SICCITÀ: È L’UMANITÀ AD ESSERE INARIDITA

Il nuovo film di Paolo Virzì racconta una Roma dove non piove da tre anni, nella quale la mancanza d’acqua stravolge regole e abitudini. Ispirato alla pandemia, e profetico sulla crisi delle risorse, parla di un’umanità che ha perso ogni connessione

La scena in cui la macchina da presa vola su un Tevere completamente prosciugato, arido, una distesa di sabbia e polvere che si dipana tra un argine l’altro, è una di quelle immagini che porteremo con noi a lungo, che entrerà nell’immaginario collettivo per sempre. È l’immagine più potente di Siccità, il nuovo film di Paolo Virzì, scritto insieme a Francesca Archibugi, Paolo Giordano e Francesco Piccolo, che è stato presentato alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, e che è finalmente nelle nostre sale dal 29 settembre. Nella storia che racconta Siccità siamo ormai a 367 giorni dall’inizio della crisi idrica, e mancano 12 giorni alla chiusura idrica. A Roma non piove da tre anni e la mancanza d’acqua stravolge le regole e le abitudini delle persone. Si muore di sete e di divieti, insorgono nuove malattie, si vive in mezzo alla polvere e agli insetti. In questa cornice noi assistiamo a un coro di personaggi di tutte le estrazioni e tutte le classi sociali, di varie professioni e vari stili di vita. È un mosaico di umane commedie, come in un film di Robert Altman, slegate ma legate fra loro. Nel cast c’è Silvio Orlando, nei panni di un uomo che esce di galera dopo 25 anni e vaga per la città in cerca di quel che resta della sua famiglia. C’è Valerio Mastandrea, un ex autista che, una volta abolite le auto blu, continua il suo lavoro in proprio, tra mille difficoltà, ed è perseguitato dal sonno. C’è Tommaso Ragno, un attore che si reinventa influencer sui social media, e c’è Claudia Pandolfi, un medico con una vita privata non facile. Max Tortora è un negoziante che ha perso tutto. E Monica Bellucci è una diva che si trova in uno dei pochi resort in cui, visti i soldi, l’acqua è disponibile, e sorseggia daiquiri e si gode l’idromassaggio. E ancora ci sono Vinicio Marchioni, Diego Ribon, Emanuela Fanelli, Gabriel Montesi e Sara Serraiocco.

Siccità e quel Tevere completamente prosciugato

siccità
Francesco Piccolo. «Il film parla di una siccità concreta, reale, ma in realtà il tentativo che facciamo è quello di raccontare un’umanità inaridita»

Tutto il film è tinto di giallo, di seppia, di quei colori che siamo soliti associare alla sabbia del deserto, a un paesaggio africano. Durante Siccità ti abbandoni alla visione, ti immergi in quelle storie, e davvero senti caldo, ti senti sudare, ti viene una terribile sete. È la suggestione del cinema, di una visione di fantasia che, nelle nostre sensazioni, si fa concreta. E tutto parte da quel Tevere prosciugato. «È una delle immagini più forti» ci ha spiegato lo sceneggiatore Francesco Piccolo. «Il punto di partenza è la siccità, l’idea della crisi idrica. Questo film lo abbiamo scritto durante la pandemia.  Per noi voleva dire andare a cercare un altro elemento apocalittico che non fosse il Covid. Poi la realtà si è rapidamente avvicinata a quello che avevamo immaginato, più rapidamente di quello che potevamo pensare. Per scrivere il film abbiamo letto libri sulla crisi dell’acqua, visto dei documentari ambientati in Sudafrica, in cui c’era questa differenza tra i ricchi, che avevano l’acqua anche per i campi da golf, e le persone povere che non potevano più neanche lavare la macchina altrimenti venivano arrestate. Immaginando tutto questo a Roma, la prima cosa a cui abbiamo pensato è stato il Tevere prosciugato. L’immagine è infelice dal punto di vista del significato, ma molto felice dal punto di vista cinematografico. Non è sempre facile, con gli effetti speciali fare cose belle, efficaci, significative».

Non dare l’acqua per scontata

Mentre i nostri personaggi si affannano a sopravvivere in qualche modo, con l’acqua razionata, a volte donata dalla protezione civile, a volte portata in taniche di plastica come il bene più prezioso, sulla tv scorrono i messaggi degli esperti e ci dicono che bisogna educare le persone a non dare l’acqua per scontata. Che poi è una delle cose che ci stiamo dicendo già da anni. «L’acqua è forse l’elemento che da sempre abbiamo dato più per scontato nella nostra vita» riflette Piccolo. «Un film è un film, racconta storie più che denunciare. Ma, in realtà, attraverso un film, attraverso queste storie, forse ci si può rendere conto, allarmare di più rispetto alla visione di un documentario scientifico, o alla lettura di un libro, una lettura di dati. Quando abbiamo fatto la proiezione del film a Venezia, all’uscita moltissime persone che avevano visto il film avevano una gran sete. Questo sintetizza quello che sto dicendo: una storia riesce a far sentire più nel profondo, non solo emotivo, ma nelle esigenze fisiche. È importante avere coscienza delle cose importanti, ma questa coscienza riesce a portarla anche un film come questo».

Misurare le risorse, nella finzione come nella realtà

siccità
Eduardo De Filippo diceva: “a me preoccupa più un morto sulla scena che un morto vero, perché se un morto arriva sulla scena, evidentemente ce ne sono stati talmente tanti che questa cosa va rappresentata”

Siccità è un film visionario, allarmante, ma in fondo anche profetico. Perché arriva nelle nostre vite proprio in un momento in cui ci stiamo trovando a dover misurare i nostri consumi, a darci delle regole, a fare delle rinunce. In questo caso non è l’acqua, ma è il gas. La mancanza di risorse, insomma, è qualcosa di concreto. «Al di là dell’acqua, questo film lo abbiamo scritto anche come metafora della pandemia» ci racconta Piccolo. «La questione al centro può essere la pandemia, l’acqua, il gas, l’energia elettrica. Il pensiero apocalittico di solito è fantascientifico. In questo caso è semirealistico, e quindi accenna a un sentimento. Eduardo De Filippo diceva: “a me preoccupa più un morto sulla scena che un morto vero, perché se un morto arriva sulla scena, evidentemente ce ne sono stati talmente tanti che questa cosa va rappresentata”. Evidentemente è questo che fa Siccità: se c’è un film a raccontare questo, è perché siamo pronti a occuparci di questo in una maniera non più confinata agli esperti, ma come qualcosa che riguarda tutti per vari motivi».

Siccità: è l’umanità che si è inaridita

La siccità fa venire fuori le crepe nelle nostre vite, come aveva detto Paolo Virzì a Venezia. E il film, in fondo, parla di un’umanità che si è inaridita per la frustrazione e la rabbia. «Il film parla soprattutto di questo» ci conferma Francesco Piccolo. «Parla di siccità concreta, reale, ma in realtà racconta storie di persone che hanno una mancanza di empatia con il mondo, hanno una siccità interiore. E il tentativo che facciamo è quello di raccontare un’umanità inaridita, che però ha bisogno di connettersi. Il film è un continuo intreccio di personaggi che hanno bisogno di legarsi l’uno all’altro. E man mano che ne sono consapevoli possono acquistare una maggiore idea di collettività». L’esperto di acqua che diventa star della tv, o l’attore spiantato che diventa influencer sui social media, sono tutti personaggi che sono figli del nostro tempo, e che durante la pandemia sono finiti agli onori della cronaca. «Abbiamo sfruttato la contemporaneità, abbiamo affrontato quello che c’è adesso» ci spiega lo sceneggiatore. «È un film sul presente, nonostante sia distopico, apocalittico e affronti qualcosa che non è realmente avvenuto. Questo presente è raccontato in tutte le variazioni degli individui, che sono completamente dentro il mondo. I problemi di un commerciante, la follia social di un attore. Tutte situazioni che credo abbiano a che fare con il presente».

Come ne esce la politica?

E poi c’è la politica. In Siccità vediamo una politica, che tra l’altro è una presidentessa del consiglio donna, e anche in questo il film si è dimostrato profetico. Un altro politico, invece, è morto, e appare nelle visioni al tassista di Valerio Mastandrea. Come ne esce la politica? «Anche il politico ne esce come tutti gli altri, una persona persa nella solitudine che può ritrovare qualcosa solo nella connessione degli altri» ragiona Piccolo. «Vale per tutti, ma ancora di più per un politico, perché è un rappresentante degli altri, e il suo legame con gli altri deve essere vivo. Il nostro politico invece è morto, è perduto, è un fantasma di se stesso e continua a teorizzare possibili scenari per il suo potere. Anche la politica non è che ne esca bene».

 

SICCITÀ: È L’UMANITÀ AD ESSERE INARIDITA

SICCITÀ: È L’UMANITÀ AD ESSERE INARIDITA