UCRAINA, MENO SPESE PER LA DIFESA E PIÙ DIALOGO DI PACE

Per la soluzione del conflitto il taglio degli aiuti militari e l’invio dei Corpi Civili di Pace. Lo chiedono Disarmisti Esigenti e Associazione per la Scuola della Repubblica in un incontro a Roma. Navarra: «Vorremmo il disarmo completo, ma partiamo dagli armamenti che non servono per difendersi»

«L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo». È il famoso, e importantissimo, Articolo 11 della Costituzione Italiana, quello conosciuto semplicemente con le parole «L’Italia ripudia la guerra», parole superate spesso negli ultimi trent’anni grazie ad altre parole, grazie alle quali il nostro Paese ha in qualche modo partecipato a conflitti, denominandoli «missioni di pace» o di «polizia internazionale». Lo scorso 10 gennaio la Camera ha approvato con 190 voti a favore, 49 contrari e 60 astenuti la risoluzione di maggioranza a proposito degli aiuti all’Ucraina. Nelle stesse ore, a Roma, Disarmisti Esigenti e Associazione Nazionale per la Scuola della Repubblica, insieme a numerose organizzazioni per la pace e la non violenza, in un incontro a Roma lanciavano un appello per il rispetto del costituzionale ripudio della guerra attraverso il taglio del bilancio della difesa e degli aiuti militari al governo ucraino. E il coinvolgimento dei Corpi Civili di Pace come aiuto nella soluzione del conflitto in Ucraina.

Tagliare un terzo dei 30 miliardi di spesa per la difesa

Ucraina
Alfonso Navarra, portavoce dei Disarmisti Esigenti: «Abbiamo lanciato una proposta per un taglio delle spese militari. Di quei 30 miliardi in bilancio se ne potrebbe tagliare un terzo, perché vogliamo un modello di difesa “costituzionale”»

«Come Disarmisti Esigenti, ogni volta che il Parlamento si pronuncia per spedire armi al governo ucraino ci mobilitiamo con digiuni e presidi» ha esordito Alfonso Navarra, portavoce dei Disarmisti Esigenti. «Per noi è importante essere contro questa partita della guerra, cercare di rappresentare la volontà maggioritaria del popolo italiano che non vuole il coinvolgimento dell’Italia. Abbiamo lanciato una proposta per un taglio delle spese militari. Di quei 30 miliardi in bilancio se ne potrebbe tagliare un terzo, perché vogliamo un modello di difesa “costituzionale”. Le armi devono cioè servire non a fare attacchi all’estero, ma semplicemente a difendere i confini. Lo chiede l’Articolo 11 della Costituzione, che dice che l’Italia ripudia la guerra». «”L’Italia ripudia la guerra” significa che non vogliamo un bilancio per le spese per la difesa orientato per attrezzarsi a guerre ad alta intensità» continua Navarra. «L’ultimo vertice NATO ha stabilito che ogni Paese dovrebbe stanziare, come tetto minimo, il 2% di Pil per le spese per la difesa, per attrezzarci alla minaccia di guerre sempre più forti, intense. Il 2% del Pil per l’Italia significa che dovremmo passare dagli attuali quasi 30 miliardi a 38. Dovremmo attrezzarci, noi che ripudiamo la guerra per Costituzione, a guerre ad alta intensità. Tutte queste spese non solo sono un insulto ai bisogni pubblici delle persone, come la scuola e la sanità, ma sono anche contrarie al carattere pacifista della nostra Costituzione. Noi vorremmo arrivare al disarmo completo, ma intanto partiamo dagli armamenti che non servono per difendersi ma servono per attaccare».

Corpi Civili di Pace: far valere il dialogo fra le parti in guerra

Ma nelle richieste dei Disarmisti Esigenti c’è anche un altro aspetto. «La difesa deve essere difensiva e non un modello offensivo o nuclearizzato, come ci è imposto all’interno della NATO» spiega Navarra. «Di questa difesa difensiva fa anche parte la componente civile non armata e non violenta, una difesa senza armi ma basata sulla forza dell’unità popolare, delle relazioni sociali». «La non violenza è una forza» continua. «È la forza dell’unità popolare che cerca obiettivi di verità e di giustizia. Ha vinto in tante lotte. Vorremmo una difesa che fosse basata su questo concetto». Ed ecco la proposta dei Corpi Civili di Pace. «Vogliamo che ci siano garanzie per i Corpi Civili di Pace, che siano a sostegno del loro obiettivo, quello di cercare interposizioni non violente, di far valere il dialogo fra le parti in guerra, di fare diplomazia popolare di base. Il corpo civile di pace deve essere indipendente, ma non perché lo scrive su un documento. Ma dobbiamo avere delle garanzie. La nostra proposta è che sia alle dipendenze del segretario generale dell’ufficio disarmo dell’Onu». I Corpi Civili di Pace, secondo Navarra, non devono essere a supporto della resistenza armata ucraina, perché sarebbe uno stravolgimento del loro senso. Serve prendere dei giovani volontari europei e dei formatori che li preparino. «Come possiamo formare alla non violenza dicendo che dobbiamo essere a supporto della resistenza armata ucraina in forma di guerra?» si chiede il portavoce dei Disarmisti esigenti. Una resistenza che, fra l’altro, sta ottenendo proprio la distruzione del bene che vorrebbe difendere. «Vuoi difendere l’Ucraina?» si interroga Navarra. «Ora così hai centinaia di migliaia di morti, due milioni di profughi all’estero, dieci milioni di profughi interni, mille miliardi di danni, un Paese in macerie».

Ucraina: un dialogo sull’azione nonviolenta come base di partenza

Ucraina
Sclavi, portavoce del Mean: «Il Mean sostiene la necessità di un corpo armato che abbia un ruolo di interposizione, ma siamo tutti d’accordo su corpi civili di pace europei e riteniamo possibile un’unione di forze sul tema tra i movimenti per la pace»

Chi lavora da decenni per i Corpi Civili di Pace è Maria Carla Biavati, già vicepresidente dei Berretti Bianchi. «Da più di quarant’anni lavoro insieme ad alcune associazioni per promuovere la nonviolenza attiva come strumento privilegiato per la mitigazione, il superamento e anche la soluzione dei conflitti» ha spiegato nel suo intervento. «Nella nostra esperienza in varie aree di conflitto abbiamo potuto sperimentare l’importanza della presenza civile, per una migliore comprensione delle motivazioni alla base dei conflitti. La nostra esperienza è stata possibile perché eravamo civili disarmati e i nostri unici strumenti erano il dialogo e la condivisione». E proprio questi strumenti potrebbero essere la soluzione agli attuali cruenti conflitti che non accennano a fermarsi. «Se il diritto internazionale non si può praticare e se la risposta alle lotte nonviolente è stata militare ed armata, l’unica via per abbattere il muro omertoso che circonda queste azioni è l’interposizione tramite l’istituzione di Corpi Civili di Pace, con la partecipazione di cittadini da tutti i paesi del mondo» ragiona Maria Carla Biavati. «Utopico, forse, ma sicuramente le popolazioni che partecipano alle proteste se coinvolte in un coraggioso e limpido dialogo sull’azione nonviolenta potrebbero essere una buona base di partenza». È d’accordo anche Marianella Sclavi, portavoce del Mean – Movimento Europeo di Azione Nonviolenta. «Il Mean sostiene la necessità di un corpo armato che abbia un ruolo di interposizione, ma siamo tutti d’accordo su corpi civili di pace europei e riteniamo possibile un’unione di forze sul tema tra i movimenti per la pace».

I Corpi Civili di Pace in Kosovo e in Palestina

Ma in che cosa consiste l’azione dei Corpi Civili di Pace? Alcuni esempi possono contribuire a spiegarla. Nella regione della Kamenica, nel Kosovo, insieme a padre Lush Gergj, un sacerdote cristiano amato e stimato anche dalla popolazione mussulmana, sono stati organizzati degli incontri pubblici volti a convincere la popolazione ad interrompere il ciclo di vendette violente verso gli abitanti di origine serba. A Hebron, in Cisgiordania, Palestina, nella città vecchia si sono insediati circa 600 coloni difesi da oltre 1000 militari, e la vita dei Palestinesi che abitano in loro prossimità è continuamente a rischio: un gruppo di volontari ha fondato Youth Against Settlements e ha istituito squadre armate di cellulari con numeri di emergenza che intervengono immediatamente appena chiamate da cittadini in pericolo. Nei villaggi palestinesi in Cisgiordania, in aiuto alle famiglie minacciate dai coloni armati durante la raccolta delle olive, dei giovani ebrei, insieme a volontari italiani, fanno la scorta disarmata ai contadini per impedire gli attacchi dei coloni armati.

Parlare di pace: si comincia dalla scuola

Ma di pace, in Ucraina e ovunque nel mondo, si deve continuare a parlare, a partire dalle scuole. «È assolutamente importante che a scuola si faccia questo lavoro, che si parli di queste cose» spiega Cosimo Forleo, dell’Associazione Nazionale per la Scuola della Repubblica. «Io, docente oramai in pensione, ho assistito fino allo scorso anno a esami di stato dove si discuteva soltanto della Prima Guerra Mondiale. Di tutto il resto non si sa nulla. Non si può assistere a studenti che dicono che la Seconda Guerra Mondiale è iniziata nel 1968: non hanno idea di cosa sia il Novecento». «È dalle scuole che bisogna iniziare a discutere del perché di questi conflitti» continua. «Anche se abbiamo di fronte studenti che inneggiano ad Hamas o a Netanyahu noi abbiamo il dovere di confrontarci con questi ragazzi e aiutarli a capire questi conflitti».

UCRAINA, MENO SPESE PER LA DIFESA E PIÙ DIALOGO DI PACE

UCRAINA, MENO SPESE PER LA DIFESA E PIÙ DIALOGO DI PACE