
VERSO LA COP30: RICONVERSIONE ECOLOGICA O GUERRA?
Questo il tema di fondo dell’Assemblea dei movimenti per la giustizia ambientale e sociale verso la Cop30 di Belém del prossimo novembre. Sermarini, Rete dei Numeri Pari e Casa della Solidarietà - Stefano Rodotà: «Vogliamo 100 miliardi per la riconversione ecologica, che deve essere equa, pubblica, decentrata e partecipata, pagata con i soldi pubblici. Abbiamo la necessità di un’alleanza più larga possibile in un momento storico in cui l’economia di guerra sta mangiando tutto lo spazio, anche mediatico»
11 Settembre 2025
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«Non possiamo pretendere di essere sani in un mondo malato. Le ferite causate alla nostra madre terra sono ferite che sanguinano anche in noi», scriveva Papa Francesco nel 2020 in una lettera al presidente della Colombia, Ivan Duque Marquez, in occasione della Giornata mondiale dell’ambiente sul tema della biodiversità. È partita da questo scenario di fondo l’Assemblea dei movimenti per la giustizia ambientale e sociale verso la Cop30 di Belém, in Brasile, ospitata alla Casa della Solidarietà – Stefano Rodotà. Tema di fondo “Le armi o la vita”, titolo anche di un Manifesto già siglato da oltre una trentina di realtà sociali, comitati territoriali, sindacati, associazioni, movimenti: Peacelink, Giustizia per Taranto, Notavinfo, Mamme NoPfas – genitori attivi – area contaminata, Rete Tutela Roma Sud e Castelli romani contro l’inceneritore di S. Palomba, Tavoli del Porto contro la costruzione del mega porto crocieristico di Fiumicino, Assemblea No Ponte, Comitato No Ponte – Capo Peloro, Invece del ponte, Comitato Referendum X SanSiro Milano, Emmaus Italia, Rete No DDL Sicurezza, Unione Inquilini, CGIL Confederazione Generale Italiana del Lavoro, Arci nazionale, Oxfam Italia, Casa della Solidarietà – Stefano Rodotà, Rete dei Numeri Pari, Campagna Stop ReArm Europe; Rete A pieno regime, Tribunale Internazionale per i Diritti della Natura; Rimaflow; Extinction Rebellion; Altro Modo Flegreo APS; Gruppo di Antispecismo Politico; Comunità Laudato si’ Castelli Romani; Acmos Aps; Rete #NoBavaglio; Attac Piacenza (l’elenco è in aggiornamento, questo il link per sottoscrivere l’appello). Fra le decine di partecipanti, anche Sharon Lavigne, premio Goldman 2021, che da anni lotta con la comunità afroamericana di Rise St. James a New Orleans, in Louisiana, per la giustizia ambientale e contro esclusione e razzismo.

Sermarini: «100 miliardi per la riconversione ecologica, equa, pubblica, decentrata e partecipata, pagata con i soldi pubblici»
«A meno di tre mesi dalla prossima Conferenza mondiale delle parti sul clima, l’umanità affronta la più grave crisi ambientale e sociale della sua storia e il collasso climatico mette a rischio la sicurezza di tutti e tutte», ha sottolineato Elisa Sermarini, di Rete dei Numeri Pari e Casa della Solidarietà – Stefano Rodotà. «Il governo Meloni nega la crisi climatica e cancella i fondi per la riconversione ecologica, taglia le risorse per le bonifiche ambientali e la sicurezza sociale, fa gli interessi delle lobby delle industrie e delle armi stanziando 70 miliardi all’anno per il riarmo: risorse che comportano ulteriori tagli alla salute, ai servizi, al welfare. Vogliamo 100 miliardi per la riconversione ecologica, non per la transizione, che deve essere equa, pubblica, decentrata e partecipata, pagata con i soldi pubblici». Quindi l’assemblea ha rappresentato solo un inizio: «Vogliamo continuare a lottare insieme, abbiamo la necessità di essere in tante e tanti, di ritrovare un’alleanza più larga possibile in un momento storico in cui l’economia di guerra – che produce morte, distruzioni, scarti – sta mangiando tutto lo spazio anche mediatico», ha denunciato Sermarini, annunciando: «Ci stiamo organizzando per collaborare con altre realtà a livello internazionale; la prossima settimana terremo un’assemblea chiusa e interna sui passi da fare fino a novembre, nel frattempo promuoveremo assemblee sui territori chiedendo impegni concreti agli amministratori locali. Siamo migliaia di persone, fetta di Paese reale che questo Governo continua a ignorare. Laddove peggiorano le condizioni materiali ed esistenziali, le persone si mettono insieme e rispondono, con la voglia di riscatto delle comunità dal basso. Abbiamo la consapevolezza che nessuno può farcela da solo».
Teresi: «Il collasso climatico va insieme all’economia di guerra»
Per Nicola Teresi, responsabile della formazione di Emmaus Italia, non basta «lottare perché non si continui a inquinare così tanto, ma occorre cominciare un processo di mutualismo per meno sprechi, risorse idriche sufficienti, contrasto al dissesto idrogeologico. Chiaramente il collasso climatico va insieme all’economia di guerra: l’investimento dell’Europa di 800 miliardi per l’economia di guerra è criminale, perché toglie soldi a welfare, scuole, sanità, a tutto quello che è fondamentale per la sicurezza». E ha aggiunto: «Mentre istituzioni e politica sono ferme, anzi complici, desideriamo che l’assemblea – a cui hanno partecipato tante realtà di tutta Italia che si occupano di giustizia climatica, ambientale e sociale – sia l’inizio di un percorso che porti a mobilitarci su tutti i territori, a livello locale e nazionale, abbandonando le divisioni».
Maslennikov: «Istanze di giustizia ambientale e sociale non possono che avere un destino comune»
Secondo Mikhail (Misha) Maslennikov, analista di politiche pubbliche per Oxfam Italia, «istanze di giustizia ambientale e sociale non possono che avere un destino comune. La riconversione ecologica porterà a cambiamenti epocali dei modelli produttivi e del lavoro e le scelte che guideranno il processo non possono non tenere conto degli effetti sociali che la transizione produrrà, per evitare che i suoi costi siano scaricati sui lavoratori più vulnerabili». Più in generale, «accrescere il consenso popolare per politiche ambientali ambiziose richiede la promozione di una maggiore giustizia sociale. Senza questa scelta correremmo il serio rischio – com’è ad esempio accaduto con la protesta portata avanti dai gilet gialli in Francia contro il rincaro delle accise sui carburanti – che i gruppi sociali più deboli interpretino le politiche ambientali come interventi pensati dalle élite e per le élite e finanziate da chi occupa posizioni sociali più arretrate».

Mamme no Pfas: «La salute delle persone non viene vista come un comune investimento»
Un esempio concreto di azione sui territori viene dal movimento Mamme no Pfas: «La nostra esperienza e il nostro impegno partono proprio dall’acqua, dalla scoperta tragica di essere stati inquinati e aver ingerito un veleno che tuttora c’è. Non vogliamo più dire che siamo vittime di inquinamento da Pfas, ma che siamo danneggiati. Abbiamo subito esteso lo sguardo, comprendendo che riguardava tutta Italia; ci siamo messi in contatto con la Commissione ambiente europea», ha raccontato Anna Maria Panarotto. Tuttavia, «nonostante ci sia stato un processo, la bonifica delle aree contaminate non è ancora partita anche se sono passati 10 anni e la falda continua a ricevere sversamenti: la salute delle persone non viene vista come un comune investimento. Abbiamo steso una mozione che chiede al Parlamento di intervenire, approvando una legge nazionale che vieti la produzione e l’utilizzo delle Pfas (sostanze tossiche poli- e perfluoroalchiliche inodori, incolori e insapori, altamente persistenti) pericolose per la salute, anche se l’industria le usa in tantissimi prodotti; l’abbiamo inviata ai sindaci ed è stata già approvata all’unanimità da 70 Consigli comunali». Ma l’acqua dei fiumi e delle falde «non viene tutelata, né considerata un bene primario: chiediamo che sia cambiato il registro europeo, perché le sostanze chimiche siano testate prima di immetterle nel mercato, come succede per l’industria farmaceutica».
