VITERBO. CON “SEMI LIBERI” IN CARCERE SI COLTIVANO LE PERSONE

Volontariato e carcere/4. Nella Casa circondariale di Viterbo tra germogli e lamponi si formano i detenuti e si coltivano relazioni

Da qualche mese vi stiamo raccontando una serie di storie di volontari che hanno scelto di impegnare il loro tempo e le loro risorse ad aiutare chi vive in carcere, o chi è appena uscito e vive in un limbo che non è ancora una vita normale. L’occasione di iniziare questo viaggio è nata dall’iniziativa di Semi di Libertà Onlus, che ha organizzato un corso on line, Volontario dentro e fuori il carcere, per far conoscere molti aspetti utili a chi vuole occuparsi di questo mondo così delicato da approcciare, e aperto un gruppo su Facebook per discuterne. È qui che abbiamo conosciuto molte delle storie che vi raccontiamo, per capire che cosa c’è dentro chi sceglie di fare volontariato in carcere. È qui che abbiamo conosciuto Agnese Inverni, che ha frequentato il corso e al momento è volontaria presso la Casa circondariale di Viterbo con la Cooperativa Sociale Agricola O.R.T.O. (Organizzazione Recupero Territorio e Ortofrutticole), attiva nella formazione e inserimento di persone disagiate nel settore dell’agricoltura multifunzionale. «Io mi sono avvicinata al mondo del carcere grazie alla cooperativa», racconta Agnese. «Avevo già fatto volontariato nell’ambito di un progetto del servizio civile, dove mi ero occupata di educazione ambientale nelle scuole».

Un ambiente sconosciuto

Agnese Inverni è una donna ed è giovanissima. Sempre più spesso, in questo nostro viaggio nel volontariato, abbiamo incontrato ragazze come lei, che hanno deciso di fare volontariato in carcere. È forse una questione di sensibilità. «Il carcere è un ambiente al non ci si avvicina, ma non lo si conosce», ha spiegato Agnese. «Io ho la tendenza a non basarmi sul sentito dire. Così ho deciso di provare».

Ma qual è stato il primo impatto con il carcere? «Le prime volte che sono entrata in carcere mi ha colpito il fatto di dover attraversare i cancelli, dover fare tanti controlli, che ci fossero tanti agenti», ha spiegato Agnese Inverni. «Anche con i ragazzi, i detenuti, le prime volte che sono entrata, non sapevo come approcciarmi. Pian piano si prende confidenza. Bisogna essere attenti al carattere di ciascuno. Dopo un po’ quasi ci si dimentica di aver a che fare con detenuti. Si è creata confidenza».

Semi Liberi

E poi c’è la fortuna di stare all’aria aperta. «C’è un uliveto, un campo, due serre, una lamponaia e uno spiazzo dove abbiamo costruito delle aiuole. Siamo all’aperto e non c‘è la percezione dei cancelli e delle celle» ci racconta Agnese.

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Germogli coltivati nel carcere di Viterbo

Semi Liberi” è un progetto di agricoltura sociale partito nel 2017 all’interno della serra della Casa Circondariale di Viterbo, che ha l’obiettivo di riqualificare le persone in detenzione grazie al reinserimento nel ciclo produttivo e alla formazione continua. «All’inizio è nato con la produzione di germogli freschi, destinati ad essere mangiati cosi come sono», racconta la volontaria. «Fanno molto bene alla salute. È una coltura ecosostenibile, che tutela l’ambiente e la salute. Poi abbiamo iniziato a coltivare 300 piante di aloe, per produrre il gel. La lamponaia produce abbondantemente, e ci sono le piante aromatiche e officinali. Lo scorso anno c’era un corso su queste piante, fermato dal lockdown, ma adesso è ripreso. Un altro corso di formazione è quello sulla qualità delle produzioni agroalimentari».

Un’esperienza dolceamara

La speranza è che le attività del progetto “Semi liberi” per molti ragazzi un giorno possa diventare un lavoro. «Noi lavoriamo sia sui corsi di formazione, che sull’attività pratica», spiega Agnese inverni.

semi liberi
Uno stand della cooperativa O.R.T.O

«Qualcuno dei volontari è esperto, ed è in grado di trasmettere queste conoscenze. Ma il lavoro agricolo in carcere porta un beneficio immediato. Prima di tutto c’è il fatto di stare all’aria aperta, che non è scontato. E poi c’è soprattutto il contatto umano, la confidenza: i ragazzi sono liberi di parlare, di aprirsi. C’è un beneficio psicologico, è un modo per sfuggire ai pensieri. Il bello è stare con altre persone che vengono da fuori dal carcere. Sono un carcere maschile e noi siamo tutte donne, e c’è un rapporto che va oltre le differenze di genere. C’è un rapporto confidenziale, si ride e si scherza».

Se ai detenuti questa attività sta dando tanto, quanto sta dando alle volontarie? «A me sta dando tanto», risponde Agnese Inverni. «Ma è un’esperienza dolceamara. Mi dà tante soddisfazioni, ma quando inizi a parlare con queste persone vedi l’altra faccia della medaglia. Spero che questa esperienza possa servire, che possano avere una vita diversa fuori, un inserimento lavorativo. È un’esperienza che arricchisce tanto. È un’esperienza forte».

 

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