DIPENDENZE: IN ITALIA I SERVIZI DI RIDUZIONE DEL DANNO SONO OLTRE 150, MA NON BASTA

Lo spiega una ricerca Cnca, Cica e Arcigay: sono nei LEA, ma coprono solo un quarto del Paese, soprattutto il Centro Nord. Nel Lazio sono 15

I servizi di riduzione del danno (Rdd) e limitazione dei rischi (Ldr) oggi in Italia sono 152. Ce lo dice una ricerca promossa dal Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA) in collaborazione con il Coordinamento Italiano Case Alloggio Hiv/Aids (CICA) e Arcigay, che è stata presentata a Roma lo scorso 21 maggio nell’ambito del seminario La strada diventa servizio: La riduzione del danno come diritto, organizzato all’interno del progetto PAS – Principi Attivi di Salute. I dati ci dimostrano che, soprattutto nel Centro Nord, è cresciuta una vasta rete di servizi di riduzione del danno, una risposta concreta ai bisogni di chi fa uso, abuso o è in una situazione di dipendenza di sostanze psicoattive, una rete di servizi e operatori che affrontano la questione del consumo di droghe dal punto di vista sociale e sanitario.

 

I DATI: I SERVIZI SONO ATTIVI SOPRATTUTTO NEL CENTRO NORD. Le tipologie di servizio che sono state prese in esame sono di diverso tipo. Parliamo di unità mobili in contesto di consumo e spaccio (come nel caso della zona di Rogoredo, a Milano), di drop-in (cioè luoghi a bassissima soglia dove si può anche fare una doccia o dormire, rivolti soprattutto a un’utenza marginale, come i senza fissa dimora), delle unità mobili per i grandi eventi (come i rave, i free party, i festival musicali e gli eventi in discoteca) e delle unità mobili nei luoghi del divertimento giovanile, cioè le piazze e i luoghi di ritrovo, i pub e i bar.

I dati ci raccontano una cosa importante. Dei 152 servizi di riduzione del danno censiti, 37 sono attivi in Emilia Romagna, 26 in Lombardia, 22 in Piemonte, 15 nel Lazio, 13 in Toscana, 9 in Umbria. Come detto in apertura, i servizi sono concentrati soprattutto nel Centro Nord; nel Sud troviamo solamente 6 servizi in Campania, 2 in Puglia e 1 in Calabria; non sono stati rilevati servizi in Basilicata, Sicilia e Sardegna. «C’è un’Italia a macchia di leopardo» commenta Matteo Iori del CNCA. «Ci sono regioni in cui ci sono un sacco di servizi, alcune in cui sembra non esserci neanche uno. Abbiamo cittadini diversi con diritti molto diversi all’interno dello stesso paese».

I contatti totali sono stati forniti da 122 servizi e ammontano a 381.931. Le persone entrate in contatto con i servizi sono state stimate in 33.284 (secondo i dati forniti da 116 servizi). Come si può capire, il numero dei contatti è superiore a quello delle persone perché una persona può essere entrata in contatto con il servizio più volte.

Il target dei servizi è soprattutto quello delle persone che usano droghe (indicate da 133 servizi), seguito dai giovani (76 servizi), dalle persone fragili (63) e dalle persone con Hiv (48). Ma ci sono anche i migranti, segnalati da 44 servizi. Le persone più giovani, cioè i minori di 25 anni, rappresentano quasi metà dell’utenza, il 40%, un quarto è rappresentato da adulti tra i 25 e 34 anni; gli ultra 65 sono utenti delle case di alloggio. Il 71% sono maschi, il 28% femmine e l’1% transgender. Il 75% sono italiani, il 25% stranieri.

I servizi sono gestiti in prevalenza da organizzazioni del Terzo Settore, che curano il 63% di questi. I restanti sono gestiti da enti pubblici. Quasi tutti hanno una lunga storia, e sono attivi da più di 11 anni: solo 4, il 3,4% hanno meno di un anno. «Il fatto che la maggior parte dei servizi sia attiva da più di 11 danni è un’ottima cosa, vuol dire che ci sono operatori molto ben formati» riflette Iori. «Ma è anche un rischio: chi fa lo stesso lavoro da 11 anni probabilmente ha più difficoltà a modificarsi con i cambiamenti del contesto».

Le attività di questi servizi di solito hanno carattere settimanale: parliamo di 5 giorni alla settimana per circa quattro ore di servizio al giorno. I servizi sporadici, che operano un giorno o meno al mese sono meno del 10%, mentre i servizi continuativi, di almeno 3 giorni alla settimana, superano il 50%. «Quanti di questi servizi lavoreranno sabato e domenica, giorni in cui tendenzialmente i servizi pubblici sono chiusi? » si chiede Iori. «Quanto le risposte che noi diamo a una popolazione che continua a usare sostanze al sabato e alla domenica sono utili a noi e quanto sono utili a loro?»

 

servizi di riduzione del dannoRIDUZIONE DEL DANNO: COSA FANNO I SERVIZI? Ma di cosa parliamo quando parliamo di riduzione del danno? Le prestazioni offerte da questi servizi vanno dalla distribuzione di siringhe e aghi e altro materiale per l’uso di sostanze per via iniettiva alla distribuzione di materiale informativo sulle sostanze fino alla raccolta delle siringhe usate e alla distribuzione di profilattici. Ma stanno diventando importanti anche le attività di counseling, l’invio ai servizi sociali e sanitari, le prestazioni mediche, la distribuzione di naloxone e di kit per la riduzione dei rischi sanitari nell’assunzione di sostanza per via polmonare e la somministrazione di etilometri.

 

LE GRANDI PIAZZE DI SPACCIO E GLI ATTACCHI ALLA RDD. Come si intuisce dai dati diffusi, i servizi di riduzione del danno devono affrontare sfide molto diverse fra loro. Una di queste sono le grandi piazze di spaccio. «Rogoredo è la piazza più grossa d’Europa per lo spaccio di eroina» ha spiegato Riccardo De Facci, presidente del CNCA. «L’intervento della riduzione del rischio distribuisce 1200 siringhe al giorno e ne raccoglie quasi 500. Stanotte una ragazza rumena, in un boschetto a Rogoredo, ha partorito. Immediatamente è partito l’attacco alla riduzione del danno. Ci sono degli interessi al non cambiamento che stanno ancora definendoci assassini e complici. Sono stanco del fatto che i nostri operatori vengano attaccati da altre realtà che si occupano di tossicodipendenza, comunità che in questo momento stanno facendo un lavoro dignitoso stanno cercando di appiattire e attaccare ancora, 30 anni dopo, contro qualsiasi evidenza, questo tipo di intervento». «Dicono: se non ci fossero le siringhe non ci sarebbe la piazza. Invece c’è prima la piazza, e poi i nostri interventi» continua De Facci. «Oppure che se ci sono siringhe non c’è la cura. Assolutamente no. Noi siamo anche servizi di cura: avvicinare le persone prima vuol dire provare ad accompagnarle a un servizio prima. Qualcuno dice che la nostra è una prossimità cinica. Ma il servizio a Rogoredo non è più solo riduzione del danno: per 6 ore, 7 giorni su 7, c’è la presenza degli operatori, è presente la Croce Rossa con un camper per le prestazioni sanitarie. E ci sono operatori che in alcune ore vanno a dissuadere il consumo. Vogliamo stare in quegli angoli della città dove nessun altro arriva. Non importa se è la città dei migliori o dei peggiori».

 

servizi di riduzione del danno
Foto di Rick_Doble

NUOVI LUOGHI E NUOVE FORME DI CONSUMO. Ma le sfide della riduzione del danno sono anche altre, e più complesse. Si tratta di affrontare domande e situazioni in continuo mutamento: dalle oltre 100 nuove sostanze psicoattive rilevate dall’Istituto Superiore di Sanità lo scorso anno, alle nuove modalità e i nuovi luoghi del consumo. «Oggi non ci sono solo le piazze, ma anche il dark web: nuovi luoghi e forme di consumo su cui dobbiamo studiare modelli di riduzione del danno diversi» riflette De Facci. «Dobbiamo fare i conti con un cambiamento profondo dell’offerta, che non è più solo per sostanza o per target. Fino a un anno fa le unità di strada non si ponevano il problema di che sostanze stessero girando in strada: c’era l’eroina. Ora dobbiamo capire come una dose di eroina da 5 euro possa essere così devastante, perché vadano in overdose delle persone che non hanno consumato tantissimo: cominciamo a pensare che siano tagliate con altre sostanza chimiche. Oggi c’è un’offerta mirata per target, un aumento dell’esposizione e del marcato legale. Cambiano profondamente i fenomeni, i problemi e i reati connessi. Occorre iniziare a ripensare al nostro sistema in un modello diverso».

I nuovi pericoli non vengono solo da nuove sostanze, ma anche da nuovi fenomeni. «Uno di questi è il chemsex, cioè l’utilizzo di sostanze nell’ambito della sessualità» ha spiegato Filippo Nimbi di Arcigay. «Sembra una cosa che non è nuova, ma quello che cambia è la modalità. Gli uomini che fanno sesso con uomini sono 4 volte più a rischio di utilizzo o dipendenza da sostanze rispetto agli eterosessuali. Nel caso specifico del chemsex sono diversi da un tempo il tipo di sostanze usate – sono sostanze che hanno un effetto diretto sulla sessualità come le metanfetamine e il Ghb – e il contesto, che è fatto di feste private e quindi di situazioni di sesso di gruppo. Ci sono molte persone che iniziano a fare chemsex ma non hanno mai utilizzato sostanze. In questi contesti l’aspetto del rischio è più alto, quello di malattie sessualmente trasmissibili, ma anche la possibilità di andare in overdose». A Londra c’è una morte a settimana legata al chemsex. In Italia non abbiamo dati, ma a Milano sta nascendo il primo servizio dedicato a questo fenomeno.

 

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