TUTTO QUELLO CHE SARÀ: VIAGGIO NELL’ITALIA CHE RESISTE

Premio Terzo Settore al Festival della Cinematografia Sociale, il documentario “Tutto quello che sarà” nasce dal Girasoli Tour, viaggio in bicicletta nel tessuto sociale di 13 regioni italiane. Ieri anche a Roma per il Premio Borsellino

L’Italia del Terzo Settore è un territorio invisibile, ma fondativo. Spesso si trova in provincia, in un’Italia altrettanto nascosta. L’esplorazione di quel territorio ha richiesto a Renato Chiocca 3.500 chilometri e un mese e mezzo di viaggio che ha toccato 13 Regioni, sempre in bicicletta. Il risultato è Tutto quello che sarà, documentario che restituisce un’istantanea di uno dei pilastri del tessuto sociale più profondo del Paese. Uno di quelli che, a ben vedere, lo tiene insieme.
Nella motivazione del premio Terzo Settore, al Festival Internazionale della Cinematografia Sociale Tulipani di Seta Nera 2023 c’è tutto il Girasoli tour: “Un viaggio in bici nell’Italia che resiste, empatica e innovativa”, che Dennis Luccarelli, 15 anni, ospite della comunità educativa di Roccagorga (Latina), intraprende con Massimiliano Porcelli, presidente della cooperativa Utopia 2000 e suo educatore. Quasi settanta minuti, raccontati con poesia e passione da Renato Chiocca, che ne firma magistralmente la regia.

 Un premio quello del Terzo Settore che non c’era. È stato coniato per questo documentario?

Tutto quello che sarà
Tra le prossime tappe del Girasoli Tour divenuto film Milano, Grosseto, Roma, Ponza, Ventotene, Latina, Lecce, Matera.

«In effetti sì, immagino perché sia stato ritenuto particolarmente interessante per l’argomento. Questo premio è stato il vero battesimo del film e dobbiamo ringraziare il regista Gianfranco Pannone, direttore artistico della sezione documentari del Festival. Ma questa è stata solo una delle cose, una delle tante che stanno accadendo intorno a Tutto quello che sarà».

 Per Massimiliano Porcelli il Girasoli tour si svolge in bici perché più rappresentativo della fatica di chi si va a incontrare. Questo ha scandito i tempi del documentario?
«Il percorso del Girasoli Tour, che è alla base di Tutto quello che sarà, è stato definito sui chilometri, una media di un centinaio al giorno, quelli che si potevano fare in bicicletta. Ben 3500 in un mese e mezzo circa. Un giro cadenzato sulle distanze possibili pedalando, mantenendo un ritmo e affrontando la fatica.  Prendendosi però anche dei tempi, perché cento chilometri al giorno con i ritmi di oggi è rallentare, frammentare il percorso. Soffermarsi su quegli spazi, su quelle realtà di provincia poco raccontate.  Dare voce a un Paese un po’ nascosto, non sensazionalistico, a storie solitamente non in primo piano. La sfida della fatica, ma anche il privilegio della lentezza, una tappa alla volta».

 Come è nata l’idea del documentario?
«Il Girasoli tour si proponeva di guardare a realtà che potessero essere propositive dal punto di vista economico e occupazionale, mettendo al centro le persone. Per Massimiliano Porcelli e Utopia 2000, l’intento non era raccontarsi, piuttosto riconoscersi nei progetti che avrebbero visitato. Disegnato l’itinerario e definite le tappe, hanno deciso di regalare a Dennis la possibilità di un viaggio, un premio per aver tenuto fede a tutti i suoi impegni scolastici nell’anno della pandemia e per aver dimostrato un percorso di autonomia. La proposta del documentario è venuta da Utopia 2000 e, nel momento in cui ho accettato, si sono affidati completamente».

 Conosceva già Utopia 2000?
«Massimiliano Porcelli aveva visto il documentario Nanga Parbat- La montagna nuda, che ho realizzato con Daniele Nardi, (alpinista di Sezze, scomparso nel 2019 ndr) durante la sua prima spedizione al Nanga Parbat del 2008. Gli era piaciuto molto proprio per la non sensazionalità, per il racconto intimo dell’impresa, del paesaggio e degli incontri. Così mi ha detto: “Se sei arrivato fin sull’Himalaya, a 4000 metri di altezza con Daniele Nardi, sono sicuro che puoi affrontare 3.500 chilometri con noi in giro per l’Italia e cercare di dare il tuo punto di vista” ».

 E come avete lavorato insieme?
«La mia idea non era di raggiungere un posto e andar via, ma di cercare di incontrarle veramente queste persone e di comprenderne le motivazioni. Dietro ad ogni progetto che abbiamo visitato, ci sono storie, pratiche ed esperienze che abbiamo cercato di vivere attraverso l’incontro, mettendoci in ascolto, immergendoci nel lavoro, con discrezione, cercando poi di capire quanto di questo arrivasse a Dennis durante il suo di viaggio. Lo sguardo verso l’esterno che offriva il Girasoli Tour, attraverso il film, è diventato un racconto di formazione, uno sguardo verso l’interno».

 Un racconto che tocca diversi piani.  Il territorio, il terzo settore, quello personale di Dennis che, con la fatica, mette a fuoco diverse cose…

Tutto quello che sarà
Dennis Luccarelli, Renato Chiocca e Massimiliano Porcelli

«Lo dice lui stesso: “Mi voglio allontanare, senza sentire nessuno e stare bene.” Lo dice nella sua semplicità. Quindi, sì, la sfida era proprio questa: conciliare uno sguardo non poco ambizioso sull’Italia del sociale, sulle buone pratiche del terzo settore, con l’esperienza di crescita che può dare un viaggio del genere ad un adolescente».

 Un viaggio da condividere con altri giovani…
 «Tutto quello che sarà fa riferimento a tutto quello che l’Italia sarà, tutto quello che diventerà Dennis, così come i ragazzi della sua età, come altri adolescenti. Le scelte da fare e le possibilità di scelta. Il film ha tra le ambizioni quella di raccontare come, per i ragazzi in fase di formazione e in cerca di un’occupazione dopo la scuola dell’obbligo, le realtà del sociale siano professionalmente una possibilità. Un mondo del lavoro che non si conosce e che è spesso soggetto a pregiudizi. Perché non si crede che nel sociale si possa fare impresa e creare posti di lavoro. Le realtà che abbiamo visitato e raccontato parlano anche di questo: opportunità virtuose per le persone e i territori. Ecco, l’idea era che Dennis potesse offrire un punto di vista in cui i suoi coetanei potessero riconoscersi».

In Tutto quello che sarà emergono diverse realtà territoriali, che raccontano una geografia non omogenea.
«È quello che abbiamo incontrato. Nel nord est, ad esempio, abbiamo riscontrato che il sociale, oltre ai servizi, offre anche possibilità di sperimentazione, mischiando più ambiti. Penso a Coriandoline, a Correggio (RE), una cooperativa di abitanti che si occupa di costruzioni per l’edilizia, che ha realizzato un quartiere in co-progettazione con i bambini. Oppure a Fidenza, il condominio ECOSOL di co-housing dove, a un edificio a piena sostenibilità energetica, si associa un’idea dell’abitare condivisa, con spazi comuni e una luce che lega le persone. Realtà diverse al sud, anche per la carenza di servizi. Penso all’associazione l’Abbraccio di Salerno, che sostiene più di 300 famiglie attraverso una mensa pubblica e la spesa quotidiana. Oppure la cooperativa Le Lazzarelle, che attraverso il lavoro con le detenute nelle carceri di Napoli offre un percorso di riscatto anche da un punto di vista professionale, come si vede nel loro bistrot, che abbiamo visitato nella Galleria Principe di Napoli. Poi, la cooperativa sociale Michea, a Vasto, in Abruzzo. Una realtà che associa un percorso di occupazione di persone con disabilità, a uno d’integrazione lavorativa per ex detenuti. Ciò non toglie che ci possano essere casi analoghi e inversi, ma questo è quello che abbiamo visto nella nostra piccola esperienza».

 Un aspetto portante della società, quindi.
«È un tramite. Me ne sono reso conto sia nella mia esperienza personale ma, soprattutto, grazie alle oltre quaranta storie che abbiamo raccontato. I territori esprimono delle necessità e le istituzioni non sempre riescono a dialogare con loro. Cercando di intercettare singolarmente queste necessità, le associazioni, le cooperative, ma anche le libere iniziative d’impresa che cercano di mettere al centro le persone, fanno da ponte per dei percorsi occupazionali, colmano questo gap».

 Emerge anche un altro modo di relazionarsi tra persone e con la natura.

Tutto quello che sarà
«Tutto quello che sarà fa riferimento a tutto quello che l’Italia sarà, tutto quello che diventerà Dennis, così come i ragazzi della sua età»

«Un viaggio in bicicletta ti mette nelle condizioni di essere a contatto con la natura e, nel film, questo emerge anche attraverso i rumori, la relazione con gli animali, il paesaggio, che abbiamo cercato di raccontare senza invaderlo, mettendo in relazione le persone con gli ambienti circostanti. Durante il viaggio abbiamo incontrato Stefano Zamagni, un’autorità per l’economia civile in Italia, che ci ha raccontato come l’economia dominante spesso esclude le relazioni tra le persone, che possono, invece, avere un valore economico, non speculativo, sostenibile per le comunità, soprattutto per le più piccole. Certo, non si può vivere di solo sociale o di solo terzo settore, ma neanche di sola speculazione. Una delle possibilità è mettersi in ascolto delle esigenze delle persone: di cosa c’è veramente bisogno? quanto un ragazzo adolescente, in una casa famiglia, si sente solo e quanto ha bisogno di incontrare le altre persone? e quanto ognuno di noi ha lo stesso bisogno? Che poi questo possa anche essere una proposta lavorativa sta alle declinazioni di chiunque decida di creare, come molti di quelli che abbiamo incontrato, una realtà produttiva. C’è una storia a Ventotene, un esperimento che ha realizzato proprio Utopia 2000: la compresenza in un’unica struttura di una casa alloggio per anziani e di una per mamme con bambino. Significa che gli anziani hanno bisogno di convivere con i bambini. C’è bisogno di questo dialogo generazionale, anche per sentirsi meno soli»

 Per Michele Ammendola, fondatore di Porta Pazienza, al quale avete dedicato il documentario, la criminalità organizzata va combattuta mortificando l’io ed esaltando il noi.
 «Michele Ammendola ha realizzato una realtà economica, utilizzando una rete di produzioni che mette al centro le persone. Fare questo in un quartiere come il Pilastro di Bologna, diventa un’opportunità di emancipazione. L’incontro con Michele è stato molto bello. Una persona incontenibile. Ci raccontava, in quei giorni, che finalmente era riuscito a comprare questo camper per portare le pizze per la città. Perché, con Porta Pazienza poteva girare per il territorio e continuare il dialogo con Bologna. Quando nel gennaio 2022 Michele è venuto a mancare, abbiamo sentito il dovere di dedicargli il film, perché in qualche maniera lui lo sintetizza. La sua scomparsa ha fatto riverberare maggiormente certi echi. Forse perché queste realtà sono legate alle persone, ed è importante che si lasci un’eredità che sia portata avanti da altri. Che il loro lascito possa essere un esempio attraverso il quale vivere meglio il luogo in cui si abita».

 Da dietro una macchina da presa, cosa l’ha emozionata maggiormente?

Tutto quello che sarà
Un momento di dibattito prima della proiezione ieri a Roma nell’ambito di eventi a Fontana, Premio Borsellino. Foto Girasoli Tour

«Io questa distanza cerco sempre di colmarla e di entrare i contatto con chi ho l’opportunità di raccontare. Il processo creativo di un film è sempre molto complesso. Soprattutto in un documentario, perché non c’è un percorso di scrittura in solitaria, ma si cerca di rimanere aperti a quello che s’incontra. Forse proprio i legami che si sono creati tra la troupe e con Massimiliano e Dennis. Abbiamo capito di aver fatto un percorso insieme. Ed è stato una cosa di cui mi sono sentito addosso la responsabilità, perchè ho incontrato decine e decine di persone che ci hanno dato fiducia senza neanche sapere come sarebbero state raccontate. E ora abbiamo il dovere di restituire le storie attraverso il documentario, continuare il viaggio. Sono contento che, nonostante si sia raccontata un’Italia in difficoltà, in uscita dal Covid, con problemi occupazionali, esistenziali, e nonostante si siano raccolte le storie tragiche di chi ha vissuto lutti o percorsi di detenzione, il film resti profondamente estivo, che ci siano i colori dei girasoli, che la luce che abbiamo incontrato, in qualche modo, si riverberi nelle persone. Che mostri come si cerca la risoluzione ai problemi affrontando la quotidianità e non si perde la fiducia in una possibilità di riuscita che, forse, sta proprio nell’incontro. Mi auguro che, nel vedere queste storie, ci siano persone che possano pensare ad altri progetti, in altre regioni d’Italia, in altre realtà che non abbiamo visitato e che, magari, non conosciamo neanche».

 Le musiche scandiscono i tempi e le emozioni. Sono state pensate per il film?
«La colonna sonora originale è stata realizzata da Emanuele Colandrea, un cantautore di Giulianello, in provincia di Latina. Mentre eravamo in montaggio è uscito il suo disco Belli dritti sulla schiena, mi sembrava un’immagine molto vicina all’esperienza che avevamo vissuto. Da lì la proposta di comporre le musiche per il film, un’esperienza nuova per lui. Siamo partiti dalle sonorità di Credo, l’unico brano del suo album che abbiamo utilizzato nei titoli di coda, e abbiamo elaborato altre tracce da distribuire per il film, non solo pezzi acustici, c’è il pianoforte, c’è l’elettronica, un lavoro composito e stratificato, ma leggero, che contribuisce a dare luce anche dal punto di vista musicale».

 Nel film si vedono i protagonisti esultare per la vittoria dell’Italia agli europei. Un’immagine che che colloca il racconto in un momento di storia sociale.
«È l’estate 2021, quella in cui la nazionale azzurra ha vinto i Campionati Europei di calcio. È l’Italia che ce la può fare in Europa. È un’opportunità, un momento di grande condivisione nel film, forse quello in cui c’è il massimo legame tra loro. Dopo il quale però Dennis si stanca e non ce la fa più. Entra in crisi il suo percorso. Certo, l’universalità di quella visione dell’Italia passa anche da quel particolare momento, da quell’esultanza, da quel sentimento».
E intanto il Girasoli Tour, diventato film, continua il suo viaggio. Tra le prossime tappe Milano, Grosseto, Roma, Ponza, Ventotene, Latina, Lecce, Matera.

 

 

TUTTO QUELLO CHE SARÀ: VIAGGIO NELL’ITALIA CHE RESISTE

TUTTO QUELLO CHE SARÀ: VIAGGIO NELL’ITALIA CHE RESISTE