SHADOW GAME: L’ODISSEA DEI BALCANI NON È UN GIOCO

Un viaggio, un “gioco”, tra ombre e pericoli della vecchia Europa: a fare da guida gli adolescenti fuggiti dai loro Paesi in guerra, in un racconto universale, una moderna Odissea. Lo racconta Shadow Game, in streaming su Open DDB

«Se attraversi una montagna e cadi muori. Se passi, vincerai. Per questo lo chiamo “il gioco”». Uno dei ragazzi lo chiama così, un gioco, fatto di vari tentativi, fino alla vittoria: varcare il confine ed entrare in Europa. A raccontarci la sua storia è SK, 15 anni, un volto pulito, fuggito dall’Afghanistan sette mesi prima che iniziasse questo racconto. È lui una delle nostre guide in Shadow Game, il progetto transmediale interattivo di Eefje Blankevoort ed Els van Drie, divenuto documentario (2021, 89’) e ora in streaming anche in Italia su Open DDB. È un documento imperdibile per vedere dal di dentro che cosa davvero significhi per tanti ragazzi, spesso giovanissimi, il viaggio attraverso i Balcani verso l’Europa. I protagonisti di questa storia cercano di attraversare i confini europei in cerca di protezione e di una vita migliore, viaggiano in un mondo di ombre che non vediamo mai. Si muovono tra campi minati, orsi, fiumi, contrabbandieri e guardie di frontiera. Il “gioco” è il termine amaro e ironico per indicare l’attraversamento delle frontiere, un modo di dire che è diventato comune tra questi giovani rifugiati che si muovono, anche più volte, lungo la Rotta Balcanica. È un “gioco” in cui si rischia la vita, un viaggio che può durare mesi o addirittura anni. Questi adolescenti lungo il percorso, crescono velocemente: non possono fare altro. Non possono né tornare indietro, né fermarsi. E spesso non possono neanche andare avanti.

Montagne, foreste ovunque e suoni di mostri

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Shadow Game è in streaming su Open DDB

Quello che rende speciale Shadow Game è che è un resoconto filmato in modo sperimentale: c’è un girato da documentario classico, ci sono delle testimonianze e video in formato social, le videochiamate ai cari lontani. Spesso la documentazione dei loro tentativi è girata in soggettiva, con le immagini in verticale dei loro cellulari. Spesso è una sorta di video diario in cui appaiono in prima persona, parlando verso la videocamera del loro telefono. Shadow Game in questo modo diventa un documento collettivo e interattivo sulle conseguenze della politica europea in materia di asilo. Ora che le recinzioni sono state erette in tutta Europa, chiedere asilo è diventato quasi impossibile. Se si superano i boschi, la neve, le intemperie, se si scalano le montagne spesso si incontra la spietata polizia di frontiera. E si è costretti a tornare indietro, e ricominciare un lungo viaggio, a piedi (ci vogliono anche sedici giorni a piedi per un viaggio di questo tipo). Dalla Grecia alla Macedonia del Nord, alla Serbia e alla Bosnia-Erzegovina, dall’Italia alla Francia e ai Paesi Bassi. Attraversando luoghi impervi e inospitali. «Montagne e foreste. Foreste ovunque e suoni di mostri».

Shadow game: provare, anche venti volte

A raccontarci questo viaggio sono loro, i ragazzi, in prima persona.  In Grecia, il quindicenne afghano “SK”, che vi abbiamo nominato prima, è solo all’inizio del suo viaggio. Durrab, 16enne pakistano, cerca di attraversare la doppia recinzione lunga 152 km al confine tra Serbia e Ungheria. L’iraniano Mo, il pakistano Yaseen, l’afghano Fouad e l’iracheno Mustafa hanno già provato innumerevoli volte e ora sono bloccati. In Bosnia-Erzegovina, il siriano Hammoudi, a 14 anni il più giovane di tutti, racconta il suo tentativo di superare l’”ultimo livello”. Nello stesso campo, i fratelli Jano (18 anni) e Shiro (15 anni), dalla Siria, si preparano per la loro mossa finale. Nel frattempo, a Ventimiglia, Faiz (17 anni), proveniente dal Darfur, è in dubbio se tentare ancora una volta di attraversare la Francia. Ci ha provato qualcosa come venti volte.

 Ci vorrebbe la “porta ovunque” di Doraemon

Doraemon, il cartone animato che uno dei ragazzi guardava a casa della nonna, era un personaggio che aveva una porta, la “porta ovunque”. Bastava immaginare un posto e la porta ovunque ti faceva andare là. Ci vorrebbe la porta ovunque per andare in Europa, pensa, sognando, uno dei ragazzi. Mo, 17 anni, e fuggito dall’Iran ed è bloccato in Grecia da 2 anni. Racconta che, nel viaggio dalla Macedonia alla Serbia, delle persone lo hanno preso a bastonate e gli hanno tolto tutto. Nei campi, in Grecia, non danno cibo ma solo 50 euro al mese. Così è costretto a fare scelte illegali come prostituirsi, mentre vorrebbe solo andare a scuola. Mohamed, 14 anni, fuggito dalla Siria 10 mesi fa, stava camminando in una foresta quando è arrivato un aereo. Lui e i suoi compagni di viaggio si sono nascosti, ma sono stati intercettati da binocoli termici. La notte diventa giorno con le luci che vengono dirette su di loro. Lo fotografano, gli dicono «sorridi» mentre sta piangendo: ha camminato per 16 giorni. Gli chiedono quanti anni ha: «14». «No, ne hai 20». «Perché devo dire che ne ho 20 se ne ho 14?» Lui e gli altri ragazzi vengono riaccompagnati in Bosnia. Fuori fa freddo, e in macchina mettono l’aria condizionata, fredda, perché il viaggio non sia troppo confortevole.

Sono giovanissimi, poco più che bambini

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SK, 15 anni, vicino le Croatian mountains

I ragazzi lo chiamano il “gioco”, per la sua aleatorietà, per quel senso di dentro o fuori, per quel puntare tutto, e vincere o perdere. Ma non è affatto un gioco, ci sono in ballo delle vite. Lo chiamano così per un senso di ironia, per esorcizzare le paure, per darsi coraggio, per farsi beffe della loro condizione, la loro vita appesa a un filo. Colpisce, sconvolge, devasta il fatto che siano giovanissimi. Poco più che bambini che dovrebbero essere a scuola, a fare sport, a uscire con le ragazze. E colpisce il fatto che vivano e raccontino la loro condizione con un sorriso, con una sorta di disincanto. Non si scoraggiano. Ci provano e ci riprovano, vengono rimandati indietro e ripartono. Anche quattro, cinque volte. Anche venti. Allo stesso tempo ci fanno una profonda tenerezza, ma ci stupiscono per il loro coraggio, la loro forza interiore. La vita nei loro paesi è talmente impossibile che tornare indietro non è un’opzione. Faiz 17 anni, fuggito dal Sudan, sogna di andare in Inghilterra, studiare. E tornare in Darfur, e governarlo, un giorno, come presidente.

Veniamo dalla morte e camminiamo verso la morte

«Veniamo dalla morte e camminiamo verso la morte». «Sto dormendo in una foresta circondata da mostri. Vogliono tutti mangiarsi a vicenda. Quello grande mangia quello piccolo. Una persona accoltella un’altra con un coltello. Sono terrificanti. Io sono un bambino e loro sono tutti adulti». Lungo il racconto di Shadow Game l’ironia lascia spazio alla paura, e a racconti terrificanti. Vediamo fili spinati, recinzioni elettriche. A volte vediamo anche le percosse dei poliziotti, in una ripresa da lontano fatta con un telefono. Vediamo i segni delle botte sul corpo dei ragazzi, alla fine del film. I migranti vengono picchiati con bastoni, colpiti con scosse elettriche. Viviamo con loro quel senso di frustrazione, l’impossibilità di andare avanti e di tornare indietro, di ricongiungersi con la famiglia, di ritrovare un fratello o di aspettare che partano la propria madre e la propria sorella. E intanto, nel tentativo di oltrepassare il confine, passano mesi, anni. I ragazzi mentono alle proprie famiglie e dicono che fisicamente sono in forma, che vivono una vita felice. Ai fratelli, che chiedono delle foto, dicono che non hanno dei telefoni abbastanza buoni per farle.

Una partita a scacchi contro un avversario troppo forte

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Hammoudi, 14 anni, siriano, in Bosnia Herzegovina

Questo tentare di superare il confine è un Risiko, una partita a scacchi contro un avversario troppo forte, che, al contrario di te, conosce la scacchiera. Un videogame che, finite le “vite”, ti fa ricominciare da capo. Le storie che venivano raccontate con un sorriso ironico spesso lasciano spazio al pianto. E un briciolo di speranza. In Slovenia, finalmente, vediamo un’altra atmosfera. Ci è arrivato Shiro: dice che prenderà il treno. Passerà per l’Italia e poi la Francia, i Paesi Bassi. «Finalmente ho trovato un po’ di pace» dice. Mostra i piedi, con le unghie blu e nere, o perse durante l’attraversamento nella neve. «Non ci saranno più tentativi di viaggio, qui è dove mi sistemerò». Feiz, dopo 20 tentativi, ha attraversato il confine francese, ma ora vuole arrivare in Inghilterra. Alcuni di questi ragazzi hanno raggiunto la loro destinazione. Altri sono ancora bloccati sui confini europei. Le loro vite continuano. E potete seguite gli aggiornamenti sul sito di Shadow Game.

SHADOW GAME: L’ODISSEA DEI BALCANI NON È UN GIOCO

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