FINANZIARE LA PACE, NON LA GUERRA

In occasione del vertice NATO a Vilnius, Greenpeace Italia, Sbilanciamoci e Rete Italiana Pace e Disarmo insieme per chiedere uno spostamento delle risorse destinate all’ambito militare verso impieghi di natura civile più urgenti

Qualcuno ancora si occupa di preparare la Pace! E lo fa con gli strumenti della ricerca, della conoscenza e della divulgazione di notizie, ufficiali, che spesso non evidenziano la propria portata, ma che lette in maniera prospettica, rivelano la persistenza di scelte controproducenti in termini di sicurezza e distruttive in termini ambientali. Con una conferenza stampa, che si è svolta al Senato il 12 luglio, Greenpeace Italia, la Campagna Sbilanciamoci e la Rete Italiana Pace e Disarmo hanno rilanciato la richiesta di uno spostamento delle risorse attualmente destinate all’ambito militare verso impieghi di natura civile più urgenti, utili ed efficaci e hanno presentato, in contemporanea al Vertice Nato di Vilnius, il dossier “Ridurre le spese militari per affrontare i veri problemi globali: guerre, disuguaglianze, crisi climatica” che ha dato importanti dati e raffronti su come l’aumento delle spese militari non sia un elemento né di sicurezza né di garanzia e costituisca al contrario un ostacolo allo sviluppo della transizione ecologica e al contrasto al riscaldamento globale.

Più armi non ci rendono più sicuri

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Vignarca: «I fondi che potrebbero essere utilizzati per mitigare o invertire il dissesto climatico e per promuovere la trasformazione pacifica dei conflitti vengono spesi per militarizzare un mondo già troppo militarizzato»

La voce di Sofia Basso, Unità investigativa Greenpeace, è stata netta: «Negli ultimi dieci anni, la spesa militare mondiale è cresciuta del 9,3 per cento, ma il livello di conflittualità è aumentato del 6,5 per cento, mentre il tasso di sicurezza è sceso del 2,5 per cento. Più armi, evidentemente, non ci rendono più sicuri». Ma nonostante questa consapevolezza, la risposta all’invasione russa dell’Ucraina è stata la corsa al riarmo, sebbene i dati dell’Uppsala Conflict Data Program abbiano registrato almeno 237mila persone morte a causa della violenza organizzata nel 2022, un dato che rappresenta un aumento del 97% rispetto all’anno precedente e segna il più alto numero di morti dal genocidio del Ruanda nel 1994. E con un numero totale di conflitti mai così alto vale la pena ripeterlo: più armi, evidentemente, non ci rendono più sicuri. Il volontariato è interessato e coinvolto da queste scelte perché è attivo nel lenire le conseguenze umane e sociali che esse producono, con il moltiplicarsi di conflitti locali, fomentati dal commercio di armi spesso in contrasto con quanto previsto dalla Legge 9 luglio 1990 n. 185 sul commercio di armi, che acuiscono la sofferenza e provocano la migrazione di intere popolazioni, dimenticate e vessate in patria e nei percorsi migratori e alle quali, se pur riescono a rifugiarsi in Europa, non vengono offerte né adeguate misure di accoglienza né opportuni programmi di inserimento. Drammatico è infatti l’aumento di spesa nel settore militare se si pensa a cosa questo impedisce oltre a quanto de-genera: «Nonostante i Governi continuino a ripetere che sono spese utili per la difesa, alla fine le spese militari ci renderanno indifesi di fronte alla minaccia esistenziale rappresentata dalla crisi climatica. I fondi che potrebbero essere utilizzati per mitigare o invertire il dissesto climatico e per promuovere la trasformazione pacifica dei conflitti, il disarmo e le iniziative di giustizia globale, vengono invece spesi per militarizzare un mondo già troppo militarizzato», sottolinea Francesco Vignarca della Rete Pace Disarmo.

Potenziare le politiche per la pace

È questa la prospettiva da cui prendono le mosse le considerazioni e le proposte della Controfinanziaria della Campagna Sbilanciamoci: la guerra in Ucraina ripropone la necessità del potenziamento delle politiche per la pace, la sicurezza, la cooperazione internazionale. Rafforzando la prevenzione dei conflitti e dando centralità ad organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite e e l’OSCE. «Siamo contrari a portare al 2% del PIL la spesa militare e anzi sosteniamo tutte le iniziative che vadano verso la riduzione del 20% degli investimenti in sistemi d’arma, proponendo altresì una moratoria su tutte le nuove iniziative programmate», dichiara il portavoce di Sbilanciamoci Giulio Marcon. «Sosteniamo tutte le iniziative che vadano nella direzione della riconversione dell’industria militare verso produzioni civili e il totale rispetto della Legge 9 luglio 1990 n. 185 sul commercio di armamenti verso altri Paesi. Vanno rafforzati gli investimenti e gli stanziamenti per il servizio civile e i corpi civili di pace ed è necessaria l’approvazione, con adeguati finanziamenti, della legge per la difesa civile e nonviolenta, tutti strumenti volti a dare sostanza all’idea dell’adempimento degli articoli 52 e 11 della Costituzione nella direzione del rifiuto della guerra e dell’adempimento del dovere di difesa della patria attraverso metodi nonviolenti».

Giovani per la Pace

Anche in questo caso, le riflessioni e le esperienze che le organizzazioni di volontariato aderenti alla rete Giovani energie di Cittadinanza costruiscono ogni anno con le centinaia di giovani accolti e formati nel Servizio Civile Universale rafforza l’urgenza di un rinnovato investimento nelle pratiche civili di pace che possano sostenere e convincere fasce sempre più estese di opinione pubblica a una diversa narrazione sull’ineluttabilità dell’approccio bellicista. Che viaggia a braccetto con una posizione negazionista della necessità di una concreta transizione ecologica. Greenpeace calcola infatti che il 64 % dei fondi delle Missioni militari italiane è destinato alla tutela delle fonti fossili: circa 830 milioni di euro. Un impegno militare ed economico importante, deliberato anno dopo anno, senza un vero dibattito pubblico sugli interessi nazionali che il nostro Paese è chiamato a difendere. Greenpeace Italia ha chiesto dunque a Governo e Parlamento di smettere di proteggere militarmente asset e interessi dei principali responsabili della crisi climatica, una proposta appoggiata anche da Rete Italiana Pace Disarmo e Sbilanciamoci.

Le richieste

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Aspetto centrale della smilitarizzazione delle politiche pubbliche riguarda la smilitarizzazione delle scuole. Foto Rete italiana Disarmo

Le tre organizzazioni si uniscono infine nel rilanciare le richieste urgenti ai Governi di tutto il mondo formulate dalla Campagna GCOMS, come ricordato in un messaggio video anche da Quique Sánchez Ochoa dell’Ufficio di coordinamento della Global Campaign On Military Spending: cambiare rotta e concentrarsi su tagli rapidi e profondi alle spese militari, che alimentano la corsa agli armamenti e la guerra; smilitarizzare le politiche pubbliche, comprese quelle destinate ad affrontare la crisi climatica; attuare politiche incentrate sull’umanità e sulla sicurezza comune, che proteggano le persone e il pianeta e non l’agenda del profitto delle industrie delle armi e dei combustibili fossili; creare strutture di governance e alleanze basate sulla fiducia e la comprensione reciproca, sulla cooperazione e sulla vera diplomazia, in cui i conflitti vengono risolti attraverso il dialogo e non con la guerra.

Smilitarizzare le scuole

Aspetto centrale – da sottolineare – della smilitarizzazione delle politiche pubbliche riguarda la smilitarizzazione delle scuole perseguito dall’Osservatorio e da una campagna promossa da Azione Nonviolenta  per evitare che la scuola divenga un territorio di proselitismo per una distorta promozione del pensiero bellicista, che con uno slittamento concettuale presenta l’apparato militare nei suoi aspetti di utilizzo civico, deprezzando l’azione volontaria e civile di tanti cittadini che si attivano sui fronti più disparati e rivendicando all’apparato militare quella “capacità operativa” che può essere tranquillamente costruita in maniera più dialogata, meno dirigista e soprattutto ridando al dialogo e al confronto democratico il suo primato, visto che, recuperando, nel centenario dalla nascita, il motto di Don Milani: “l’obbedienza non è più una virtù”.

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