RIFORMA DEL TERZO SETTORE: I CENTRI DI SERVIZIO FUORI DA LOGICHE CORPORATIVE

Il dibattito continua, ma diventa urgente un dialogo, perché le sfide da affrontare sono tante. E la politica non sia di parte

Paola Springhetti ha pubblicato un coraggioso articolo il 26 scorso sui Csv (centri di servizio per il volontariato) e la legge delega di riforma del Terzo Settore in discussione al Senato (“Di chi sono i centri di servizio per il volontariato?”), che merita un dibattito e delle precisazioni e questo mio contributo con questi intendimenti è stato scritto. Inoltre io penso che sia importante mettere in campo rapidamente una mobilitazione che permetta l’approvazione da parte del Senato di norme ispirate alla saggezza, spero quindi che all’articolo di Paola e al mio ne seguiranno altri per ragionare assieme e mobilitarsi assieme, anche per documentarci in materia…

Una premessa per capire soggetti e questioni in campo

I Csv, dalla loro istituzione voluta dall’art. 15 della 266/91, sono sempre stati al centro di polemiche e scontri molto vivaci. Contrariamente a quel che molti pensano non esistono solo in Italia: i Csv, sono certamente presenti, e più che da noi, in due Paesi che, sia per quanto riguarda il volontariato che l’economia solidale, sono da anni molto più avanti di noi su questo terreno (Paesi Bassi e Gran Bretagna). Da noi però il Parlamento ha stabilito 25 anni fa un rapporto tra volontariato e Fob (Fondazioni di origine bancaria) che, da un lato sono tuttora l’azionista di riferimento del sistema bancario italiano, ma che dall’altro lato il legislatore (legge “Ciampi” 461/98) ha destinato a sostegno della «ricerca scientifica, dell’istruzione, dell’arte, della conservazione e valorizzazione dei beni culturali e ambientali, della sanità e dell’assistenza alle categorie sociali deboli», essenzialmente attraverso erogazioni di carattere finanziario. Questa è un’originalità positiva, del Paese che ha le banche più antiche del mondo, che sorsero a suo tempo per sostenere lo sviluppo economico della comunità, però diciamo pure che per le organizzazioni sociali confrontarsi con gli azionisti di riferimento del sistema bancario non è stato negli anni così pacifico e privo di conflitti.
In particolare le Fob non hanno mai digerito l’obbligo, “una tassa” la chiamarono nei loro ricorsi alla Consulta, di erogare fondi di cui non possono decidere le finalità, ma anche lo stesso volontariato e il Terzo settore sono sempre stati presi dalla tentazione di reclamare per le loro attività, obbiettivamente sottofinanziate rispetto alle necessità, i fondi destinati ai servizi.
csvLe stesse organizzazioni di volontariato che governano i Csv (tante, oltre 9.000 sono oggi i soci dei Csv, tra cui molte reti organizzative) hanno peccato di una visione corporativa. Perché quest’esempio virtuoso di gestione di un servizio pubblico da parte degli stessi utenti (cosa prevista dall’art. 43 della Costituzione, ma raramente applicata da allora) di sostegno all’impegno sociale e alla partecipazione democratica (e singoli casi di gestione meno virtuosa, come in tutte le cose che riguardano l’umanità, non cambiano il quadro positivo) doveva essere proposto appunto come un esempio virtuoso da allargare ad altri nella società italiana impegnati nel sociale. Da molti anni le ricerche ci dicono che i volontari sono molti di più di quelli impegnati nelle organizzazioni di volontariato, certo questi ultimi sono quelli che la legge vuole come più chiaramente impegnati per il bene comune, ma molti altri volontari stanno fuori dalle Odv.
Diciamo che nella lunghissima, almeno se paragonata ai tempi della nostra vita, transizione italiana dalla Prima Repubblica ad un’altra che ancora si fatica a vedere – transizione che nel ’91 quando fu promulgata la 266 si era già avviata – tutti i soggetti protagonisti di questa vicenda hanno spesso peccato di una visione corporativa, vedendo prevalentemente i loro, pur legittimi e onorevoli, interessi, più che quelli generali, se si esclude l’accordo che nell’ottobre del 2005 portò alla costituzione di Fondazione per il Sud e al finanziamento dei Csv del Mezzogiorno, sino ad allora senza risorse. Quell’accordo rimane l’esempio a cui ancora oggi bisogna riferirsi, certo fu una goccia più in generale negli annosi rapporti Nord/Sud del nostro paese, ma una goccia significativa per quel che diceva e anche per qualche risorsa che ha spostato.
Questa visione corporativa è però un difetto non solo di questo mondo, ma che in questi anni ha caratterizzato tutta la società italiana, alle origini della nostra (ed europea) crisi istituzionale ed economica in fondo c’è l’incapacità, entrati in crisi irreversibile le culture politiche e i partiti che sconfissero il nazi/fascismo e in Italia fecero la Costituzione, di pensarci come un’unica comunità al di là delle divisioni tra ricchi e poveri (che non a caso sono cresciute), come un unico Paese al di là della divisione storica tra Nord e Sud (che non a caso si è allargata). Abbiamo vissuto e viviamo ancora la frammentazione, i diversi interessi che si rappresentano nelle istituzioni, con grande difficoltà a trovare un quadro, una visione condivisa che ponga al centro gli interessi generali del Paese.
Insomma, anche quando si discute di Csv la discussione diventa ideologica, ogni soggetto in campo difende la sua visione di parte e i parlamentari, che necessariamente conoscono poco il funzionamento concreto dei Csv, sono strattonati tra queste visioni contrapposte e possono finire per fare una mediazione che non tiene conto di una realtà che è sempre più complicata di quel che desidereremmo. Vediamo perché.

Csv sì, ma per far cosa?

Ha ragione Bobba, che di fatto in questo senso più di una volta si è espresso, ed anzi io ne rivendico la primogenitura, i Csv devono diventare agenzie di sviluppo della cittadinanza attiva e dell’economia solidale, perché è il Paese che ne ha bisogno.
Le istituzioni per funzionare e ritrovare un rapporto con i cittadini hanno bisogno della loro partecipazione, non solo nel formare e selezionare la rappresentanza (questa è la funzione dei partiti), ma anche nel proporre ed attuare le politiche in campo ambientale, sociale, sanitario, culturale (e questa è la funzione della cittadinanza attiva). Ma anche l’economia e la finanza, se vogliono crescere e uscire dal cortocircuito mercantilista in economia e speculativo nella finanza, che ci hanno portato alla crisi del 2008, hanno bisogno dell’economia solidale, sociale o civile come la si voglia chiamare (e questa è la funzione dell’economia e della finanza solidale, delle associazioni dei consumatori, dei Gruppi di acquisto solidali, eccetera).
csvIl volontariato e il Terzo settore sono diventati sul lungo periodo un soggetto decisivo per perseguire un nuovo modello di sviluppo solidale e sostenibile, non solo a livello nazionale, ma anche europeo e nel Mediterraneo. Un mare che da sempre mettendo in comunicazione continenti diversi con i loro carico di problemi ma anche di risorse umane, può diventare ancora una volta crogiuolo di civiltà se sapremo far prevalere la cooperazione per affrontare il dramma delle migrazioni e dei rifugiati che fuggono da guerre alimentate dalla competizione e dal delirio di onnipotenza degli Stati, con il risultato di un disordine internazionale che ha creato solo immani disastri umanitari.
Se vogliamo quindi far crescere il volontariato e il Terzo settore, non c’è solo un problema di risorse: prima ancora i cittadini attivi devono lavorare assieme, per questo devono costituire associazioni, devono avere al loro interno delle regole di funzionamento democratiche, devono darsi uno statuto, devono amministrare una contabilità e rispettare il fisco, devono conoscere e saper fare, devono cioè formarsi, devono essere capaci di intervenire nella vita sociale e istituzionale se vogliono applicare il principio di sussidiarietà previsto dall’art. 118 della Costituzione.
Tutto questo viene prima delle risorse, perché riguarda il soggetto che le deve saper trovare e le deve usare, a questo devono servire i Csv. Questo ha generato negli anni una tecnostruttura, una burocrazia che i critici (Fob, ma anche molti enti di Terzo settore) ritengono parassitaria? In un’epoca di critica feroce della burocrazia, ad esempio quella della UE, l’argomento è di successo e popolare. Ma in realtà non c’è attività sociale o economica senza una burocrazia che la attui, il punto è come lavora, cosa produce, chi dà gli indirizzi, chi la governa. Di questo occorre discutere, il problema non si risolve se gli enti di Terzo settore, e i loro organismi di rappresentanza, avocano per sé quelle risorse, per le loro attività.

A chi devono servire i Csv

L’ultimo emendamento al testo della legge delega dedicato ai Csv presentato dal relatore Stefano Lepri in Commissione affari costituzionali del Senato è indubbiamente molto meglio di quello che inizialmente presentò l’anno scorso, ci sono dei passi in avanti da sottolineare positivamente, ma conserva ambiguità e limiti che vanno superati, in parte nel testo stesso della legge delega e in particolare nei decreti legislativi che saranno emanati. Nella tabella sinottica che segue questo articolo viene confrontato il testo uscito dalla Camera con l’ultimo emendamento Lepri e per puntuali osservazioni lì si rimanda, qui faccio le osservazioni principali.
Bene che i Csv promuovano e rafforzino “la presenza dei volontari nei diversi enti di Terzo settore”, questo è il compito prioritario, ma da un lato esiste qualche milione di volontari in Italia non organizzato[1] che va sostenuto, dall’altra direi che è più avanzato in proposito il DM 8/10/97 che ne regola ora finalità e funzionamento su mandato dell’art. 15 della 266/91, visto che prevede che essi «approntano strumenti e iniziative per la crescita della cultura della solidarietà, la promozione di nuove iniziative di volontariato e il rafforzamento di quelle esistenti» e inoltre «offrono consulenza e assistenza qualificata nonché strumenti per la progettazione, l’avvio e la realizzazione di specifiche attività». Nello spirito della 266/91 qui i Csv promuovono nel suo insieme il volontariato e la sua funzione sociale e culturale. Nel testo della Camera era previsto «il sostegno di iniziative territoriali solidali», che si muoveva in questo senso, l’occhiuta e permalosa attenzione delle Fob a queste parole non solo ha prodotto la proposta di eliminarle, ma anche il divieto che i Csv «possano procedere a erogazioni dirette in denaro ovvero a cessioni a titolo gratuito di beni mobili o immobili a beneficio degli enti del Terzo settore». A parte che se non si tratta di Terzo settore, sembrerebbe che si può erogare, ma bisogna stare attenti a quel che si scrive: così neppure la pratica di raccogliere vecchi computer e donarli alle Odv è possibile, oppure il sostegno al programma formativo di un’Odv o di altro ente di Terzo settore deve essere tutto realizzato mettendo nella contabilità del Csv qualsiasi acquisto di cancelleria o rimborso di docenti, con una burocratizzazione asfissiante che invece tutti dicono di voler eliminare.
Inoltre se l’1/15 superasse un anno per entità le spese necessarie per i servizi, che rimangono la finalità del sistema dei Csv, che si fa di quei fondi (prima o poi si uscirà pure dalla crisi economica)? Livia Turco aveva nel 2000 con una saggia circolare regolato la questione e le Fob bene sanno che quei fondi in più, ad esempio al Sud, furono erogati con il controllo di congiunto di CoGe e Csv per progetti delle organizzazioni vagliati da commissioni indipendenti. Insomma soluzioni un po’ più pratiche e meno ideologiche sono necessarie e che i parlamentari divengano più realisti del re mi pare un po’ troppo.
Infine qualcuno ci deve spiegare con quali risorse si possono allargare i servizi a tutti i volontari presenti in Italia, se dopo la crisi già sono insufficienti per le Odv e molti Csv, nel Mezzogiorno e non solo, hanno già licenziato, hanno personale in cassa integrazione o in contratti di solidarietà. O si chiede un contributo in più alle Fob, rispetto alla situazione attuale (le erogazioni dell’1/15 oggi sono 1/30 dei proventi delle Fob, una drastica diminuzione dovuta non solo dall’Atto di indirizzo Visco che le dimezzò nel 2001, ma anche rispetto agli accordi sottoscritti liberamente da Acri nel 2005). Oppure il Governo decide di utilizzare una parte dei fondi del cinque per mille che rimane ogni anno nelle casse dello Stato non riscosso dalle Onlus. Alternative non mi pare ci siano se vogliamo erogare servizi ai 6,637 milioni di volontari calcolati dall’Istat[2].

Da chi devono essere governati i Csv?

Il comma 1 dell’emendamento Lepri stabilisce che «alla loro costituzione possano concorrere gli enti del Terzo settore di cui all’articolo 1, comma 1, con esclusione di quelli costituiti nelle forme di cui al libro V del codice civile». Sarebbe meglio limitarsi alle associazioni, o alle organizzazioni nelle quali sia prevalente la presenza del volontariato, altrimenti anche fondazioni molto potenti economicamente presenti soprattutto nel campo sanitario ma non solo, forse anche le Fob, potrebbero essere tra gli enti costituenti di un Csv, con un potere di condizionamento di fatto spropositato.
Il comma 4 dell’emendamento stabilisce «libero ingresso nella base sociale e criteri democratici per il funzionamento dell’organo assembleare, con l’attribuzione della maggioranza assoluta dei voti nell’assemblea alle organizzazioni di volontariato di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266». Bene, in fondo è quel che stabilisce il DM 8/10/97, quando prevede che il Csv sia «un’entità giuridica costituita da organizzazioni di volontariato o con presenza maggioritaria di esse». Già oggi cioè negli organi di governo dei Csv sono presenti altri enti di Terzo settore, in particolare le associazioni di promozione sociale. Però il DM in questione permetteva, e raramente effettivamente ha permesso, anche ad una singola organizzazione di volontariato di divenire Csv, era una vecchia disposizione presente nel primo DM di regolazione del sistema dei Csv che nel ’97, quando lo si rivide, non si riuscì a superare. L’emendamento certamente chiarisce, rafforza la gestione democratica e partecipata dei Csv e conserva un ruolo prioritario delle organizzazioni di volontariato iscritte o non iscritte ai Registri. La cosa infastidisce alcuni altri enti di Terzo settore, ma da un lato si tratta pure di Centri di servizio per il volontariato e come altrimenti assegnare ad esso la direzione, tenendo anche conto di quasi vent’anni di storia dei Csv? Inoltre la proposta del Forum «della non prevalenza di nessuna delle forme di enti di Terzo Settore» in assemblea, anche se la si condividesse, e non è il mio caso, qualcuno mi deve spiegare come si possa applicare, potrebbe essere un auspicio, ma non una norma. Per finire però su questo punto un solo dubbio: il DM era meglio congeniato perchè stabiliva la prevalenza dei soci, non dei voti. Quanto previsto dall’emendamento Lepri potrebbe essere anche una sorta di golden share, che pone come vincolante il voto delle Odv anche se in minoranza, con tensioni insostenibili nelle assemblee dei Csv per una sorta di dittatura della minoranza, già la dittatura della maggioranza è sbagliata, figuriamoci quella della minoranza.
Infine quanto alla governance dei Csv un argomento spinoso: Lepri stabilisce «forme di incompatibilità per i soggetti titolari di ruoli di direzione o di rappresentanza esterna». Ha evidentemente concorso a questa formulazione sia chi vuole recidere ogni legame politico tra partiti e Terzo settore, sia il Forum del Terzo settore, che ha adottato nei propri regolamenti nel rapporto con i Csv questo provvedimento, “per conflitto di interesse”.
Sul primo punto (TS e Politica) noto che le incompatibilità furono scoperte negli anni ’70 del ‘900 dalla Federazione sindacale unitaria e da allora hanno avuto molta fortuna soprattutto del mondo sindacale, che ha nel Forum influenzato questa decisione. Noto inoltre comunque che se allora, nella Federazione sindacale unitaria, la cosa aveva un senso per favorire l’unità, non servì allo scopo se la Federazione è poi comunque defunta per le tensioni politiche tra i partiti. In seguito poi l’incompatibilità così praticata ha contribuito ad allontanare i partiti dalla base dei lavoratori (molto presente allora non solo nel Pci, ma anche nel Psi e nella stessa Dc) e alla fine ha contribuito a regalarci un “ceto politico” di rappresentanti che ha teso sempre più a rappresentare i propri interessi piuttosto che quelli sociali. Trovo che il tutto sia in parte un’ipocrisia (ad es. il Forum ha approvato quelle norme per altre ragioni), essenzialmente perché la politica è rappresentanza di interessi particolari che si devono conciliare con quelli generali, meglio giocare a carte scoperte, nasconderli è inutile e dannoso per la necessaria mediazione.
Conflitto di interesse invece si avrebbe se a dirigere un Csv ci fossero rappresentanti di enti di formazione e consulenza, non se ci sono le Odv e gli enti di Terzo settore, l’art. 15 della 266/91 è in questo senso più coraggioso e sincero. Oppure certo incompatibilità ci sarebbe se a dirigere un Csv ci fossero ad esempio assessori, chi ha responsabilità amministrative, ma chi rappresenta il volontariato nelle assemblee elettive che approvano norme locali o nazionali, perché è incompatibile?

Chi li controlla?

Quanto poi agli organismi di controllo dei Csv «al loro accreditamento e alla verifica periodica del mantenimento dei requisiti, anche sotto il profilo della qualità dei servizi dagli stessi erogati». Sta bene che rimangono organismi di controllo regionali, che il livello nazionale stabilisca solo criteri uniformi, ma sarebbe bene specificare che in essi continuano ad essere presenti le istituzioni pubbliche (Regioni e Comuni, ma anche lo Stato), perché ciò da un lato garantisce la funzione pubblica da essi svolta con criteri di garanzia, trasparenza e impugnabilità al Tar delle decisioni, dall’altro lato la loro presenza favorisce il rapporto tra volontariato, Terzo settore ed enti pubblici, in particolare quelli locali, rapporto che è alla base dell’applicazione del principio di sussidiarietà.
csvQuanto a “criteri di efficienza e di contenimento dei costi” che giustamente già il testo della Camera prevedeva, non si capisce perché invece di fare riferimento al mantenimento della loro attuale natura gratuita e alla loro necessaria snellezza, oggi sono pletorici, si inseriscano addirittura «eventuali emolumenti previsti per gli amministratori e i dirigenti». Il fatto poi che gli oneri relativi «saranno posti a carico, in maniera aggiuntiva, delle fondazioni bancarie finanziatrici» non è per nulla una garanzia, perché non si è mai visto che i controlli di qualità in una funzione pubblica li faccia il privato che per obbligo di legge deve finanziare, e che certo è difficile che sia felice di questo, e che oltretutto ha il controllo prevalente sugli stessi organi di controllo perché paga dirigenti e amministratori, casomai ci vorrà un ente terzo. Mi pare evidente che qui il relatore Lepri, ma sembra anche con un accordo di maggioranza, invece di essere arbitro tra i soggetti in campo ha sposato la tesi di una delle parti.

Conclusioni: un dialogo necessario

Come scrivevo all’inizio, mi pare che tutta la vicenda del percorso della legge delega in Senato evidenzi che sulla parte riguardante i Csv i parlamentari, lo stesso Lepri e la maggioranza abbiano dovuto mediare tra tesi tra loro in parte contrapposte, con una mediazione che in alcuni punti alla fine non si può certo dire felice.
Io penso che i soggetti in campo abbiano invece tutto l’interesse a dialogare costruttivamente tra di loro, altrimenti la riforma che ne verrà fuori, almeno per quel che riguarda i Csv, sarà qualcosa di difficilmente applicabile, sarà un pasticcio, i rancori non sono costruttivi.
A mio avviso Acri ha tutto l’interesse a trovare un accordo anche con i Csv e non solo con il Forum, perché da organi di servizio che si rivolgono all’insieme di un mondo del volontariato che continua ad essere uno dei pochi soggetti credibili del nostro Paese, non possono che venirne cose positive. Le Fob, come azionisti di riferimento della parte decisiva del sistema bancario italiano, hanno a mio avviso tutto sommato tutelato il sistema bancario italiano dalle spinte più speculative che hanno devastato in questi anni il sistema finanziario europeo e statunitense[3], ma le ultime vicende, relative anche a qualche istituto di credito italiano controllato dalle Fob, testimoniano che la crisi sta minacciando anche il nostro sistema bancario. Il momento è difficile per il nostro Paese e non è bene dividersi, certo, bisogna avere senso della misura per quel che riguarda il peso dei Csv, ma bisogna sapere che i singoli mattoni alla fine fanno il muro.
Il Forum del Terzo settore, come l’altro organismo di rappresentanza del volontariato, la Convol, sono in realtà lontani dal svolgere un ruolo di rappresentanza, politico e non partitico, come sarebbe necessario vista la crisi che perdura di partiti e sindacati. Il Forum del TS ha trovato, comprensibilmente, nel rapporto con Acri risorse preziose, ma la presenza nel territorio e nelle regioni è molto fragile, e per un organismo che trae la sua forza dalla sua base sociale questo è un problema che bisogna porsi, un problema che con un buon rapporto con i Csv è indubbiamente più facile affrontare.
Siamo a un passaggio difficile, tutto consiglia la collaborazione, non la guerra, tutti, non solo i Csv, devono crescere e rafforzarsi. In fondo siamo come Terzo settore alquanto impreparati al compito a cui siamo chiamati di contribuire a ricostruire questo Paese.
Il volontariato e il Terzo settore, ad esempio, potrebbero assieme alle Fob sui fondi strutturali europei, in particolare nel Mezzogiorno, fare cose di grande utilità per il nostro futuro: perché siamo lì a farci la guerra stupidamente invece di vedere come fare sinergia?
Infine penso che il Parlamento, invece di sposare le tesi dell’uno o dell’altro, dovrebbe fare una valida sintesi politica guardando agli interessi dell’intero Paese, che è la cosa a cui, oggi come ieri, dobbiamo guardare.

Per un confronto tra il testo  uscito dalla Camera e l’ultimo emendamento del Relatore Stefano Lepri clicca qui

Note:

[1] 3,031 milioni di volontari non “organizzati” e 4,144 gli “organizzati” nel 2013 ne calcola l’ultima indagine multiscopo Istat, che con il suo grande campione di oltre 50.000 cittadini intervistati in Italia è su questo punto più precisa del Censimento 2011 del non profit, che da un dato non solo non può rilevare i non organizzati, ma è approssimativo e li rileva per eccesso (ne calcolava 4.758.622), perché il questionario del Censimento si limitava a chiede all’ente non profit stesso quanti volontari aveva e senza alcuna possibilità di verifica. Vedi: Attività gratuite a beneficio di altri, statistiche, report 23 luglio 2014. Istat, indagine in convenzione con Csvnet e Fondazione Volontariato e Partecipazione.

[2] Vedi la nota 1.

[3] Solo nella UE gli Stati hanno speso tra 2008/2011 4.500 miliardi di €, il 37% del Pil dell’Unione per salvare le banche, dato fornito dal Commissario UE al Mercato interno Michel Barnier nel presentare il 6/6/2012 la proposta di creazione dell’unione bancaria europea. 4.500 miliardi di € che sostanzialmente non hanno riguardato il sistema bancario italiano.

 

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