GLOBAL MARCH TO GAZA: IN MARCIA PER LA PACE E L’UMANITÀ

Dall’Egitto la Global March to Gaza intende arrivare al valico di Rafah il 15 giugno 2025. Una grande marcia pacifica della società civile, quella che va avanti anche quando la politica si volta dall’altra parte, a cui hanno aderito finora 54 Paesi. Chiodo: «I popoli possono cambiare le cose, per fermare il genocidio di Israele»

di Maurizio Ermisino

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Mentre attorno a Gaza i muri si sono alzati, le porte i sono chiuse, mentre la striscia è un posto dove non entrano da mesi i sacrosanti aiuti umanitari, né per terra né per mare, c’è chi prova a bussare per aprire quelle porte e portare umanità. È chi ha aderito alla Global March To Gaza. L’idea è quella di partire, dall’Egitto, per una marcia globale verso Gaza che arrivi al valico di Rafah. È la prima marcia della società civile, quella che va avanti anche quando la politica si volta dall’altra parte, a cui hanno aderito finora 54 Paesi. Tra cui c’è anche l’Italia.

Non solo una marcia simbolica

La marcia verso Gaza è una marcia di pace. L’idea è quella di negoziare l’apertura di un terminal, in accordo con le autorità egiziane, in collaborazione con Ong e associazioni umanitarie, in modo assolutamente pacifico, senza forzare alcuna barriera. Global March To Gaza è un movimento pacifista, apolitico, nato dal basso. Gaza ormai è rasa al suolo e privata di tutto: cibo, acqua potabile, medicine. Non entra nulla da tre mesi. E anche le ultime, discutibili modalità di distribuzione del cibo hanno creato più danni che benefici.

I popoli possono cambiare le cose

«La Global March su Gaza è stata ideata da persone che da tutta la vita lavorano con il popolo palestinese e con le popolazioni sotto assedio» ha spiegato Antonietta Chiodo, portavoce italiana della Global March to Gaza, una vita a fianco della popolazione palestinese. «Ma la chiamata è per tutti: se ci uniamo possiamo le cambiare le cose, i popoli possono cambiare le cose, per fermare il genocidio di Israele».

global march to Gaza
La Freedom Flotilla è stata bloccata dalle forze israeliane prima di raggiungere Gaza. Trasportava forniture mediche, latte in polvere per neonati, riso e kit di emergenza. Immagine Assopace Palestina

Una meccanica genocida con droni usati per abbattere i civili

Genocidio. Lo dice chiaramente Antonietta Chiodo, lo stiamo dicendo in tanti. Le parole sono importanti, ed è importante usare quelle giuste, senza nascondersi. Così come è importante raccontare che cosa accade, raccogliere tutte le testimonianze. Una di queste è quella di e Hicham El Ghaoui, medico francese capo della delegazione svizzera di GMTG, tornato dalla sua seconda visita umanitaria: «A Gaza è in atto una meccanica genocida con droni usati per abbattere i civili» ha raccontato. Ma non si muore solo per i bombardamenti. Si muore anche per ferite da arma da fuoco, per complicazioni dovute dal fatto che non ci sono le condizioni sanitarie minime. Per questo molte persone muoiono in ospedale o due o tre settimane dopo le dimissioni, perché non è stato possibile curarle nel modo migliore. L’aspettativa di vita a Gaza, che era di 70,5 anni, oggi è di 40 anni. Il 90% della popolazione di Gaza è sfollata. L’acqua a disposizione è un terzo rispetto al fabbisogno minimo, l’aria è piena di polveri sottili, dovute a tutti gli edifici che sono crollati. Gaza ora è deserto, macerie e polvere. Ci si ammala, e si muore, anche solo respirando.

La marcia sul mare: la Freedom Flotilla 

Alla marcia ha partecipato anche la Freedom Flotilla Coalition, che è partita sulla nave Madleeen il primo giugno dal porto di Catania, con a bordo anche l’attivista Greta Thunberg e la deputata europea Rima Hassan, e che è stata bloccata dalle forze israeliane prima di raggiungere Gaza, con quello che si può definire un atto di pirateria, un arresto violento. L’imbarcazione e il suo equipaggio erano impegnati in una missione pacifica e umanitaria. Trasportavano a forniture mediche, latte in polvere per neonati, riso e kit di emergenza destinati a una popolazione civile sottoposta a un blocco illegale affamata e privata dell’accesso ai beni essenziali. L’operazione militare israeliana è stata condotta fuori dalle acque territoriali ed è una violazione del diritto marittimo internazionale. Degli attivisti quattro sono stati espulsi da Israele e rimpatriati, e tra questi c’è Greta Thunberg. Altri otto hanno rifiutato il rimpatrio e sono stati arrestati. Global March To Gaza condanna questa azione e chiede il rilascio incondizionato di tutti i passeggeri della Madleen, la protezione del convoglio umanitario da parte di osservatori internazionali, un’indagine indipendente sulle condizioni dell’arresto. E, ovviamente, la fine del blocco disumano su Gaza, che condanna oltre due milioni di persone alla miseria.

Cosa chiede la Global March To Gaza

Dall’aeroporto del Cairo l’idea è quella di viaggiare in pullman verso la città di Al Arish, nel nord del Sinai, e da lì partire verso il valico di Rafah, a piedi e con mezzi collettivi per chiedere l’apertura immediata del valico e consentire l’ingresso degli aiuti umanitari e il passaggio sicuro delle persone in stato di necessità; dare voce alla popolazione di Gaza e alla loro drammatica condizione; rafforzare la pressione diplomatica internazionale su tutti gli attori coinvolti; promuovere una risoluzione pacifica e duratura della crisi in corso; chiedere il riconoscimento ufficiale dello Stato di Palestina; sollecitare un immediato cessate il fuoco, sensibilizzando le autorità egiziane in collaborazione con Ong, diplomatici e istituzioni umanitarie.

«È stata una notte molto lunga, gli interrogatori e i rimpatri sono iniziati da ieri sera, ma sporadici, invece da questa notte c’è stata un’invasione da parte degli attivisti dell’aeroporto del Cairo. Quindi l’aeroporto era gremito di persone e da lì hanno cominciato a ritirare i documenti, a prendere le persone, lasciarle sedute per terra per ore. E poi alcuni sono stati rimpatriati con dei pullman che li hanno portati in Turchia e poi in Italia. Altri sono stati spediti forzatamente immediatamente verso Roma. Abbiamo una delegazione che stava venendo al Cairo, bloccata a Vienna per lo scalo e gli abbiamo chiesto di tornare indietro. Abbiamo mosso parlamentari, si sta muovendo adesso l’ambasciatore italiano perché è stato allertato». Così Antonietta Chiodo, in un’intervista a Radio Onda D’Urto di questa mattina.

L’intenzione non è entrare nella Striscia di Gaza

In merito a quello che è stato pubblicato dal Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale, la Global March to Gaza tiene però a fare delle precisazioni. La marcia non ha mai avuto lo scopo di «trasportare aiuti via terra direttamente dentro la Striscia di Gaza», come scritto in un comunicato. L’idea è sempre stata quella di dare vita a una marcia pacifica, che non intende entrare nella Striscia e raggiungere Gaza, come non intende trasportare aiuti. Il programma prevede invece di raggiungere Al-Alrish, luogo turistico e di libero accesso, e da lì marciare a piedi per circa 50 km fino a raggiungere il valico di Rafah da cui passano pochissimi aiuti umanitari destinati alla popolazione palestinese stremata. Non verrà forzata alcuna barriera, coerentemente con lo spirito della iniziativa. Una missione di pace per chiedere la pace.

Cosa accadrà a Rafah?

Il tratto da Al-Arish è una zona militarizzata, impossibile da attraversare se non con permessi speciali. A oggi la carovana non ha questa autorizzazione, ma non forzerà la decisione del governo egiziano o dei militari ai checkpoint. Al momento non esiste una comunicazione ufficiale da parte delle autorità egiziane né sulle misure di sicurezza, né sull’autorizzazione alla marcia. C’è una certa apprensione per quello che potrà succedere, ma anche fiducia. Perché di recente il ministro degli Esteri egiziano, Badr Abdelatty, ha ribadito l’urgente necessità di un accesso illimitato e completo agli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza e ha condannato l’uso della fame come arma contro il popolo palestinese. Cosa potrebbe accadere, allora, una volta nei pressi di Rafah? Da fonti egiziane risulta che, dopo che è stata mandata la richiesta per l’autorizzazione alla marcia per tutte le delegazioni che parteciperanno, si è parlato di possibili conseguenze diverse. Di inserimento delle persone che arrivano al Cairo in una black list che non permette di rientrare nel paese, di rimpatrio per i partecipanti alla marcia, della possibilità che la marcia sia accompagnata dalle forze militari.

«Il governo egiziano ha mosso l’esercito. Vorrei ricordare che noi volevamo solamente fare una marcia pacifica, che comunque i colloqui con la diplomazia erano andati bene sino ad oggi» e «la diplomazia egiziana ha dichiarato che ci avrebbe accolti a braccia aperte quindi io penso che questa sia stata più che altro un’imposizione israeliana». Questi gli aggiornamenti a Radio Onda D’Urto dalla voce di Antonietta Chiodo.

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