IN ITALIA L’EDUCAZIONE INCLUSIVA È UN MIRAGGIO
L’annuale WeWorld Index lancia l’allarme: abbiamo perso altre posizioni in classifica. E la povertà educativa è "ereditaria"
26 Aprile 2018
“WeWorld Index 2018. Bambine, bambini, adolescenti e donne: 5 barriere all’educazione inclusiva e di qualità” è il rapporto internazionale, che permette di valutare il progresso di un Paese analizzando le condizioni di vita dei soggetti più a rischio di esclusione, come bambine e bambini, adolescenti e donne.
Il rapporto si focalizza quest’anno sull’educazione inclusiva e di qualità come elemento fondamentale per l’inclusione di donne e minori nella società. Giunto alla sua quarta edizione, è stilato da WeWorld Onlus, organizzazione non governativa impegnata da quasi vent’anni nella difesa di donne e bambini in Italia e nel Mondo.
«La classifica è stata stilata dal WeWorld Index 2018 attraverso 34 indicatori differenti, che afferiscono a dimensioni diverse: dalla sicurezza alla salute all’educazione. Quest’anno abbiamo messo a fuoco la dimensione dell’educazione, perché è sicuramente tra le più importanti per l’accesso ad altre dimensioni della vita (lavorativa, sociale, ecc.). Per la prima volta, l’Italia confrontata rispetto al 2015 perde diverse posizioni», spiega Stefano Piziali, responsabile progetti Italia WeWorld Onlus. «Il nostro Paese è fanalino di coda tra i Paesi europei per l’inclusione perdendo, rispetto agli anni precedenti, ben 9 posizioni: è 27° su 171 Paesi misurati mentre era 18° su 167 nel 2015».
Anche rispetto al gruppo del G20 l’Italia è tra i 6 Paesi con la performance peggiore. «Le ragioni che incidono su questo arretramento sono varie, da quelle relative all’istruzione e all’educazione a quelle relative alle condizioni ambientali del Paese e ai disastri naturali (terremoti, alluvioni) fino alle dimensioni che riguardano le questioni economiche, come la partecipazione al lavoro delle donne e la disoccupazione femminile».
CINQUE BARRIERE EDUCATIVE. Quest’anno con il WeWorld Index è stato approfondito il tema delle barriere educative, con l’identificazione di cinque di esse da eliminare, per assicurare a tutti i bambini e bambine l’accesso a un’educazione inclusiva: scarsa nutrizione, migrazione, discriminazioni di genere, violenza, povertà educativa.
«Quest’ultima è particolarmente presente in Italia, dove il 20% di tasso di disoccupazione scolastica si concentra solamente in alcune regioni: Sardegna, Sicilia, Campania. La media nazionale, invece, è diminuita: alcuni anni fa eravamo al 20%, ora siamo al 13%. La questione della trasmissione intergenerazionale della povertà è legata al contesto in cui si vive e al livello culturale dei genitori: per un ragazzo con entrambi i genitori che non hanno conseguito il diploma di scuola superiore, la possibilità di laurearsi si ferma all’8%, mentre se entrambi i genitori sono laureati, i ragazzi si laureano nel 68% dei casi», continua Piziali.
QUESTIONI DI GENERE. Un altro aspetto da considerare è inerente alla questione di genere. I maschi hanno più probabilità di essere interessati da fenomeni di abbandono scolastico quando crescono in periferie urbane, in quanto più esposti delle femmine a fenomeni di microcriminalità, disagio sociale, sfruttamento.
Le ragazzine hanno molte più probabilità dei loro coetanei di avere difficoltà scolastiche nelle materie scientifiche: sin dalle scuole dell’infanzia sono disabituate ad essere coinvolte nello studio delle materie STEM (Scienze, Tecnologia, Ingegneria, Matematica).
LA DISPERSIONE SCOLASTICA. «Il Rapporto ha preso in considerazione anche gli studenti di cittadinanza non italiana, che non superano il 9% di tutta la popolazione scolastica del nostro Paese: hanno 3 volte più probabilità di abbandonare la scuola rispetto ai cittadini italiani o di avere seri problemi scolastici, che ne inficiano la qualità degli apprendimenti. Tutti questi elementi insieme costruiscono una sorta di ereditarietà della povertà educativa. Anche con il confronto europeo il dato italiano è abbastanza clamoroso: l’Italia è da sempre in fondo alle classifiche europee per dispersione scolastica, insieme a Romania, Spagna, Bulgaria, Portogallo e altri. Ma a differenza di altri Paesi, l’Italia nel nostro WeWorld Index è peggiorata soprattutto negli ultimi anni”.
Tra le raccomandazioni del Rapporto, la prima è frutto di un lavoro che il MIUR ha fatto condurre da una Cabina di Regia sul tema della dispersione scolastica, guidata da Marco Rossi Doria: superare una visione a breve termine delle politiche da mettere in campo per affrontare la povertà educativa e la dispersione scolastica. «È necessario un piano di lungo periodo, pluriennale, che affronti in modo strategico, sinergico, coinvolgendo tutti gli attori. Dobbiamo superare la visione legata ad un progetto, ad un intervento o ad un singolo bando; la questione è sistemica, riguarda tutto il Paese, in particolare alcune aree, alcune categorie, le periferie piuttosto che i centri delle città, ma è un problema generale», dice il Responsabile progetti Italia WeWorld Onlus.
COSA FARE. Un primo punto su cui lavorare per vincere la povertà educativa è l’inclusione delle bambine nelle materie tecnico-scientifiche, sin dalla scuola dell’infanzia, promuovendone la partecipazione e lo studio, non dando per scontato che le femmine ne siano disinteressate.
Inoltre, bisogna varare progetti di prevenzione della dispersione scolastica nei territori più a rischio, quali le periferie urbane, erogando più fondi. Per limitare la dispersione scolastica degli studenti di cittadinanza non italiana, si propone di evitare le “classi ghetto” e le “scuole ghetto” e di lavorare su programmi di inclusione e di integrazione culturale e sociale, puntando molto sull’apprendimento linguistico, fondamentale per tutti gli altri apprendimenti.
Infine, per una educazione inclusiva vanno potenziate alcune scelte che in parte la nostra scuola ha avviato, ad esempio l’apertura degli istituti oltre l’orario scolastico, nel pomeriggio e durante l’estate. Altro elemento, il tempo pieno. «Quasi totale in Trentino Alto Adige, scende nelle regioni del Nord Italia e quasi sparisce nel Mezzogiorno; il tempo pieno è la principale forma di prevenzione dell’abbandono, i ragazzi che interrompono la frequenza scolastica, a casa non hanno un supporto sociale e familiare che li aiuta ad evitare l’abbandono, il periodo più triste per questi ragazzini è l’estate, quando vivono per strada. Il tempo pieno può aiutarli a sviluppare, attraverso lezioni laboratoriali, quindi differenti dalle classiche lezioni frontale, le loro competenze e le qualità che sicuramente hanno per inserirsi bene nella vita. Tutte queste proposte possono aiutare a superare le difficoltà. Siamo consapevoli del fatto che le scuole, spesso, non sono proprio pensate architettonicamente per effettuare modalità differenti di lezioni, con file uniche di banchi: lo spazio va strutturato in base al laboratorio che si vuole effettuare».
NEL MONDO. Tra le cinque barriere da eliminare, secondo il WeWorld Index 2018, per assicurare a tutti i bambini e le bambine l’accesso a un’educazione inclusiva, oltre alla povertà educativa, come già detto troviamo la scarsa nutrizione, la migrazione, le discriminazioni di genere, la violenza sociale e intrafamigliare.
Secondo il WeWorld Index, il Kenya è il Paese rappresentante la barriera della malnutrizione, mentre l’India è identificata come la barriera delle migrazioni, dove il 40% dei migranti sono minorenni.
A rappresentare la discriminazione di genere è il Nepal dove al 37% delle bambine è imposto un matrimonio combinato prima dei 18 anni e al 10% prima del compimento dei 15 anni.
Il Brasile è significativo per la barriera della violenza sociale e intrafamigliare: il tasso di omicidi è molto elevato, è al decimo posto nella classifica mondiale, le donne uccise dal proprio marito sono state 4.621 nel 2015.
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