VIOLENZA CONTRO LE DONNE: SERVE TRASPARENZA SUI FONDI

È il messaggio lanciato da Actionaid con la piattaforma #donnechecontano, che analizza come vengono spesi i fondi antiviolenza

Che fine hanno fatto i 16,5 milioni di euro stanziati per il contrasto alla violenza sulle donne? A tenere sotto costante monitoraggio la questione è ActionAid con #donnechecontano, una piattaforma open data partita un anno fa, ideata in collaborazione con Dataninja con l’obiettivo di analizzare la spesa dei fondi antiviolenza e rendere noti a tutti i risultati. In vista della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne del 25 Novembre, nella Sala monumentale di palazzo Chigi si è svolto l’incontro “Sulla violenza voglio vederci chiaro”, organizzato da Actionaid, Wister (Women for intelligent and smart territories) e Dire (Donne in rete contro la violenza). Il dibattito, con istituzioni nazionali e regionali, ha permesso di portare proposte mirate a promuovere la trasparenza nella gestione dei fondi stanziati contro la violenza.

Dati parziali e poca trasparenza

«Dal 19 Novembre sono on line i dati sull’utilizzo delle risorse relative al “Fondo delle politiche relative ai diritti e alle pari opportunità”», dice l’onorevole Giovanna Martelli, Consigliera delle Pari opportunità della Presidenza del Consiglio.
A livello regionale solo per Veneto, Piemonte, Puglia, Sardegna e Sicilia è disponibile la lista dei centri antiviolenza che hanno beneficiato o beneficeranno dei fondi stanziati per il biennio 2013/2014. Tra gli altri enti locali, solo le ex Provincie di Firenze e Pistoia forniscono informazioni complete.

Finanziamenti medi per i centri antiviolenza (dal sito www.donne che contano.it)
Finanziamenti medi per i centri antiviolenza (dal sito www.donne che contano.it)

«Abbiamo lavorato a una prima raccolta indipendente di dati sul finanziamento ai 74 centri antiviolenza che costituiscono la nostra rete», dichiara Titti Carrano, avvocata e presidente di Dire. «Le mappature regionali sono state fatte solo in alcuni casi e sempre senza verifiche sul campo. Nella stragrande maggioranza delle regioni i finanziamenti non sono ancora stati spesi e talvolta non si è provveduto neppure all’impegno. Molti uffici regionali tendono a distribuire le risorse a fruitori non specializzati, anche senza alcuna esperienza. Manca una valutazione delle priorità per le donne che subiscono violenza, che può essere fatta soltanto ascoltando i centri e le case che operano già da anni e conoscono bene le fragilità del sistema».
«L’uso delle risorse è stato molto discrezionale da regione a regione. Solo in sei regioni (Abruzzo, Lombardia, Piemonte, Sicilia, Friuli Venezia Giulia, Umbria) c’è stato un momento di confronto diversificato tra l‘ente locale e le associazioni per impostare la spesa. Finora è stata un’occasione mancata per la gestione comune delle risorse», dice Maria Rosa Lotti di Dire.

Servono un linguaggio comune e l’accessibilità dei dati

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Più il colore è scuro, più le regioni sono trasparenti (dal sito www.donnechecontano.it)

«Noi cittadini dobbiamo fare in modo che si arrivi a una consapevolezza dell’importanza degli open data», afferma Nello Iacono degli Stati generali dell’innovazione. Gli open data sono “dati aperti”, accessibili a tutti le cui possibili restrizioni sono l’obbligo di citare la fonte o di tenere la banca dati sempre aperta. «Secondo i risultati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano», afferma Flavia Marzano, ideatrice della rete Wister e presidente degli Stati generali per l’innovazione, «gli open data contribuiscono a creare maggiore trasparenza nei processi, spingono la pubblica amministrazione ad innovare e digitalizzare. Come donne della rete Wister abbiamo deciso di supportare l’iniziativa di ActionAid perché convinte che gli open data possano rendere virtuoso l’uso del denaro pubblico. In questo contesto, gli open data possono contribuire alla diffusione della conoscenza aiutando a replicare le iniziative più efficaci, andando dritti al concreto. Abbiamo bisogno anche di questo per lottare contro la violenza di genere».
«Prima degli open data c’è bisogno di un linguaggio comune. Occorre una cabina di regia che fissi dei criteri precisi di mappatura dei centri. Noi del Lazio abbiamo deciso di investire prima sui centri antiviolenza che c’erano e poi abbiamo costruito altri centri. È assolutamente necessario supportare le Regioni», sottolinea Cecilia D’Elia della Regione Lazio.

Quali strategie future?

Ad oggi le strategie adottate dalle Regioni sono molto disomogenee. L’analisi di #donnechecontano mostra che il finanziamento medio per centro antiviolenza e casa rifugio varia molto da regione a regione: circa 60mila in Piemonte, 30mila in Veneto e Sardegna, 12mila euro in Puglia, 8mila in Sicilia, 12mila nelle ex Provincie di Firenze e Pistoia, 6mila in Abruzzo e Val d’Aosta. Si tratta di un punto fondamentale perché i fondi erano stati stanziati anche per garantire un funzionamento adeguato dei centri, non solo la loro sopravvivenza. «Perché le risorse sono state destinate solo a copertura delle emergenze?», invita a riflettere Maria Rosa Lotti di Dire.
«La mancanza di dati e informazioni complete su come sono stati spesi i fondi stanziati attraverso la Legge 119/2013 rimane un fatto grave. Ribadiamo la necessità che tutte le Regioni pubblichino online un resoconto completo sull’uso dei fondi e che il Governo fornisca a sua volta una rendicontazione accurata partendo dalla reportistica ricevuta dalle Regioni. Solo il Governo possiede tutte le informazioni e può quindi fornire un resoconto completo. La trasparenza è un presupposto per poter valutare gli interventi e disegnare strategie future», afferma Marco De Ponte, segretario generale di ActionAid. «Dai dati che possediamo dobbiamo trarre importanti raccomandazioni per i futuri riparti: bisogna in primo luogo assicurare che i fondi per il 2015 e gli anni futuri siano erogati nei tempi più rapidi possibili. È inoltre essenziale prevedere una mappatura accurata dei centri antiviolenza e fondi adeguati per il loro funzionamento. Infine, gli atti e i dati devono essere disponibili e facilmente reperibili sia sul sito delle Regioni sia su quello del Dipartimento Pari Opportunità», conclude De Ponte.

 

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