CARCERE: IL GARANTE CHIEDE PIÙ DIGNITÀ E PIÙ PENE ALTERNATIVE

Presentato il Rapporto 2020 del Garante. Tornano a crescere le presenze in carcere in giugno. Chiesta l'introduzione del reato di tortura.

di Lucia Aversano

Il 19 giugno 2020, il Garante Nazionale delle Persone Detenute o private della libertà personale, ha consegnato la Relazione al Parlamento 2020, che analizza la situazione del 2019 e dei primi mesi del 2020. La Relazione al Parlamento è poi stata presentata al pubblico il 26 giugno, da Mauro Palma, presidente del Gnpl, Daniela De Robert e Emilia Rossi, i quali nell’ultimo anno, hanno esaminato 70 luoghi di privazione della libertà in 15 Regioni tra cui carceri, istituti minorili, residenze sanitarie per anziani, Rems e Cpr, e hanno monitorato 46 voli di rimpatrio forzato.

Rapporto 2020 del Garante
Mauro Palma, Garante Nazionale delle Persone Detenute

Nella sua presentazione, Mauro Palma ha sottolineato, che la Relazione 2020 ha posto l’attenzione sull’individuo e sulla necessità di «riconoscere la soggettività delle persone» private della libertà. «L’anonimia», sostiene Palma, «è il rischio più grande di tutte le collettività ristrette, e rappresenta un’ulteriore vulnerabilità che, aggiunta ad altre vulnerabilità, richiede un’accentuazione della tutela dei diritti. Quest’anonimia riguarda tutti e in particolar modo le persone straniere nei Cpr che devono essere accolte o respinte».

Le misure alternative

I numeri riportati nella Relazione, indicano, secondo il Garante che «il carcere accoglie situazioni createsi anche per l’assenza di risposte del territorio in grado di intercettare il disagio e le difficoltà di vita capaci di diminuire l’esposizione al rischio di commettere reati.» Basti pensare «che, ancora oggi, vi sono in carcere 867 persone che scontano una pena (non un residuo di pena) inferiore ad un anno e 2.764 che hanno un pena compresa tra uno e due anni»; e vi sono altresì «13.661 persone detenute che hanno un residuo di pena inferiore ai due anni» e non si capisce il perché non abbiano accesso alle diverse misure alternative previste dal sistema giudiziario.

Carcere e disagio psichico

Tra le richieste avanzate dal Garante vi è quella di intervenire legislativamente sul «permanere del disallineamento degli articoli 147 e 148 del Codice Penale, col fine di sanare la discrasia tra le risposte all’infermità fisica, per la quale è prevista la sospensione facoltativa della pena; e l’infermità psichica, per la quale non esiste tale possibilità.»
Ciò emerge in relazione all’insufficiente impegno da parte delle Aziende Sanitarie di affrontare il disagio mentale, che comporta un’ulteriore ricaduta sul personale che opera nelle sezioni. «Il supporto psichiatrico è impostato solo in risposta a situazioni patologiche già evidenziate, e tale impostazione si traduce con psichiatri impiegati in un uso molto diffuso di interventi farmacologici di sedazione e nell’affidamento al personale di sicurezza della sorveglianza a vista della persona isolata.»

Il Garante Nazionale ribadisce di non poter concordare con tale modalità di gestione dei disagi psichici che «delega, di fatto, la responsabilità a personale non formato per questa funzione, esponendolo anche a rischi di dovere rispondere ad eventuali conseguenze.»

I riflettori sulle RSA

L’epidemia Covid19 ha accesso i riflettori su alcune situazioni che fino a poco tempo fa erano note solo agli addetti ai lavori e a chi usufruiva di tali strutture. Oggi, invece, è impossibile non conoscere il significato di RSA (Residenze sanitarie per anziani). Al di là delle vicende direttamente collegate all’epidemia, la permanenza in tali strutture rischia di diventare, per alcuni soggetti, una forma di istituzionalizzazione. Per tale motivo il Garante Nazionale ha stipulato un accordo con l’Istituto Superiore della Sanità per un monitoraggio continuo di tali strutture, non solo con finalità statistiche, ma ha inserito nello studio alcuni propri indicatori, significativi per comprendere la qualità dell’accesso ai diritti delle persone ospitate, soprattutto nei casi ove non vi siano legami famigliari che possano sostenere queste persone.

Tornano a salire i numeri degli ingressi

Un anno fa, nel marzo 2019, il Garante aveva messo in evidenza la crescita costante della popolazione detenuta: al 20 marzo 2019 erano 60.420 le persone detenute, numero salito a 60.769 al 31 dicembre 2019. Tale numero ha segnato una crescita di 1114 persone rispetto alla stessa data del 2018, e di otre 3000 rispetto a quella del 2017. «La popolazione detenuta aumenta perché dal carcere si esce di meno, non perché vi si entra di più,» ha sottolineato Emilia Rossi. La crescita della popolazione ha mantenuto livelli di crescita costanti fino ai primi di marzo di quest’anno: il 29 febbraio 2020 le presenze in carcere erano arrivate a 61.230, rischiando di andare in contro a quei limiti già sanzionati dalla Corte Europea dei diritti umani nel 2013. A metà marzo, erano 8.629 le persone detenute con un residuo di pena inferiore a un anno, e 3.785 erano coloro per i quali questo residuo non superava i 6 mesi.
Nel 2019, inoltre, si è registrato un significativo aumento degli avvenimenti critici: 11.261 atti di autolesionismo; 827 atti di aggressione al personale penitenziario; 4.427 aggressione tra la popolazione detenuta, 1.507 tentativi di suicidio (nell’anno precedente sono stati 1.195) e 55 suicidi.

L’emergenza sanitaria, e la conseguente diminuzione della popolazione detenuta, che a giugno è arrivata al minimo di 53.366 presenze, ha messo in evidenza due segnali di estrema rilevanza. Il primo è che l’operatività degli organi giudiziari è il fattore principale nella regolamentazione dell’affollamento nelle carceri. Delle circa 8.500 presenze in meno tra i mesi di marzo e giugno, 3.612, alla data del 23 giugno 2020, sono dovuti alla concessione della detenzione domiciliare, di cui solo 1077 in applicazione all’articolo 123 del decreto legge 18 del 2020, e 666 determinate dalle licenze prolungate in applicazione dell’articolo 124 del decreto legge 18. Tutte le altre dimissioni, sono state prodotte dall’adozione dalle misure alternative al carcere già previste dall’ordinamento giudiziario.

Il secondo segnale connesso a questa operatività è che c’è un altro modo di concepire e trattare l’esecuzione penale, e che esiste un altro mondo, diverso dal carcere, in cui scontare la pena e che queste misure non sono solo giuste ma anche efficaci.
Purtroppo però c’è da segnalare che dall’esperienza emergenziale, oltretutto ancora in corso, non si è fatto tesoro, infatti le presenze in carcere sono tornate a crescere, portando i detenuti al 23 giugno, a 53.526, cioè 150 in più in 15 giorni.

 

Rapporto 2020 del GaranteIl reato di tortura

Mauro Palma  ha ricordato anche la necessità di introdurre il reato di tortura nel nostro codice penale, perché «in nessuno Stato può ritenersi immune da episodi che possano essere così qualificati». Introdurre questo reato, secondo Palma, «va salutato non solo come adempimento, quantunque tardivo, di un obbligo assunto sul piano internazionale, ma come atto di responsabilità, affinché comportamenti così gravi non corrano il rischio dell’impunità e al contempo si salvaguardi la dignità di tutti coloro che operano correttamente e dei loro Corpi di appartenenza».

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