abbiamo deciso di portarceli noi. Abbiamo pensato a un piano, è venuta fuori l’idea della sposa, e ce ne siamo subito innamorati. Ci siamo informati bene, attraverso altri amici, su quale fosse il miglior modo per andare in Svezia. E abbiamo fatto questo viaggio. Altri amici ci hanno aperto la porta. E sono stati anche loro con la sposa». Il corteo nuziale attraversa l’Europa: Milano, Marsiglia, Bochum, Copenhagen, Stoccolma. I loro abiti trasmettono l’idea di una festa, ma dentro di loro ci sono i ricordi di vite strappate per un soffio alla morte, il dolore per chi non rivedranno più, la compassione(l’espressione dolente sul volto della “sposa” è di quelle che non si dimenticano). Dentro di loro c’è la speranza. E la paura. Tra chi deve arrivare nella terra promessa, e tra chi deve portarli lì. Anche se negli occhi di Gabriele la paura non si legge. «La dimensione del gruppo e quella della follia che aiutano», ci spiega. «Non c’è molto di razionale. La paura c’era. Non solo mia, ma da parte di tutti quanti. Ogni giorno la paura saliva, saliva, saliva fino a che si passava la frontiera e la sera si festeggiava. La paura c’era ed era reale. Sia per noi che per loro, che si erano affidati a noi per fare questo viaggio. Era la loro vita, non erano attori». Gabriele Del Grande, scrittore e giornalista freelance, da testimone di tanti fatti tragici ha deciso di diventare attore. Non solo di raccontare, ma di agire. Gli chie- diamo allora come e quando sia arrivata questa spinta. Che non è una cosa scontata. «Questa storia è tutt’altro che un lavoro giornalistico. Noi non abbiamo raccontato la realtà. L’abbiamo cambiata», ci risponde Del Grande. «Altrimenti sarebbe finita con un altro passaggio di contrabbando, con altri soldi dati a un fetente. Abbiamo cambiato il finale di questa storia, con fantasia, con ironia, quasi come una performance artistica. Non so dirti quando è scattata quella molla. Probabilmente nasce dalla stanchezza di scrivere, scrivere scrivere. Storie che poi non riescono a smuovere niente».

La paura
La paura tra chi sta aiutando gli amici siriani e palestinesi sta nel fatto che la legge punisce chi aiuta gli stranieri, chi li ospita, chi dà loro un passaggio. Si viene trattati come contrabbandieri.
Gabriele ha calcolato che, con l’aggravante di essere un gruppo e di portare più persone, lui egli altri rischiano fino a15annidigalera. È l’assurdità di una legge che si permette di negare uno dei sentimenti più antichi del mondo, la solidarietà. «Le dogane sono vuote e il confine è nella nostra testa», riflette il regista. «Stavamo violando un confine, una legge. Non esistono quelle barriere tra i popoli. Esistono le differenze, ma non ci sono muri. E quando il nostro vicino di casa brucia devastato da una guerra è assurdo che ci sia una legge che gli impedisce di viaggiare e a noi di portarlo in macchina. Spendiamo milioni di euro per andare in mare a salvare le persone a cui abbiamo negato un visto in ambasciata. E poi facciamo le giornate della memoria per le stragi in mare. Disobbedire a questa legge vuol dire provare a sdoganare l’idea della libera circolazione». Un’altra assurdità è che ci siano17 Paesi in Europa che dichiarano di accogliere i profughi, ma in realtà non lo fanno. «In Italia ti danno l’asilo politico, una carta e basta. In Paesi come la Svezia c’è uno stato sociale, ed è più facile ripartire. Ma il meccanismo salta per la convenzione che obbliga la persona a chiedere l’asilo nel primo paese in cui entra: è uno scarica barile verso i paesi del Sud Europa che dovrebbero farsi carico di 40mila siriani che arrivano dalla guerra. Questa è la follia».

Il lieto fine
Ma com’è finita la storia? «Tutti e cinque hanno avuto l’asilo politico», spiega Del Grande. «Tre in Svezia, lo “sposo” e la coppia anziana. Padre e figlio sono stati rimandati in Italia». La nostra “sposa”, cittadina tedesca, è invece tornata in Italia. Ma, leggiamo nei titoli di coda, questo è solo l’inizio di un viaggio. «Vorremmo che fosse il punto di inizio di un viaggio con l’opinione pubblica». Ma com’è stato girare un film in cui il film stesso non era la cosa più importante, e la prima cosa era portare a termine il viaggio? «Il film ha tempi di riprese più lunghi», spiega Del Grande. «Ma stare fuori significava rischiare. Per cui c’era da un lato l’esigenza di filmare, dall’altro di fare in fretta. Dieci minuti in più potevano significare un controllo. Gli operatori sono stati bravissimi, senza le condizioni classiche di un set». Il dibattito sul diritto alla mobilità è aperto. Il viaggio è appena iniziato. Noi stiamo con la sposa. E ci restano in mente le sue parole. «C’è un unico sole per tutti. C’è un’unica luna per tutti. Questo mare è di tutti. La vita è di tutti».

NOI STIAMO CON LA SPOSA

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