
RACCONTARE LE VITE NASCOSTE: «NON LASCIAMO IL RACCONTO DELLA STRADA AGLI INFLUENCER DELLA MARGINALITÀ»
Un workshop e l’avvio di un confronto fra tutti gli attori che partecipano al racconto della marginalità. Giuseppe Rizzo (Internazionale): «Chi vive in condizioni di marginalità non è un bancomat di storie. Sta al terzo settore dare un senso a quelle storie, collegandole al contesto. Se abbiamo paura della complessità, abbiamo perso la nostra battaglia»
18 Novembre 2025
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Come si racconta la fragilità senza semplificarla? È la domanda che lo scorso 11 novembre ha guidato il workshop organizzato nell’ambito del progetto Polo Psi, promosso da Civico Zero, organizzazione romana nata nel 2011 con l’obiettivo di creare uno spazio sicuro per i giovani che affrontano difficoltà attraverso un centro diurno a bassa soglia e percorsi individualizzati d’inclusione sociale. Da anni il progetto, sostenuto con i fondi dell’8 per mille dell’Istituto buddista italiano della Soka Gakkai, offre supporto ai minori e neomaggiorenni italiani e stranieri fuori dai sistemi di accoglienza con attività di supporto psicologico e legale, servizi di base e attività aggregative. Quest’anno Polo Psi ha deciso di affiancare all’intervento diretto uno spazio di divulgazione, invitando esperti e operatori sociali a riflettere su come vengono raccontati i temi della marginalità e del disagio sociale in strada, interrogandosi sulla possibilità di trovare una narrazione alternativa e, al tempo stesso, più efficace. «Ci siamo accorti che gli stessi operatori sociali hanno una serie di bias, cioè di pregiudizi cognitivi e culturali che poi vanno a ripercuotersi sul loro operato. Perché chi lavora nel sociale, oltre a essere operatore, è anche un cittadino, e quindi potenzialmente sottoposto alla narrazione dominante», ha spiegato Dario Corallo, responsabile della comunicazione di Civico Zero. Da qui l’idea di aprire un confronto fra tutti gli attori che partecipano a costruire il racconto della marginalità: l’accademia, i media, il terzo settore stesso. «Vogliamo capire se tutte queste narrazioni possono trovare una sintesi, un punto di incontro che conservi la semplicità e l’accessibilità del messaggio senza perdere la complessità del fenomeno», ha aggiunto. Il workshop, dunque, vuole essere un punto di partenza: «Nella nostra idea questo è solo l’inizio di un dibattito, che ci mette tutti in discussione», ha detto ancora Corallo. «È necessario riflettere su come noi del terzo settore raccontiamo le marginalità, ma anche come raccontiamo il nostro lavoro».
Inverno (Save the Children): «Coniughiamo ricerca sociale e comunicazione»
«Non possiamo lasciare il racconto dei nostri mondi agli influencer della marginalità», ha affermato Rudy Mesaroli, direttore scientifico di Civico Zero. «Oggi la grande sfida è comprendere come comunicare le vite nascoste, restituendo rappresentatività alle migliaia di persone che incontriamo sulla strada senza snaturare le loro esperienze». Durante l’incontro è intervenuta anche Antonella Inverno di Save the Children, organizzazione che ha sempre fatto della comunicazione parte integrante della propria mission. «Il nostro obiettivo è comunicare in maniera veritiera, rispettosa e accattivante», ha affermato, sottolineando l’importanza di effettuare «un lavoro integrato tra ricerca e comunicazione». Tutto parte con l’individuazione dei temi da studiare, che devono essere necessariamente questioni di attualità e, quindi, di interesse pubblico. «La nostra è una ricerca che potremmo definire “attivista”», ha spiegato l’esperta, «intendendo in questo modo una ricerca di parte, che si pone l’obiettivo di modificare le politiche pubbliche. Ma un tema essenziale è quello di coniugare le attività di ricerca con il racconto giornalistico». Secondo Inverno, infatti, non tutto si può raccontare attraverso i numeri, sia perché questi sono spesso carenti e lacunosi sia perché spesso i dati non riescono a fare luce sui sogni e le aspettative delle persone. «Cerchiamo di raccontare le cose attraverso parole in grado di arrivare non solo agli accademici che indagano quegli stessi fenomeni, ma anche all’opinione pubblica e, grazie alle analisi, a chi prende le decisioni, perché le narrazioni possano davvero modificare l’agenda politica». Per restituire un racconto attento che vada oltre il luogo comune, Save the Children ha scelto di interpellare direttamente i ragazzi. «Non per raccogliere semplicemente la battuta», chiarisce Inverno, «ma per raccontare le loro storie di vita. Se non facciamo luce sul contesto, non capiremo mai di che parliamo».

Raccontare le vite nascoste, minori: un argomento da maneggiare con cura
Occuparsi di minori richiede un surplus di attenzione e precauzione. «Da sempre diamo un taglio positivo alle storie che presentiamo, per non stigmatizzare i ragazzi e i loro vissuti», puntualizza Inverno. Negli ultimi tempi, tuttavia, gli esperti e i comunicatori di Save the Children sentono che il tema richiede un’ulteriore riflessione, aprendo domande per certi versi inaspettate. «Spesso sono gli stessi ragazzi coinvolti nei fenomeni più estremi a volerci mettere la faccia. Ci chiedono di non tutelare la loro privacy, vogliono sentirsi attori del cambiamento». Un’ulteriore sfida comunicativa è la ricerca di una rappresentazione non paternalistica, così come la scelta di restituire dignità alle persone che vengono viste come vittime, «perché nessuno può essere considerato soltanto una vittima: chi si trova a fronteggiare momenti difficili costituisce lo specchio di quello in cui ognuno di noi potrebbe venire a trovarsi».
Grammatico: «Non parliamo di vite nascoste, parliamo di vite occultate»
E di paternalismo ha parlato anche Girolamo Grammatico, formatore e autore de I sopravviventi (Einaudi 2023), un libro che parte dalla sua lunga esperienza come operatore in un centro per persone senza fissa dimora, dove per diciassette anni è stato ogni giorno a contatto con uomini e donne che hanno perso gli strumenti per abitare il mondo. «Forse più che parlare di vite nascoste dovremmo parlare di vite occultate», ha detto. «E il rischio maggiore rispetto a chi subisce occultamento è quello di passargli il microfono come una concessione benevola. Forti del nostro know how rischiamo di parlare delle vite degli altri con benevolenza, senza attribuirgli un reale valore, una conoscenza che possono trasmettere». Giuseppe Rizzo, giornalista di Internazionale ha messo, infine, in guardia dal trattare le persone che vivono in condizioni di marginalità come «bancomat di storie». La persona che ha più potere, giornalista o comunicatore che sia, «può appropriarsi di quella storia per restituirla a modo suo», ha affermato. E rivolgendosi al mondo del terzo settore Rizzo ha ammonito: «Sta a voi dare un senso a quella storia, collegandola al contesto e al mondo più in generale. Non aspettatevi dai giornalisti l’approfondimento del contesto, perché non arriverà mai: siete voi che dovete fornire i dati e gli strumenti per contestualizzare quella. Se abbiamo paura della complessità, abbiamo perso la nostra battaglia». Il progetto Polo Psi continuerà nei prossimi mesi con nuovi incontri e un evento finale previsto per marzo. «Abbiamo riscontrato molto interesse intorno al tema», conclude Corallo: «il punto non è trovare la formula perfetta, ma capire, insieme, come non smettere di cercarla».






