ROBOTICA E AUTISMO: UN UMANOIDE SOCIALE CONTRO L’ISOLAMENTO

Si chiama iCub e dal prossimo anno verrà sperimentato con l’Ospedale Gaslini di Genova per aiutare i bambini affetti da autismo a comunicare

Un robot sociale, una piattaforma robotica dotata di un’intelligenza artificiale in grado di interagire con le persone e socializzare. Si chiama iCub, è stato realizzato dall’Istituto Italiano di Tecnologia, e potrà aiutare i bambini affetti da autismo a socializzare. Sarà il protagonista di una sperimentazione che dovrebbe concretizzarsi nei prossimi mesi all’Ospedale Gaslini di Genova. Dovrebbe essere pronta a partire nel settembre 2017. Ne abbiamo parlato con Cristina Becchio, Senior Researcher dell’Istituto Italiano di Tecnologia, Linea di ricerca Cognition, Motion and Neuroscience e Professore ordinario al Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Torino.

robotica e autismo
ICub è una piattaforma open source, che può essere utilizzata da più laboratori nel mondo

«iCub è una piattaforma robotica umanoide: la caratteristica che lo distingue da altre piattaforme è che ha sembianze umane», ci spiega. «Le dimensioni e le caratteristiche sono quelle di un bambino di sette-otto anni. Nasce come piattaforma di ricerca, pensata per l’innovazione nel campo robotico: se lo confrontiamo con altre piattaforme di questo tipo è una di quelle più sofisticate. Questo da tanti punti di vista, a partire dal controllo motorio, alla mano, che ha un grado di sofisticazione molto più avanzato rispetto ad altre piattaforme simili; ha una pelle con sensori, quindi ha una capacità tattile, recentemente è stato dotato della capacità di locomozione, quindi è in grado di muoversi. Presenta una serie di caratteristiche che lo rendono adatto a un contesto di ricerca». iCub è stato sviluppato nell’ambito di un progetto europeo. È una piattaforma open source, e quindi ci sono più laboratori al mondo che lo utilizzano. «Questo ha consentito un progresso tecnologico che altrimenti non sarebbe stato possibile», commenta Cristina Becchio. «iCub è in grado di modulare l’espressione facciale, di dirigere lo sguardo, di rilevare lo sguardo di un partner e di rivolgere lo sguardo verso il partner, o verso un oggetto. Tutto questo è particolarmente importante nel caso di un robot sociale, capace di interagire con un umano, e in cui l’interazione sia fluida».

Robotica e autismo: con ICub per avvicinarsi alle persone

Ma come si è capito che iCub potrebbe essere utile ai bambini con problemi di autismo? «Se davvero sarà utile lo sapremo dire tra qualche anno: prendo l’impegno per un aggiornamento quando avremo i risultati», ci risponde la ricercatrice. «In generale quello che si sa è che i bambini affetti da autismo hanno una propensione a interagire con i robot: non siamo i primi al mondo a utilizzare i robot in questo senso.

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Cristina Becchio, Senior Researcher dell’Istituto Italiano di Tecnologia e Professore ordinario  dell’Università degli Studi di Torino

Penso all’Università di Yale, al laboratorio di Scassellati, che utilizza la robotica ai fini della riabilitazione e dell’assessement per l’autismo, e sfrutta questa naturale propensione dei bambini con autismo a interagire con i robot». Questa macchine infatti hanno caratteristiche che rendono l’interazione dei bambini con autismo più semplice. «Hanno stimoli più facilmente prevedibili e il loro comportamento può essere accuratamente controllato: possiamo modulare il comportamento del robot, modificare le sue caratteristiche, così da favorire l’interazione con il bambino», ci spiega Cristina Becchio. «Con un partner umano la cosa è impossibile, perché rimane imprevedibile».

Se ci sono molti laboratori che utilizzano la robotica, sfruttando questa naturale propensione dei bambini, l’esperimento proposto dall’Istituto Italiano di Tecnologia e dal Gaslini è qualcosa di completamente nuovo. «È il primo intervento a proporre un’interazione con un robot umanoide», ci spiega la ricercatrice. «I robot utilizzati finora sono quasi toy robot, non molto diversi dai robot sofisticati di oggi con cui i nostri bambini giocano. Noi abbiamo in mente qualcosa di diverso, che sfrutta le caratteristiche di un robot umanoide, più vicino a un partner umano che a un giocattolo». Il senso della sperimentazione sta proprio in questo aspetto. «L’idea è utilizzare il robot come un partner quasi umano che ci consenta di avvicinare progressivamente il bambino a un partner umano», precisa Cristina Becchio. «La critica che si sente muovere all’intervento robotico è che questo non fa che aumentare l’isolamento autistico, perché si rischia di mettere il bambino nella situazione di interagire col robot piuttosto che con gli esseri umani. L’idea qui è di utilizzare il robot come un mezzo per avvicinare progressivamente il bambino con autismo all’interazione con un partner umano. Quello che ci proponiamo di fare è di variare le caratteristiche di iCub in modo di avvicinare progressivamente l’interazione di iCub a quella con un essere umano».

Dall’interazione controllata a quella naturale

È una sperimentazione che potrebbe davvero dare grandi soddisfazioni, e che è nata proprio in modo pratico, osservando il comportamento di certi bambini. «Inizialmente ero scettica su questo utilizzo del robot», ci confessa la ricercatrice.

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Il personale sanitario è coinvolto in tutte le fasi della progettazione. Questo garantisce di tenere conto delle esigenze di terapisti e bambini

«I bambini hanno espresso il desiderio di conoscere iCub. E abbiamo fatto una serie di incontri, in cui i bambini con le famiglie, i fratelli e le sorelle sono venuti all’Istituto Italiano di Tecnologia per conoscerlo. La sorpresa è stata che, nell’interazione con il robot, ho visto questi bambini perfettamente a loro agio, più dei fratelli e delle sorelle a sviluppo tipico, quasi a ruoli invertiti. Nell’interazione con un altro individuo il bambino con autismo si trova in difficoltà. In questo caso invece era facilitato. Da quel momento abbiamo cominciato a considerare seriamente se e come iCub potesse essere utile a un intervento specifico sull’autismo. La cosa è nata davvero così: a fronte di questa naturale facilità di interazione, sei portato a chiederti perché. Perché è più facile interagire con un robot umanoide rispetto a un altro essere umano? Quali sono le caratteristiche del robot che amplificano l’interazione per un bambino con autismo? E soprattutto: possiamo sfruttare queste caratteristiche per un intervento riabilitativo che nel tempo ci consenta di riavvicinare gradualmente il bambino all’interazione con altri esseri umani, più complessi e più imprevedibili rispetto a un robot?» Una cosa del genere non si può fare con un robot giocattolo. «Serve un robot umanoide, dotato di un controllo motorio molto adeguato, che possa essere programmato con caratteristiche diverse, che possono essere modulate in funzione del comportamento del bambino, dove puoi introdurre una complessità crescente».

Per funzionare un progetto del genere deve essere progettato, fin dalla sua nascita, in collaborazione con chi si occupa di autismo e si occuperà di utilizzare il robot. «L’Istituto Italiano di Tecnologia ha un’idea di sviluppo che va oltre il trasferimento tecnologico: l’idea che sviluppi la tecnologia, poi ti chiedi a cosa possa servire, soprattutto se parliamo di interventi per la salute, non funziona» , ci spiega Cristina Becchio. «Il nostro modello è la coprogettazione, in cui il personale sanitario, i medici, i terapisti sono coinvolti in tutte le fasi della progettazione, fin dall’idea iniziale. Questo garantisce di tenere conto delle specifiche esigenze dei terapisti e dei bambini. Altrimenti il rischio è di progettare tecnologie, anche molto sofisticate, in grado di suscitare il “wow effect”, ma che poi è inutile. È quello che stiamo facendo: il nostro  gruppo di ricerca è formato da ricercatori dell’Istituto, da medici e terapisti del Gaslini di Genova. È il modello corretto perché le tecnologie abbiano utilità».

ROBOTICA E AUTISMO: UN UMANOIDE SOCIALE CONTRO L’ISOLAMENTO

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