TROVARE LE PAROLE, CHE NON CI FACCIANO PIÙ MALE

Nel libro di Faloppa e Gheno la proposta di riappropriarsi delle parole, usandole per "costruire socialità". L'invito ad una nuova militanza

Le parole non sono solo parole. Sono pietre, muri, ponti, azioni… Per questo “Trovare le parole” è difficile, tanto più oggi che sembrano moltiplicarsi all’infinito, o meglio sembrano diffondersi all’infinito.

«Le parole non sono solo parole» è il filo conduttore del libro “Trovare le parole. Abbecedario per una comunicazione consapevole“, di Federico Faloppa e Vera Gheno (Edizioni GruppoAbele 2021): un testo di facile lettura, in cui i due autori – entrambi sociolinguisti – affrontano il problema di comunicare con consapevolezza e responsabilità, in un contesto in cui i nuovi media hanno disseminato discorsi d’odio e fake news, contribuendo a fare del linguaggio verbale – invece di uno strumento di comunicazione e quindi di inclusione – uno strumento di discriminazione e esclusione.

Attraverso 26 concetti chiave, gli autori da una parte ci aiutano a comprendere come cambia il linguaggio quando non passa più da persona a persona, ma da device a device; i meccanismi che portano alla diffusione della disinformazione (e della misinformazione e della mala informazione); che cosa sono e perché con tanta facilità si moltiplicano i discorsi d’odio e la xenofobia; come si costruisce, sul piano linguistico, il “nemico”; perché per le “vittime” è difficile difendersi. Dall’altra parte “Trovare le parole” è un invito all’azione: perché comunicare è un modo di agire, soprattutto quando propone narrazioni alternative, linguaggi inclusivi, supporto alle vittime.

È, questo, uno dei punti deboli del volontariato, troppo spesso portato a sottovalutare l’importanza della comunicazione anche come forma di militanza, strumento per incidere sulle rappresentazioni della realtà che lacerano la società, sulle costruzioni degli stereotipi e dei pregiudizi, sulla distruttività delle dinamiche dei social network e della propaganda politica. Oggi è urgente acquisire le competenze per riappropriarsi delle parole e imparare a usarle: «Maneggiata in modo approssimativo, distratto, noncurante, la parola può diventare un limite. Escludere ed escluderci, offendere ed offenderci. Ma è anche, la parola, possibilità, logos, conoscenza. Duttile e potentissimo attrezzo per costruire socialità, negoziare appartenenze», spiegano gli autori.

Dubbio, riflessione, silenzio

Ognuno di noi vive immerso nell’universo della comunicazione, come persona e come cittadino, e deve trovare un metodo che gli permetta di nuotare dentro questo mare, cogliendone gli aspetti positivi e difendendosi da quelli negativi, per non diventarne complice. Per questo, “Trovare le parole” propone di adottare il metodo DRS: dubbio, riflessione, silenzio.

Dubbio è l’atteggiamento da adottare nel momento in cui fruiamo dell’informazione e delle parole (“scritte, parlate, digitate”) che ci raggiungono. Significa prenderle con le pinze, porsi domande e infine prendere atto dei propri limiti di conoscenza: non siamo tuttologi.

Riflessione: è un atteggiamento da mantenere nel momento in cui stiamo per produrre un contenuto, o anche solo per rilanciare un contenuto altrui, in modo da non trovarci complici inconsapevoli di messaggi distruttivi.

Silenzio: è la scelta da fare quando non siamo sicuri di avere qualche cosa da dire, o qualche cosa da dire che abbia un senso e una qualità.

La comunicazione come militanza

Ma, come detto più sopra, comunicare è agire, è una forma di impegno per chi crede nella necessità di costruire società accoglienti, inclusive, capaci di dialogo e di partecipazione. Un impegno che si gioca su più livelli, non necessariamente successivi tra loro.

Naturalmente, una “buona” comunicazione comincia con l’ascolto, che è ben più di un semplice porgere l’orecchio, magari un po’ distrattamente: è «un metodo, un componente fondamentale della nostra militanza, un modo per mettere in discussione non soltanto noi stessi, ma anche lo spazio e le pratiche dell’agire», scrivono Faloppa e Gheno. È a partire dall’ascolto che si stabiliscono interazioni, si mettono a fuoco e quindi si gettano le basi per gestire i conflitti, si costruisce, alla fin fine, partecipazione. Una partecipazione cui tutti hanno diritto, anche i piccoli, i fragili, le vittime… quelli insomma che nessuno ascolta mai. Come scriveva Alex Langer: «Abbiamo bisogno che le voci dei piccoli ricevano cittadinanza e possibilità di ascolto non sfigurate dalla grande comunicazione, e che il fragore delle voci dei Grandi lasci almeno degli interstizi».

Il secondo step quindi è quello del ridare la parola ai gruppi sociali e alle singole persone discriminate, quelli che per il loro genere, l’etnia, la classe sociale, la disabilità e così via non vengono normalmente creduti, presi sul serio, considerati. Accanto a questo, c’è l’impegno accanto alle vittime dei discorsi d’odio, spesso soggette ad under-reporting (cioè la tendenza a non denunciare  quanto è stato loro fatto) e altrettanto spesso soggette ad under-recording, cioè al meccanismo per cui tendono al silenzio quelli che dovrebbero raccogliere la denuncia, darne notizia, farsi carico del problema, e non lo fanno.

Un altro livello è quello di un’educazione digitale sempre più importante e urgente, nell’epoca che Luciano Floridi ha definito dell’onlife, cioé della vita che si gioca nel mondo fisico e in quello virtuale senza soluzione di continuità. Un’educazione che sia al tempo stesso linguistica ed emotiva: perché ci servono parole per esprimere le emozioni, ma soprattutto ci serve imparare ad ascoltarle, le emozioni, a riconoscerle, elaborarle. Per questo finiamo con lo sputarle in faccia agli altri, senza esserne consapevoli.

Infine,  c’è l’impegno per costruire messaggi che contrastino quelli carichi di odio, che poi diventano cyberbullismo, revenge porn, diffamazione, gogna mediatica, discriminazione e tutto quanto il rancore dei singoli riesce a provocare quando si somma al rancore degli altri nelle bolle filtro dei social. Messaggi che vadano a costruire narrazioni alternative, che hanno l’obiettivo di «introdurre un cambiamento a lungo termine, tramite nuove storie, nuovi racconti che offrano punti di vista altri rispetto alle narrazioni che si vuole contrastare». È l’impegno insomma, a produrre una comunicazione che sia leva di cambiamento.

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trovare le paroleFederico Faloppa, Vera Gheno
Trovare le parole. Abbedecedario per una comunicazione consapevole
Edizioni GruppoAbele 2021
pp. 224, € 15,00

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