CARCERE, ANTIGONE: NEL 2024 SUICIDI GIÀ A QUOTA 30. SITUAZIONE DRAMMATICA ANCHE NEL LAZIO

Presentato a Roma Nodo alla gola, il 20mo rapporto Antigone. Gonnella: «Da tempo chiediamo che il tema sia posto al centro dell'agenda politica invece assistiamo ad un ritorno a livelli di affollamento che non si registravano da oltre 10 anni»

R.B. era un ragazzo romano «di appena 21 anni. Pare che non riuscisse a trovare lavoro e che quindi vivesse per strada. A luglio 2023 viene arrestato per furto e condotto nel carcere di Regina Coeli. Aveva bolle, macchie e arrossamenti su tutto il corpo. “Scabbia”, era stata la diagnosi del centro sanitario. Il 21enne era finito in isolamento. Dopo neanche due mesi di detenzione, si è tolto la vita all’interno della sua cella». È uno dei 5 detenuti che lo scorso anno si sono uccisi nella Casa circondariale di Roma Regina Coeli, l’Istituto con il maggior numero di suicidi nel corso del 2023 e uno dei 4 penitenziari italiani in cui sono avvenuti il maggior numero di suicidi tra il 2023 e il 2024. Un luogo che svetta per livello di sovraffollamento, pari al 181,8%, mentre la media nazionale di fine marzo arriva al 119,3%. Sono alcuni dei tragici dettagli e numeri che emergono dal XX Rapporto dell’associazione Antigone sulle condizioni di detenzione, intitolato Nodo alla gola e presentato il 22 aprile all’Associazione Stampa Romana.

30 suicidi in carcere da inizio anno

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Numero suicidi per regione. Fonte 20mo Rapporto Antigone

«Sono 30 i suicidi avvenuti nelle carceri italiane dall’inizio di quest’anno fino al 15 aprile. Un dato drammatico la cui tendenza, se dovesse essere confermata, porterebbe il numero totale a fine anno a superare quello registrato nel 2022, quando a togliersi la vita in un istituto di pena furono 85 persone: il numero più alto mai registrato. Se la tendenza di questi primi 4 mesi si confermasse nel resto dell’anno, il 2024 farebbe registrare un altro record negativo e drammatico. In carcere ci si leva la vita ben 18 volte in più rispetto alla società esterna. Di fronte a questa situazione il nostro Rapporto non poteva che avere un focus specifico sui suicidi, a partire dal titolo. Infatti «la maggior parte di chi decide di togliersi la vita in carcere lo fa impiccandosi, con un nodo alla gola», sottolinea Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.

20mo Rapporto Antigone: la situazione nel Lazio

Frutto di un anno di analisi e monitoraggio diretto delle condizioni di detenzione in 99 istituti penitenziari visitati, il Rapporto evidenzia che a fine gennaio il Lazio è la seconda regione italiana con la lista d’attesa più lunga (104 persone) per un posto in Rems (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza), dietro solo alla Sicilia (150 persone), «nonostante la decisione della Corte Costituzionale che ha ritenuto legittimo avere un sistema di “liste d’attesa” per evitare di sovraffollare le Rems».

Nei penitenziari della nostra regione, a Rieti gli stranieri sono oltre il 50% del totale dei presenti: 272 su 482. Per quanto riguarda la popolazione femminile detenuta con i figli, a Rebibbia (Roma) «nell’agosto 2021 una donna ha partorito all’improvviso nella propria cella con il solo aiuto della compagna di stanza. Nonostante tutto ciò, il disegno di legge governativo recante Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario (C. 1660) in discussione in Parlamento prevede l’abolizione del rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena per le donne incinte». Una buona notizia: grazie alla polisportiva Atletico Diritti (fondata da Antigone 10 anni fa insieme all’associazione Progetto Diritti), la squadra di calcio a 5 femminile di Rebibbia è la prima squadra femminile in carcere d’Italia.

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Andamento dei suicidi nel 2023 e fino al 15 aprile 2024. Fonte 20mo Rapporto Antigone

Bollino nero per il numero di educatori: la media nazionale è meno di uno ogni 60 detenuti, ma a Regina Coeli ce n’è uno ogni 163 reclusi. Infatti «sono presenti 7 educatori su 11 previsti». Mentre «le regioni che hanno in media un rapporto più elevato di detenuti per agente sono la Lombardia, il Lazio e la Puglia, con rispettivamente 2,5, 2,4 e 2,2 detenuti. La distribuzione incoerente e disomogenea del personale di polizia si evince anche dalla discrepanza che c’è tra gli istituti per quanto riguarda il numero di detenuti per agente. Il rapporto più elevato si riscontra a Rieti, dove è pari a 3,9».

Altra criticità riscontrata: «La magistratura di sorveglianza interpreta in modo molto difforme l’istituto della concessione dei permessi premio. Così accade che nel Lazio sono stati 1.084 su circa 7 mila detenuti. Il Lazio è il luogo tra i più restrittivi in Italia». Inoltre «emerge una situazione disomogenea per quanto riguarda le condizioni delle celle in cui si svolge l’isolamento. Presso la Casa circondariale Rebibbia Nuovo Complesso le celle sono molto più anguste e in peggiori condizioni. Dall’analisi dei casi presi in carico da Antigone emerge come siano quasi sempre gli spazi di isolamento a fare da scenario agli episodi di violenza da parte degli agenti sui detenuti. È il caso, ad esempio, dei procedimenti di Asti, San Gimignano, Santa Maria Capua Vetere, Viterbo, Lucera». Infine in 7 istituti, tra i 99 visitati da Antigone, non si svolgono colloqui nel fine settimana; «tra questi i due istituti con le presenze più elevate: la casa circondariale di Roma Rebibbia NC e di Napoli Poggioreale. I colloqui nelle giornate di sabato e domenica, sebbene possano essere complessi da organizzare per l’amministrazione, agevolano la partecipazione dei familiari delle persone detenute che hanno impegni lavorativi o scolastici durante la settimana».

Antigone: «Non si percorre la via dei diritti, ma si introducono norme penali»

Antigone«Da tempo chiediamo che il tema venga posto al centro dell’agenda politica e che si affrontino i tanti problemi che stanno deflagrando in maniera evidente. Invece, quello a cui assistiamo da parte del governo Meloni è un utilizzo populistico dello strumento penale, come strada da percorrere per gestire tutti i fenomeni sociali che emergono nel Paese. Il risultato è il ritorno a livelli di affollamento che non si registravano da oltre 10 anni, cioè da quando l’Italia fu condannata dalla Corte europea per i diritti dell’uomo per i trattamenti inumani e degradanti generalizzati che si verificavano nelle nostre carceri», denuncia Gonnella. «Al malessere sempre più intenso da parte delle persone detenute e degli operatori si pensa poi di rispondere non percorrendo la strada dei diritti, ma ancora una volta introducendo norme penali, come il reato di rivolta penitenziaria che, anche in casi di protesta pacifica e non violenta, può portare a una pena fino a 8 anni con l’applicazione del regime del 4bis, inizialmente previsto solo per reati gravissimi legati alla mafia e al terrorismo. Se questa norma fosse approvata, ci aspettiamo un possibile aumento dei suicidi e degli atti di autolesionismo poiché, se si toglie anche la possibilità di protestare pacificamente, l’unico strumento che le persone recluse avranno per manifestare disagio potrà essere il proprio corpo», conclude il presidente dell’associazione.

Il Rapporto completo è a questo link; è disponibile anche una sintesi video.

 

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