UNWANTED – OSTAGGI DEL MARE: LE COSE BRUTTE SUCCEDONO ALZANDO I MURI

Unwanted – Ostaggi del mare, la nuova serie su Sky e in streaming su NOW, è ispirata a Bilal, il libro di Fabrizio Gatti sul suo viaggio fra i migranti sulle rotte fra Africa ed Europa. E trasporta tutto su una nave da crociera, acuendo i contrasti

Ci sono due navi che, quasi contemporaneamente, stanno solcando il Mediterraneo. Ma non potrebbero essere più diverse. Una è enorme, piena di luci, di musica, di lusso, di persone che si divertono. L’altra è piccola, fatiscente, le luci sono le fiamme che avvolgono la nave, i suoni sono quelli di un bambino che piange, le persone sono disperate. Dei corpi entrano in acqua e fluttuano. Nella prima, una nave da crociera, sono i turisti che si tuffano spensierate in piscina. Nella seconda, un barcone che dalla Libia sta cercando di raggiungere l’Italia, sono i migranti costretti a gettarsi in acqua dove rischiano di trovare la morte. È già dalle prima immagini che si capisce cosa sia Unwanted – Ostaggi del mare, la nuova serie su Sky e in streaming su NOW. Una serie che vive di fortissimi contrasti, un racconto coraggioso e scomodo su un tema che, da sempre, divide, e non smetterà di farlo. Unwanted – Ostaggi del mare è una serie in 8 episodi prodotta da Sky Studios, Pantaleon Films e Indiana Production, liberamente ispirata a Bilal, il libro di Fabrizio Gatti sul suo viaggio sotto copertura fra i migranti sulle rotte fra Africa ed Europa. Alla regia c’è Oliver Hirschbiegel, il regista tedesco de La caduta – Gli ultimi giorni di Hitler e Diana. È lo sceneggiatore Stefano Bises a spiegare l’importanza di questa serie, e del coraggio dei produttori e di Sky. «Hanno investito un sacco di soldi su un tema rischioso, che è rifiutato da tutti, profondamente politico e divisivo. Gatti è un giornalista italiano ma non c’è un produttore italiano che abbia preso i diritti del suo libro. Non è un caso che ce li abbia un produttore tedesco».

Gli ospiti della crociera non possono essere turbati

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Il cast di Unwanted in occasione della conferenza stampa di presentazione della serie

Unwanted – Ostaggi del mare è la storia di una immaginaria nave da crociera, la Orizzonte, piena di turisti occidentali, che si trova a salvare un gruppo di migranti a seguito del naufragio della loro imbarcazione. Tutto, sin dalle prime immagini, è un continuo contrasto: il lusso contro la disperazione, il tutto contro il niente, l’acqua che per i croceristi è un tuffo in piscina, per i migranti è il naufragio, la morte. Una volta tratti in salvo, i migranti vengono relegati in alcune cabine e non possono muoversi, perché gli ospiti della crociera non possono essere turbati. «Loro sono qui per vivere un sogno. La realtà deve restare a casa». Inoltre, nonostante siano ormai a poche miglia dall’Italia, dove sperano ormai di essere arrivati, i nuovi ospiti capiscono che la crociera si muove verso la Tunisia, il primo posto dove possono essere lasciati, e quindi verso la Libia.

Le cose brutte succedono quando alzi i muri

La scelta di sceneggiatura è di quelle forti. L’idea è quella di racchiudere tutto dentro questa nave da crociera, metafora del nostro mondo benestante e del modo in cui accoglie chi non ne fa parte, di un’integrazione difficile che non si può o non si vuole compiere. Ma quella nave, un mondo chiuso, è anche il luogo dove poter far esplodere questi conflitti, esacerbare le differenze, le scelte, un microcosmo che rende tutto più evidente. «Ho letto delle statistiche su chi salva i migranti che attraversano il Mediterraneo e c’era una piccola percentuale di navi da crociera» ci spiega lo sceneggiatore. «Era un’opportunità narrativa eccezionale, ricreare una miniatura gigantesca del nostro mondo. Il vero significato di questa serie è che non si schiera, spiega le legittime ragioni di tutti. Ha un significato politico forte: le cose brutte succedono quando alzi i muri. Quando decidi che 28 persone non devono arrivare in Italia. La strada che abbiamo preso fa male a tutti nella sua disumanità: la nave di permetteva di raccontare le ragioni e questo problema sarebbe meglio gestirlo altrimenti, in un’altra maniera».

La cosa tremenda della vita è che tutti hanno una ragione

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Bocci: «La serie ti fa porre le stesse domande che ogni giorno ci poniamo tutti noi»

In Unwanted – Ostaggi del mare finalmente non c’è dualismo, non ci sono buoni e cattivi. «Il regista francese Jean Renoir una volta ha detto che la cosa tremenda della vita è che tutti hanno una ragione» ragiona il regista Oliver Hirschbiegel. «Il mio compito era essere equo, non esprimere giudizi, essere autentico al massimo. Ovviamente è più facile quando uno ha a che fare con il proprio background personale, tedesco o italiano, non fa differenza. Ma quando parliamo di Africa, a quel punto diventa difficile dire: io non vengo da lì e sono un vecchio bianco. E questo rappresenta un’ulteriore sfida. «Siamo diventati come una famiglia. Suona strano perché viene dall’uomo bianco ma è successo. Fare la serie, lavorare insieme non solo con coloro che vengono dai nostri Paesi è stato come una bozza, una blueprint di come potrebbe essere il mondo. Collaborare, modificare le proprie opinioni, porci domande, aiutarci a vicenda. Parte di tutto ciò è nel sangue di questa serie».

Le migliaia di Bilal che non avevano una voce e un volto

Tutto nasce da quel libro di Fabrizio Gatti, uno dei nostri più importanti giornalisti di inchiesta, noto per il suo metodo che cerca sempre di afferrare il punto di vista dei soggetti osservati per raccontarli nel modo migliore. «Vorrei parlare con la voce di Bilal», dice Gatti. «Quella del mio libro era una storia di tantissime migliaia di Bilal che non avevano una voce e un volto». Fabrizio Gatti è stato molto colpito di come la serie, diventata qualcosa di diverso, sia riuscita a coglierne il senso. «Sono stato sul set, era dicembre 2021 in uno studio alle porte di Roma, dove erano stati ricostruiti gli interni di questa nave. C’era la scena tra Franco e Sofia che parlavano in corridoio, eravamo sotto una tenda, era molto freddo. Quando ho sentito la voce di Sofia che ripeteva le stesse parole che ho sentito pronunciare io come Bilal nel mio viaggio in Africa non ho trattenuto le lacrime. Mi è capitato ancora, vedendo i primi episodi della serie. I suoi creatori hanno colto il senso delle 500 pagine del libro e sono riusciti a trasportarle sulla nave».

Nella serie le domande di tutti noi

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Fabrizio Gatti, “Bilal. Il mio viaggio da infiltrato verso l’Europa”. (La nave di Teseo, 2022)

Marco Bocci interpreta il capitano della nave, e il dilemma morale di chi si trova a prendere certe decisioni. Il salvataggio in mare è legge, è sacrosanto. Ma poi ci sono altre decisioni da prendere. Le indicazioni dicono di lasciare le persone al primo porto, che è in Tunisia. Ma questo vuol dire condannarli, rispedirli indietro. Girare questa serie non è stato facile per Bocci. «È stato complicato, ma non subito. All’inizio, quando mi è stato comunicato che ero stato scelto, mi sono sentito uno degli attori piè fortunati in Italia. Era una serie scritta in maniera eccezionale che trattava in maniera rivoluzionaria e alternativa un tema, facendolo vivere più che raccontarlo. Poi mi sono reso conto di quanto fosse complicato. Oliver aveva idee chiarissime sul modo in cui vedeva il mio personaggio. È stato complicato perché, in maniera naturale, ti fa porre le stesse domande che ogni giorno ci poniamo tutti noi, ma ma facendole vivere attraverso la responsabilità, il senso del dovere, le leggi da rispettare. Emozioni così complicate che è impossibile interpretarle senza viverle. Giravamo in una vera nave da crociera, condividevamo tanto tempo con gli attori. Anche nel tempo libero restavi dentro quell’atmosfera».

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