FRANCESCA ALBANESE: «LA SOPRAVVIVENZA DELLA PALESTINA SARÀ LA NOSTRA RIABILITAZIONE»

La solidarietà è la declinazione politica dell’amore, secondo la Relatrice Speciale dell’ONU per la Palestina. Per Albanese l’obbligo di prevenire il genocidio è scattato con l’istanza del Sudafrica alla Corte di Giustizia di gennaio 2024. Il sacrificio della Palestina deve essere un’occasione. Possiamo uscirne distrutti o migliori

di Maurizio Ermisino

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Genocidio. Pulizia etnica. Apartheid. Le parole sono importanti. E usare le parole giuste per raccontare che cosa sta accadendo oggi in Palestina, nella Striscia di Gaza, è sempre più importante. L’incontro con Francesca Albanese, Relatrice Speciale dell’ONU per la Palestina, di ieri sera al MONK a Roma per presentare il libro Quando il mondo dorme (Rizzoli, 2025), è stato in questo senso illuminante. In un giardino gremito di folla, con altrettante persone rimaste fuori, Francesca Albanese ha parlato a cuore aperto, con quella “dolorosa gioia”, come la definisce lei, che è  raccontare una situazione terribile con la consolazione della condivisione della denuncia.  Ogni volta è straziante, un dolore collettivo, ma c’è l’obbligo di non fermarsi e di riflettere per cambiare un sistema e di provare a costruire il domani che vogliamo. «Mi si chiedeva perché è così importante chiamare quello che sta accadendo a Gaza “genocidio” e perché dire che Israele sta commettendo crimini di guerra e crimini contro l’umanità non è sufficiente» si è chiesta Francesca Albanese. «Se andate dal medico con il cancro e vi dice che avete la febbre, ha sbagliato la diagnosi. Se anche si dovesse condannare la leadership israeliana per crimini di guerra, si fallirebbe la soluzione del problema fondamentale. Non è solo lo Stato di Israele, ma il Sionismo come ideologia predicata sulla realizzazione di uno Stato di soli ebrei in Palestina, che vuol dire che non lo è per tutti gli altri popoli. Il genocidio è l’intenzione di distruggere un gruppo in quanto tale. Ed è quello che Israele sta facendo con atti di uccisione, con l’inflizione di condizioni di vita calcolate per distruggere: se togli l’acqua, il tetto sopra la testa, il cibo, il carburante, se distruggi tutti gli ospedali, se impedisci alle persone l’accesso a qualsiasi cosa per vivere, il risultato è questo. Ormai siamo al di là: nelle ultime settimane sono morte 147 persone, la maggior parte bambini, la maggior parte neonati, per mancanza di viveri. Se anche domani cessassero di piovere le bombe sui palestinesi rinchiusi in quel ghetto che Israele ha creato nel 1948, il genocidio c’è già stato. E chiamarlo genocidio ci dà la misura di quella che è stata la nostra responsabilità» «La cosa fondamentale della convenzione sul genocidio è la prevenzione» continua. «Abbiamo già fallito. L’obbligo di prevenire il genocidio è scattato quando la Corte di Giustizia internazionale ha ricevuto, nel gennaio del 2024, l’istanza del Sudafrica, a cui si sono uniti altri 14 Paesi».

francesca albanese
«Passo dopo passo facciamo la cosa giusta. Sicuramente non saremo peggio di come siamo adesso»

Fermare l’economia del genocidio

La grande ipocrisia è quella di tanti Paesi, tra cui l’Italia, che hanno continuato a intrattenere rapporti politici e commercial con Israele. «Un governo può rendersi complice» afferma Francesca Albanese. «Ma noi cittadini possiamo dire no, basta. Ai comuni che mi danno la cittadinanza onoraria io dico: se volete che l’accetti dovete bandire il Made in Israel. A chi è stressato per quanto zucchero ci sia nelle marmellate per i propri figli dico: usate lo stesso zelo per vedere quali prodotti vanno a finanziare direttamente l’economia dell’occupazione che si è trasformata economia di genocidio. Tanti studenti hanno monitorato le relazioni dei loro atenei con Israele: vanno tagliate senza se e senza ma perché con uno Stato accusato di apartheid, genocidio, crimini di guerra non è uno Stato con cui si possono avere relazioni. Fareste oggi una relazione con il Sudafrica al tempo dell’apartheid? La fiction per cui c’è un Israele buono ed uno cattivo deve finire. È Israele che è accusato di crimini: da oggi non si commercia più, non si trasferiscono armi né know-how, non si fa ricerca neutra con uno Stato accusato di crimini internazionali».

Francesca Albanese: nella sopravvivenza dei Palestinesi ci sarà la nostra riabilitazione

Queste richieste sono arrivate alla politica italiana, che non ha risposto. Cosa si può fare per sensibilizzarla? «Loro sono quello che sono. Nel 2027 dovrete valutare se questa gente merita di rimanere al potere oppure no» risponde, tra gli applausi, Francesca Albanese «Credo molto nel valore della politica, per me è una parola con la P maiuscola. Capisco i giovani che fanno cittadinanza attiva. Questa deve essere la nuova declinazione della politica. Il sacrificio della Palestina ci deve dare questo: non usciremo da questa fase nello stesso modo in cui siamo entrati. Possiamo uscire distrutti o uscire migliori. Prendiamo il dolore di questo momento come quello di un parto: si soffre, si spinge per portare alla luce qualcosa di nuovo. Una frase che ho mutuato e che uso spesso è: la solidarietà è la declinazione politica dell’amore. Questo è un momento di solidarietà in cui ci si ritrova: so che l’amore per me è un amore di riflesso per il popolo palestinese. Che è un popolo dolce e buono. Se lavoriamo tutti insieme non solo il genocidio si fermerà. Non solo i palestinesi si ricostruiranno come fanno del 1948. Ma nella loro sopravvivenza ci sarà la nostra riabilitazione, quella dal peccato originale di noi occidentali, cioè 500 anni di colonizzazione. La declinazione politica dell’amore è questa: dobbiamo tornare ad essere buoni. Lo dobbiamo a noi stessi, alla società che vogliamo lasciare ai nostri figli e nipoti».

Il mondo non si cambia a ceffoni

In questi anni Israele, con gli Stati complici, sta mettendo in atto un esercizio lucido della cattiveria. Nel senso di “captivus”, cioè “chiuso”, qualcuno che non è nemmeno in grado di vedere il male che sta facendo. In che modo oggi noi occidentali possiamo sensibilizzare e avere il coraggio e l’intelligenza di fare quel passo indietro rispetto al mondo? «Ci sono tante cose che dobbiamo imparare a fare, ma prima dobbiamo disimparare» risponde Francesca Albanese. «Dobbiamo dismettere certi automatismi. Abbiamo l’ansia da prestazione. Invece di saltare alle conclusioni, alle soluzioni, alla destinazione, dovremmo pensare al processo. E nel frattempo dobbiamo ascoltare. È fondamentale ascoltare perché ascoltare significa capire». Nel libro si legge un episodio particolare, un momento in cui anche Francesca Albanese ha provato un senso di vergogna. «Quando ero in Palestina, già 15 anni, Israele arrestava una media di 500-700 bambini all’anno, tra i cinque anni e i dodici anni e se un adulto interviene ci sta che non torni a casa. Nel 2012 mi chiedevo: perché dobbiamo scrivere lettere ad Israele chiedendogli che si rispettino i diritti della convenzione del fanciullo quando arrestano i bambini e li portano nelle corti militari? Ma perché stiamo qui a normalizzare l’abominio? Con il tempo sono riuscita a staccarmi in quel processo di convenienza. Per me era insopportabile il peso della coscienza, di sapere quello che potevo o non potevo fare da funzionario delle Nazioni Unite. Il mondo si cambia se si fa la cosa giusta ad ogni passo. Bisogna creare consapevolezza sulla Palestina, di cui si sa ancora troppo poco. Ho avuto un tremore quando un farmacista stava vendendo un prodotto Teva. Se mi dite “voglio fare qualcosa” cominciate a non venderli più. Ma, nei confronti degli ebrei, ammettiamo il garbo, la dolcezza, l’eleganza. Perché il mondo non si cambia a ceffoni».

Palestina: il banco di prova del rispetto della legalità

Cosa dovrebbero fare gli Stati? Come ha scritto ieri Francesca Albanese su X, non dovrebbero solo riconoscere lo Stato di Palestina, fare gesti simbolici, prendere le distanze da Israele. Dovrebbero sanzionare Israele, imporre un embargo totale alle armi, spezzare l’assedio inviando navi, sospendere tutti gli accordi commerciali, indagare e perseguire chi ha commesso crimini nei territori palestinesi occupati. La risposta è sempre: “ma siamo amici di Israele”. «Non si può vituperare la parola amicizia in questo modo» commenta Francesca Albanese. «Se hai un amico che sbaglia gli dai uno scappellotto. Prendi delle misure perché la persona che ami non sbagli più. Qui si sta parlando di violenza estrema. Un popolo va immaginato come un corpo. Quante ferite si possono infliggere ad un corpo per decenni? E quanta comprensione si può chiedere a questo un corpo e l’anima che lo abita? Con il politico con cui ho parlato c’era proprio una posizione ideologica: “come ti aspetti che noi interrompiamo le relazioni con uno Stato come Israele?” Uno stato così indecente con un esercito così immorale io non me lo ricordo in un Paese che si dice democratico. Negli ultimi anni ho visto cose incredibili. E non è che i palestinesi prima se la passassero bene: già nel 2013 le Nazioni Unite denunciavano maltrattamenti, torture e stupri su minori nelle carceri israeliane? Dove eravamo noi? Dove eravamo nel 2022 quando i pogrom nei confronti dei villaggi palestinesi si moltiplicavano? Per quel viceministro degli affari esteri che mi diceva “non possiamo interrompere le relazioni con lo Stato di Israele” ho pensato: “o vi convinceremo noi o il vostro popolo, alle prossime elezioni voi non ci sarete”. La Palestina sta diventando il banco di prova del rispetto della legalità di cui abbiamo bisogno tutti quanti. Oggi non si può passare stare in silenzio sul corpo di 20mila bambini».

Fermare il traffico d’armi

Dobbiamo fermare il traffico di armi, raccontare chi le fa. «Altra Economia ha fatto inchieste sulla Leonardo spa, partecipata dal 30% dello Stato Italiano, che partecipa alla produzione degli F35 in modalità Beast Mode, in modo che potesse portare una quantità di bombe in grado di distruggere un intero territorio, con il danno di 8 bombe nucleari. Tutti abbiamo un potere e dobbiamo esercitarlo adesso. I portuali di Genova e di Ravenna sono stati i primi a dare l’allarme perché in questi porti si trasferivano armi verso Israele».

Bisogna curare l’anima di una terra

Ci si chiede quale possa essere il processo di transizione verso un futuro che possa portare a una pacifica convivenza tra i due popoli. «Ci sono tanti strumenti per immaginare il futuro» riflette Francesca Albanese. «Possiamo vederlo come la destinazione di qualcosa che vogliamo costruire. C’è una parola che non compare nel vocabolario di noi occidentali: è “healing”, “cura”. Bisogna curare l’anima: c’è un trauma incredibile in quella terra». «Prima di tutto vanno portati i diritti» conclude. «Passo dopo passo facciamo la cosa giusta. Sicuramente non saremo peggio di come siamo adesso».

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Francesca Albanese
Quando il mondo dorme
Rizzoli, 2025
pp. 288, € 18

 

 

FRANCESCA ALBANESE: «LA SOPRAVVIVENZA DELLA PALESTINA SARÀ LA NOSTRA RIABILITAZIONE»

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