FEST: QUANDO LA SERIE TV ROMPE GLI STEREOTIPI

Diversità e stereotipi sono quest'anno al centro del FeST, il Festival delle serie tv, dal 20 al 22 settembre a Milano, in partnership con Diversity

di Maurizio Ermisino

Rompere gli stereotipi, raccontare la diversità nella normalità. Ne stiamo parlando sempre più spesso su Reti Solidali, ed è uno dei temi chiave dei tempi che stiamo vivendo. Breaking Stereotypes è il tema scelto per la seconda edizione di FeST – Il Festival delle Serie Tv diretto da Giorgio Viaro e Marina Pierri, che va in scena da oggi, 20 settembre, al 22 settembre alla Triennale di Milano. Le serie tv, che stanno vivendo un’età dell’oro in questi anni, si stanno dimostrando tra le forme artistiche quelle che riescono a leggere meglio la società di oggi e le sue sfumature.

L’obiettivo di FeST è quello di raccontare le innovazioni del linguaggio seriale con particolare accento sulla rappresentazione che combatte gli stereotipi. È per questo che è nata la partnership con la no profit Diversity, fondata da Francesca Vecchioni, impegnata ogni giorno nel diffondere la cultura dell’inclusione favorendo una visione del mondo che consideri la molteplicità e le differenze come valori e risorse preziose per le persone e le aziende «Quella tra Diversity Lab e il FeST è una vera e propria partnership, e dipende dal fatto che il FeST è molto verticale su un tema come quello delle serie tv, e ospita molti protagonisti del mondo della produzione seriale che sono attori fondamentali nella produzione di contenuti, nella decisione di investimento rispetto alle serie tv», ci ha spiegato la presidente di Diversity Francesca Vecchioni. «Per un’organizzazione come Diversity, che ha come scopo fondante la diffusione della cultura dell’inclusione, come orizzonte l’immaginario collettivo e come strumento proprio quello dei media, la possibilità di interagire con chi produce contenuti mediali è molto importante, e l’atterraggio logico è avere partnership con soggetti come FeST». Francesca Vecchioni parlerà di diversità e di stereotipi in vari panel durante tutto il festival.

 

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Francesca Vecchioni

PARLARE DI IERI E DI DOMANI PER PARLARE DI OGGI. È una scelta logica, perché mai come in questa era le serie tv sono quelle da dove arrivano in racconti più coraggiosi, spesso veri e propri segni dei tempi che stiamo vivendo. «Dall’analisi dei prodotti mediali è qualche anno ormai che emerge che sono proprio le serie tv, e in parte anche la fiction, cioè quella che è la serialità italiana, i prodotti in cui si riscontra la vicinanza alla realtà maggiore: i temi più attuali sono per lo più trattati dalle serie tv», riflette Francesca Vecchioni. «E spesso, se arrivano da oltreoceano, è facile che rappresentino la realtà ancora più anticipando alcune tematiche». Sulle serie americane, da sempre considerate il massimo della qualità, non ci sono dubbi, ma è interessante che anche la fiction italiana classica, non solo la serialità dei nuovi player come Sky, Netflix e Amazon Prime Video, stia facendo dei progressi. «La fiction italiana è legata agli stereotipi, ma sono anni che tenta di rappresentare il più possibile la diversità», analizza la presidente di Diversity. «È logico che usi dei registri che sono differenti dalla serialità anglosassone, ci sono dei codici in un progetto italiano che rischiano di essere uniformati a una certa cultura media che può cadere nello stereotipo. Ma, rispetto ad altri prodotti mediali, altri programmi, a volte anche rispetto al cinema, la serialità permette un’attinenza maggiore alla realtà, esprime in maniera più urgente, perché è più vicina a livello temporale, la realtà, è più vicina all’oggi, al qui e ora».

Ma parlare del qui e ora, toccare i nervi scoperti della nostra epoca, non vuol dire per forza che le serie debbano essere ambientate nel presente. «Ci sono tante serie ambientate nel passato, o nel futuro prossimo, o tratte da libri, ma che parlano di oggi», riflette Vecchioni. «Lo vediamo con The Handmaid’s Tale, The Marvelous Mrs. Maisel, che stanno raccontano l’oggi, parlando di ieri e del domani: chi scrive lo fa per fare una rappresentazione del reale odierno».

 

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Una scena di Euphoria

EUPHORIA E WHY WE HATE? Uno dei momenti più importanti arriva oggi, alle 18, con l’anteprima di Euphoria, in onda su Sky Atlantic e NOW TV il 26 settembre. È la storia di un’adolescente disfunzionale che ha trovato nella droga un rifugio dai disturbi mentali che la accompagnano sin da bambina e di un gruppo di liceali che sperimentano una vita adrenalinica e sfrenata, alla ricerca costante di una sensazione di euforia difficile da provare a mente lucida. «Euphoria è un prodotto non voglio dire coraggioso – perché dovrebbero essere tutti così – ma che ha la capacità di far sviluppare un senso critico a chi lo sta guardando», commenta Vecchioni, che introdurrà il pilot della serie. «Parla di tematiche difficili, anche socialmente, che però, in fondo, possono toccare ognuno di noi:  pensiamo alle dipendenze, al disagio mentale, all’orientamento affettivo. Ma, invece di essere trattate come problemi, sono affrontate con un realismo che comporta anche la possibilità della comprensione e del superamento. Quando un racconto riesce a entrare nei personaggi, a farti comprendere la bellezza o il disagio, la responsabilità sociale delle cose, e te lo fa comprendere sviluppando uno spirito critico, non sta facendo solo un bel lavoro artistico ma anche un bel lavoro sociale. Il punto è che quando arrivi a tutte le persone, diventi anche un prodotto di successo».

Diventerà un prodotto di successo anche un’altra serie molto attesa che vedremo al FeST, Why We Hate?, prodotta da Steven Spielberg e Alex Gibney. Prendendo degli spunti dalle ricerche condotte in filosofia, neuroscienza, sociologia e storia, Why We Hate? illustra le basi evoluzionistiche dell’odio e usa storie del passato e del presente per rivelare la natura dell’emozione originaria e universale. «Anche qui parliamo di come si abbattono gli stereotipi, come abbattere le paure, cioè quello che non si conosce, come abbattere l’odio», commenta Vecchioni. La serie sarà disponibile dal 14 ottobre su Dplay Plus.

 

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Una scena da Why we hate?

LA DISABILITÀ E L’ETÀ. Ma il discorso è molto ampio. Quando parliamo di stereotipi e di diversità ci vengono in mente subito alcune tematiche, ma ce ne sono anche molte altre. «La tematica dell’abbattimento dello stereotipo non è solo l’orientamento sessuale, ma è per esempio anche lo stereotipo di genere», riflette Francesca Vecchioni. «Per questo ho citato The Marvelous Mrs. Maisel e The Handmaid’s Tale. Ma esistono serie anche leggere, anche meno dichiaratamente rivolte ad abbattere lo stereotipo, che invece sono costruite molto bene e in fondo rappresentando bene la nostra società» continua la presidente di Diversity. «Puoi dividere le serie in quelle che danno una rappresentazione più inclusiva, realistica e ampia della società e quelle che approfondiscono alcuni temi specifici. Tematiche come la disabilità, l’età in questo momento sono molto importanti, e nelle serie tv, per esempio, la disabilità è ancora poco trattata. E invece c’è un altro tema fondamentale, che è quello dell’età e delle generazioni: pensiamo a come vengono rappresentati i disagi generazionali, che trovi anche in serie teen, come 13».

 

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In copertina una scena di Euphoria, in anteprima oggi e in onda su Sky Atlantic e NOW TV il 26 settembre.

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