LAZIO AUTISM FRIENDLY: LUOGHI, SPAZI, PERCORSI PER I RAGAZZI CON AUTISMO

Un progetto dell'associazione Not Equal per mappare i luoghi, i percorsi e le iniziative culturali e sociali pensate da e per persone neurodiverse.

di Maurizio Ermisino

ROMA. Che cosa vuol dire oggi essere Autism Friendly? Vuol dire essere un luogo dove un ragazzo nello spettro dell’autismo possa sentirsi a proprio agio, accolto, compreso, dove possa svolgere le proprie attività, o rilassarsi, nel modo migliore possibile.  Lazio Autism Friendly è un progetto del bando VitaminaG, promosso dall’associazione Not Equal nell’ambito del programma GenerazioniGiovani.it finanziato dalle Politiche Giovanili della Regione Lazio con il sostegno del Dipartimento della Gioventù. Il progetto si propone di formare e avviare una redazione in prevalenza composta da persone autistiche allo scopo di documentare e mappare i luoghi, i percorsi e le iniziative culturali e sociali pensate da e per persone neurodiverse e dare loro visibilità.

«Il progetto ha avuto una genesi lunghissima» ci ha spiegato Giuseppe Cacace, presidente dell’associazione Not Equal. «La prima idea è nata circa 11 anni fa. Mi sembrava un’idea molto buona, perché allora non c’era niente. Oggi di tentativi di mappatura in tutta Italia ce ne sono tantissimi: arriviamo per ultimi. Ma forse è la prima volta che davvero si coinvolgono persone autistiche».

associazione Not Equal
Not Equal è un’associazione culturale, attiva su diversi fronti

«Il discorso della formazione è venuto quasi naturalmente» continua. «La maggior parte dei ragazzi fanno già parte dell’associazione, si occupano dell’AS Film Festival e hanno già dimestichezza nel rapporto con il pubblico. Unendo le due cose ci sembrava naturale innanzitutto aiutarli a relazionarsi con il pubblico. E quindi il corso di dizione e fonologia è da una parte un modo per dar loro degli strumenti per parlare con il pubblico, dall’altra per togliere loro delle insicurezze».

La prima idea che ci viene in mente, se pensiamo a un corso di formazione per persone di questo tipo è che comportino una serie di difficoltà. Ma non sono quelle che potremmo aspettarci. «Le difficoltà sono enormi, ma non sono difficoltà legate all’autismo, bensì al fatto che i ragazzi hanno mille cose da fare», risponde Cacace. «Siccome sono ragazzi che hanno spesso difficoltà di relazione, cercano di impegnarsi il più possibile in qualsiasi cosa. Essendo persone autistiche ad alto funzionamento, sono laureati, persone che lavorano. E la parte più difficile è riuscire a mettere insieme una volta a settimana quindici persone. Una volta che parte, l’attività è seguita in maniera molto tranquilla. Anche perché una persona autistica ad alto funzionamento è quella che brilla di più a scuola, è quello che quando fa una cosa ci mette più attenzione. Al momento è partito il corso di public speaking, e abbiamo fatto, durante il Festival, una sorta di workshop intensivo in cui un filmmaker ha aiutato i ragazzi a intervistare gli ospiti».

Una sorta di Trip Advisor Autism Friendly

Difficoltà relazionali, ipersensibilità sensoriale, stereotipie, sono solo alcuni dei motivi per i quali molte persone nella condizione autistica tendono a frequentare sempre gli stessi spazi, a ridurre al minimo gli spostamenti e a limitare le interazioni sociali. Queste persone hanno bisogno di conoscere e frequentare contesti protetti, confrontarsi con interlocutori capaci di riconoscere, gestire e assecondare le loro esigenze e specificità: hanno bisogno di luoghi, spazi, servizi e percorsi amichevoli. Ma come avverrà, in concreto, la mappatura di questi luoghi?

«Avevamo in mente, semplificando, una cosa come Trip Advisor, in cui hai una serie di strutture e le persone possono recensirle», spiega il presidente di Not Equal. «Il problema è stato capire cosa definisce una cosa autism friendly e cosa no. E poi: a che tipo di autismo ci riferiamo? Come fai a dire che una cosa è friendly per un autistico? Stiamo cercando di strutturare una scheda che sia il più possibile standard, perché l’utente che va sul sito deve trovare sempre gli stessi elementi. Troverà così dei dati base: dove si trova il posto, magari con qualche aiuto in più. Tantissimi hanno dei problemi dovuti al fatto che la persona non sa leggere le mappe. Così degli aiuti come “Il palazzo rosso”, o visualizzare il portone, possono essere utili. Poi ci sono degli elementi legati alla percezione, come la rumorosità, o cosa ti rende fastidioso un locale, come la distanza tra i tavoli, o la presenza della tv. Recensiamo solo i luoghi friendly, cercando di spiegare cosa secondo noi lo rende tale. Alcuni di questi contesti li conosciamo, perché nel periodo di lockdown molti di noi hanno cercato via internet luoghi friendly. Altri li andiamo a cercare. Lavoreremo per categorie. Prendiamo, per esempio, le scuole di musica: vorremmo andare scuola per dire: “se viene un ragazzo autistico sai gestirlo?”».

Redattori cercasi: aperta la call online

Sul sito www.autismfriendly.it è aperta la call online rivolta a tutti i giovani neurodivergenti under35 che vivono a Roma e dintorni ad entrare a far parte della redazione.

Not EqualUna volta costituito il gruppo, a ogni redattore sarà data la possibilità di frequentare gratuitamente workshop di scrittura creativa, video-making, public speaking e podcasting, oltre a lavorare in gruppo alla mappatura di luoghi, spazi, eventi, manifestazioni, percorsi, contesti cosiddetti autism-friendly, cioè che dedicano particolare attenzione alle persone autistiche e, più in generale, alla disabilità e alle diversità culturali.

«La parte più difficile è cercare i redattori», spiega Giuseppe Cacace. «Ci aspettavamo una risposta che è arrivata in parte. Nel gruppo ci sono persone che hanno fatto un percorso personale di consapevolezza dell’essere autistici, che ora da una parte vogliono una situazione di socialità, dall’altra vogliono mettersi al servizio di persone che questo percorso non lo hanno fatto. Il problema è che tante persone non chiamano, non chiedono di entrare, perché la loro condizione li chiude in casa».

Not Equal e il cinema

Not Equal è un’associazione culturale che dal 2008 organizza attività laboratoriali fondate sull’uso del cinema e dell’audiovisivo come strumento di educazione non formale, di aggregazione ed inclusione sociale per giovani nella condizione autistica. Not Equal è un’associazione molto diversa dalle altre. «Non nasce come supporto alle famiglie» ci spiega il presidente. «Siamo un’associazione che ha in gran parte soci autistici che, stimolati da noi e da altri amici, hanno deciso di fare un percorso culturale. Tanto che la maggior parte delle attività che noi facciamo sono sostenute da bandi per la cultura, e non da bandi per il sociale».

«Tutto quello che è successo fino ad oggi, ma anche da prima, è nato proprio grazie al cinema», spiega Cacace. «Nel 2008 facevo parte del Cineclub Detour, dove facevamo proiezioni per ragazzi con disabilità varie per una cooperativa. Alcune famiglie del gruppo Asperger, un’associazione di genitori, ci hanno chiesto di fare proiezioni per ragazzi con la sindrome di Asperger. Così per 20-25 ragazzi di età varia, che non avevano mai fatto esperienze di socialità, il cinema è diventato motore di socialità. Proiettavamo un film, scelto con criterio, in modo che parlasse di tematiche per loro interessanti, e poi si discuteva. Sono bastati due-tre incontri e questo gruppo è esploso nella socialità, hanno cominciato ad uscire da soli e ad avere un desiderio di darsi da fare. Fino a che sono arrivati a dire: “ma se facessimo da soli?” Così hanno organizzato una rassegna aperta a tutti. E cosa hanno scelto? Una rassegna di film per bambini? No, una rassegna di cinema noir anni Cinquanta-Sessanta americano. Tutti ragazzi che sono passati da una socialità zero a presentare i film in una sala per il pubblico».

«Il cinema è sempre stato una chiave in quello che facciamo» riflette. «Sulla socialità sarebbe potuta entrare qualunque tipo di attività. Ma è vero che il cinema funziona un po’ come accade nel cinema di fantascienza: avete presente quando E.T. guarda la tivù e impara? Perché i ragazzi vedono e rivedono il film? Perché si fissano della testa certi comportamenti, e scatta l’imitazione. I bambini fanno quello, imitano. Negli anni non è più l’autistico che impara dal film ma anche il loro pubblico che impara. Nel momento in cui partecipi al nostro festival e trovi signori con competenze che presentano film, dici: “caspita, allora l’autismo non è quello di Rain Man!».

L’AS Film Festival

Dal 2013 Not Equal organizza, in collaborazione con MAXXI, AS Film Festival, Asperger Film Festival, il primo festival internazionale del cortometraggio curato con la partecipazione attiva di persone con sindrome di Asperger, sostenuto dalla Regione Lazio e dal Ministero della Cultura e per il quale ha ricevuto la medaglia del Presidente della Repubblica e l’alto patrocinio del Parlamento Europeo.

associazione Not Equal
Attori e doppiatori dell’As Film festival

«Fino ad oggi tutta la parte gestionale, amministrativa e di scrittura dei bandi è gestita da me e da persone più grandi che fanno quello» spiega Giuseppe Cacace. «Ma tutta la gestione artistica è demandata ai ragazzi. Tutte le associazioni che si occupano di persone autistiche tendono, giustamente, a occuparsi della loro autonomia, del saper vivere da soli, del costruirsi delle relazioni sociali. Ma quando si parla di trovare un impiego a queste persone si finisce sempre a dei tirocini che consistono nel fare le fotocopie, fare il caffè, prendere i nomi di chi arriva. Ma se hanno una laurea in letteratura o in cinema e spettacolo perché non impiegarli nel loro ambito? Il Festival non ha la pretesa di essere un lavoro, ma offre alle persone un ruolo coerente con quello che sono. La selezione del festival fatta da loro è una signora selezione. Dietro al festival ci sono ore ed ore di visione. Alcuni ragazzi hanno imparato a sottotitolare i corti. La gestione degli ospiti è fatta da loro».

E gli ospiti si trovano davanti a dei ragazzi sorprendenti. «L’attore che arriva si trova davanti a persone competenti che fanno domande competenti. Ma l’idea dell’autismo che abbiamo oggi in Italia è ancora quella di Rain Man o del bimbo nella bolla».

 

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