ENTI DI PROMOZIONE SPORTIVA: UN IMPATTO DI CAMBIAMENTO SOCIO-CULTURALE

Volano di coesione, inclusione, educazione e sostenibilità, lo sport sociale in Italia è targato EPS. Ed è più efficace nelle aree in cui sanità, servizi, welfare funzionano peggio

“Finanziamenti pubblici: chi lucra sullo sport”. Titolava così, il 16 novembre, il Corriere della Sera, che tramite un’inchiesta ha messo in evidenza i benefici fiscali dei quali godono i 15 Enti di Promozione Sportiva (diversi per struttura e missione dalle federazioni sportive, dalle discipline associate e dalle associazioni benemerite, le altre componenti della famiglia Coni). Gli EPS sono nati in Italia nel dopoguerra come strumenti di propaganda di partiti e movimenti confessionali; una natura che oggi appare quanto meno sfumata. La Uisp (Unione Italiana Sport per Tutti), per citare un esempio, era espressione diretta del Partito Comunista Italiano: potentissimo allora, addirittura fuori dal Parlamento oggi. In ogni Ente resta chiaramente un’ispirazione politica, ma da qui all’affermare che nella società contemporanea queste strutture siano ancora il braccio operativo-sportivo della segreteria di partito ce ne passa.

Questo mondo – fatto di volontari, operatori del sociale e attivisti sportivi – si è sentito ferito e attaccato dalla bufera mediatica sollevata dall’inchiesta del Corriere, rivendicando il suo ruolo di sistema al servizio del Paese, «capace di camminare sulle proprie gambe, che riconosce e valorizza competenze e capacità femminili, e che prova a riprendersi dopo la pandemia». E così ha voluto rispondere indirettamente presentando alcuni numeri significativi, registrati grazie alle ricerche dell’Osservatorio permanente sullo sport di base “L’impatto del sistema EPS nel panorama sportivo italiano”. A promuoverlo sono stati 5 enti: ACSI, AiCS, ASI, UISP e US Acli, con la collaborazione tecnica dell’istituto di ricerca Swg e della società di consulenza Kratesis, finanziato da Sport e Salute, la società dello Stato per la promozione dello sport e dei corretti stili di vita.

Con lo sport fare comunità

eps
Presentata il 6 dicembre a Roma l’indagine Osservatorio permanente sullo sport di base “L’impatto del sistema EPS nel panorama sportivo italiano”

I ricercatori hanno scelto di analizzare prima di tutto un aspetto, inquadrandolo come “background conoscitivo”: la sedentarietà – che riguarda un italiano su tre – pesa sui costi del servizio sanitario nazionale per 2,3 miliardi. Solamente 13 milioni di cittadini praticano sport in modo continuo nel nostro Paese. E se tra gli “agonisti” la stragrande maggioranza è inquadrata nell’ambito delle federazioni (73%), allargando il campo al totale dei “praticanti” il rapporto si ribalta: chi fa sport per pura passione, senza ambizione di risultati, per tenersi in forma o in un’ottica semplicemente ludica, lo fa principalmente con gli Enti di Promozione (88% dei casi). Insomma, lo “sport sociale”, se così può essere chiamata la dimensione dello sport di base che riguarda non solo i bambini ma anche i giovani e gli adulti, in Italia è targato EPS. Con una mission abbastanza chiara: rendere la pratica delle varie discipline uno strumento contro la sedentarietà, ma anche un volano di coesione, inclusione, educazione e sostenibilità. Gli enti agiscono soprattutto nel Centro-Sud, dove in media si fa meno sport rispetto al Nord. Emilia Romagna, Lazio, Umbria, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna ospitano il maggior numero di Comitati Territoriali, con una prevalenza delle isole (13,7) rispetto al nord-ovest (11,8). La logica del volontariato e delle reti sociali qui si esplicita in modo chiaro: lo sport sociale agisce (ed è più efficace) nelle aree in cui sanità, servizi e in generale il welfare funzionano peggio.

L’impatto della Riforma

«La riforma dello sport e del terzo settore ci pongono in una condizione di forte responsabilità» ha spiegato Damiano Lembo, presidente di US Acli, durante la conferenza stampa di presentazione dell’osservatorio allo stadio Olimpico di Roma. Riforma che prevedrà, tra le diverse novità, anche l’inserimento delle norme sul lavoro sportivo, per dare dignità a migliaia di collaboratori privi di tutele fiscali e previdenziali. «Si parla di sport sociale, un qualcosa che noi abbiamo ben chiaro» ha proseguito Lembo. «Siamo passati a una definizione inesplorata, con un campo d’azione da interpretare e da qui nasce il ruolo di responsabilità degli EPS. Questa ricerca ci dà conforto perché ci restituisce una fotografia di quello che siamo convinti di fare». Nel 2021 gli Enti di Promozione hanno organizzato 184 mila eventi tra quelli prettamente sportivi e quelli di natura culturale (curiosamente, rispetto a quanto evidenziato prima, più al Centro-Nord che al Centro-Sud), con oltre 94 mila associazioni e società sportive affiliate e 7,4 milioni di praticanti con 97,5 milioni di euro di ricavi (il 60% deriva da autofinanziamento) a fronte di 98 milioni di euro di uscite. I soldi entrano soprattutto dalle quote di tesseramento (48,1%), dai contributi di Sport e Salute o Coni (27,6%), da altri contributi e bandi pubblici (14,8%) e in modo nettamente più marginale dagli eventi sportivi in sé (1,6%) o dalle attività formative (1,2%). Organizzare eventi è infatti soprattutto un costo per gli EPS (il principale, 18,6%), maggiore anche alle spese per mantenere la struttura e per retribuire il personale (entrambi 11,6%). Le attività degli EPS si mescolano tra filone sportivo (gare, tornei, allenamenti), formazione (arbitri, allenatori, sicurezza, salute, alimentazione, normative), diritti (solidarietà, disabilità, inclusione) e assistenza alle organizzazioni sul territorio (management, marketing, comunicazione, supporto amministrativo e fiscale), per un totale 65.920 ore formative rivolte ai tesserati nel corso dell’anno solare. I dirigenti di struttura sono 11.600, il 35% dei quali di sesso femminile (su 311 contratti a tempo indeterminato negli EPS il 59% riguarda le donne). Anche se lo sport di vertice nell’ultima tornata elettorale ha visto comunque aumentare la presenza delle donne nei ruoli apicali (nelle 44 Federazioni sotto l’egida del Coni le donne-dirigenti sono raddoppiate rispetto al precedente quadriennio olimpico), gli Enti si fanno preferire nell’ambito delle pari opportunità.

EPS: bisogna fare sistema

Il maggior numero di tesserati dello “sport sociale” si concentra tra i 35 e i 59 anni (32%): gli Enti favoriscono dunque maggiormente la partecipazione delle fasce d’età più adulte rispetto ai tesserati delle federazioni. «La nostra missione è lo sport per tutti» ha confermato Bruno Molea, presidente di AiCS, ente coordinatore del progetto. «E non solo come diritto alla pratica sportiva e come lotta alla sedentarietà, ma come strumento per la trasformazione socio-culturale del Paese». Per ripartire dopo una pandemia che, tra lockdown e limitazioni, sembrava quasi aver messo all’angolo lo sport – considerato più come un’occasione di contagio che un’irrinunciabile esperienza di socialità – «serve far capire quanto vale lo sport di base e quanto vale il nostro ruolo di promozione dello sport per tutti» ha spiegato Molea. «Serve quindi fare sistema, applicando gli standard qualitativi condivisi, rafforzando l’attività di lobbying di sistema a beneficio dello sport di base, rivitalizzando il ruolo del coordinamento degli enti, sfruttando appieno il ruolo catalizzatore di Sport e Salute». I successi dei campioni dell’alto livello rendono orgogliosi gli italiani – a proposito: il 2022 è stato più vincente del 2021, con l’Italia sul podio dietro Stati Uniti e Australia per numero di podi tra Olimpiadi, Mondiali e competizioni continentali – ma è lo sport di base a coinvolgerli e a far sì che, attraverso il movimento dei singoli, il Paese migliori sotto il profilo del benessere generale. C’è una simbolica e altrettanto importante medaglia per ogni persona che si alza dal divano.

Immagine di copertina: UISP

 

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