VOLONTARIATO PER I BENI CULTURALI. QUALE RUOLO?

Secondo Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, deve valorizzarli e diffonderne la conoscenza, ma senza uscire dalle proprie competenza.

Dopo l’analisi sul volontariato culturale continuiamo la riflessione con un’intervista ad Antonio Paolucci. L’intervista è uscita sul n. 2/2015 di “Vdossier”, interamente dedicato a questo tema.

Che ruolo può o deve avere il volontariato per i beni culturali? Un ruolo fondamentale, soprattutto in un Paese a “patrimonio sparso” sul territorio, come è il nostro. Ma non deve varcare precisi confini.
Antonio Paolucci, una lunga carriera nell’ambito dei beni culturali, che lo ha visto diventare anche Ministro e oggi a capo dei Musei Vaticani, è molto chiaro, nell’affrontare il tema. «Bisogna distinguere tra diversi tipi di volontariato. C’è un volontariato che potremmo definire di servizio, quello di coloro che dedicano il loro tempo per rendersi utili nel settore dei beni culturali. Sono i pensionati che fanno i custodi dentro i musei, o che tengono aperti quelli, come certi musei diocesani, poco conosciuti: tu arrivi, vai in piazza e ti dicono che c’è qualcuno che ha le chiavi, lo cerchi e quello ti apre permettendoti di ammirare il dipinto di Carlo Crivelli di cui hai letto sulla guida storico-artistica. Sono gli “Angeli del bello” di Firenze, che cancellano le scritte sui muri e migliorano il decoro della città. E così via. Di tutt’altra natura è il volontariato di mecenatismo, quello di chi mette mano al portafoglio e tira fuori i soldi per finanziare un restauro, consentire l’apertura di una collezione, permettere la pubblicazione di un volume. Noi dei Musei Vaticani abbiamo un po’ di questi ricchi volontari, non solo italiani: sono per lo più americani, anche inglesi, canadesi, di varie razze, lingue e Paesi. A Firenze ci sono gli Amici degli Uffizi, per esempio, oppure l’associazione americana Friends of Florence. Spesso si tratta di investimenti privati importanti, per il restauro e la valorizzazione del patrimonio. Insomma, ci sono molti modi di impegnarsi, tra il ragazzo italiano che cancella le scritte e il magnate americano che stacca un assegno di decine migliaia di dollari».

Volontariato per i beni culturali
Antonio Paolucci durante una conferenza a Roma (da www.gliscritti.it)

Ma mentre non c’è dibattito sui grandi donatori, alle associazioni medio-piccole periodicamente arrivano critiche o l’accusa: «Voi occupate spazi che dovrebbero essere occupati da personale retribuito, togliete posti di lavoro».
«Conosco bene il problema e anche le polemiche periodiche. Innanzitutto bisogna sempre guardarsi dalle finte associazioni di volontariato, soprattutto quelle che vogliono occuparsi di cose di cui non hanno competenza. Quante società archeologiche ci sono Italia, che magari vogliono fare lo scavo, che invece deve essere di competenza dei tecnici e di chi ha, tra l’altro, adeguata protezione legale? Questo va censurato. Invece l’obiezione che i volontari portano via il pane ai lavoratori, mi sembra una stupidaggine, perché il problema non esiste, soprattutto nelle forme che abbiamo detto, come quelle dell’associazione dei pensionati dei Carabinieri, che danno una mano per tenere aperte sezioni dei musei altrimenti chiuse.
Il problema non esiste, semplicemente perché questi posti di lavoro non esistono. Il giorno in cui il Ministero farà i concorsi e assumerà personale in numero adeguato, come tutti noi ci auguriamo, il problema si risolverà da sé e i volontari si occuperanno di altre cose.
Il reale problema è quando il volontariato esce dai propri confini e vuole fare cose che non gli competono».

Come si stabiliscono i confini del volontariato per i beni culturali? C’è bisogno di una nuova regolamentazione o le regole ci sono ed è piuttosto un problema di formazione?
«La regolamentazione c’è, e ci sono in Italia le Sovrintendenze e chi ha responsabilità di legge per disciplinare questo fenomeno. È una questione di dialogo, di confronto col mondo del volontariato, per individuare ciò di cui c’è bisogno e ciò che si può fare, ciò che spetta all’istituzione e ciò che spetta al volontariato. In democrazia succede così. Il volon- tariato in tutti i settori è portatore di energie fresche e importanti. Naturalmente non possono essere lasciate a se stesse, non nei beni culturali, non nella sanità, non nei servizi sociali».

Molti spazi per il volontariato sono nell’ambito della valorizzazione, più che in quello della conservazione. È d’accordo?
«È di tutta evidenza che non ci si può improvvisare restauratori, mentre è più facile impegnarsi come custodi o valorizzatori. Ci sono tanti ragazzi, studenti universitari, laureati, che non chiederebbero di meglio che essere coinvolti nell’illustrare o spiegare il valore artistico di un’antica chiesa o di un monumento archeologico dell’antica Roma. L’Italia è piena di occasioni del genere».

Volontariato per i beni culturali
L’associazione Retake si occupa di decoro urbano

Sul territorio ci sono tante ricchezze culturali che rimangono sempre un po’ nascoste.
«La scorsa estate lo scrittore Paolo Rumiz ci ha fatto riscoprire l’Appia, da Roma fino a Brindisi. Sarebbe bello se tutte le realtà storiche dislocate lungo il percorso dell’Appia avessero dei “valorizzatori locali”, per esempio dei ragazzi che sappiano comunicare, spiegare e coinvolgere…  Dopotutto i beni culturali servono a rendere le persone consapevoli della propria storia e della propria identità; a rendere le donne e gli uomini più acculturati. È per questo che ha senso spendere tanti soldi per conservare e valorizzare questi beni. Non basta che li conoscano gli intellettuali: noi vogliamo che parlino anche a chi non fa questo mestiere».

Oggi si viaggia molto: si rischia di apprezzare di più le bellezze di altre città, altri Paesi, che non il patrimonio del proprio territorio.
«C’è gente di Rimini o di Viterbo che è stata a New York, ha visto il Moma, ma non ha mai visto il museo civico della sua città. Ecco perché ci vuole un’educazione alla cultura. Sarebbe meglio che il nostro viaggiatore prima conoscesse bene il Museo Civico di Viterbo e si fermasse qualche ora davanti alla Pietà di Sebastiano del Piombo, dopo di che potrebbe anche andare al Moma, o in qualsiasi parte del mondo, ad apprezzare il resto. Che piaccia o meno, ma è così che funziona».

Di quale formazione ha bisogno il volontariato per i beni culturali, posto che non deve diventare esperto di restauro o cose del genere?
«Devono conoscere il patrimonio, devono leggere libri, devono usare gli occhi per guardare, ma non possono mettere le mani sulle opere d’arte se non hanno un’abi- litazione specifica su questo».

VOLONTARIATO PER I BENI CULTURALI. QUALE RUOLO?

VOLONTARIATO PER I BENI CULTURALI. QUALE RUOLO?