SALUTE. IN CARCERE SI PUÒ FARE PREVENZIONE ED EDUCARE ALLA CURA DI SÈ

Daniela De Robert racconta il progetto "Francesco Marabotto" di Vic e Komen Italia per la prevenzione del tumore al seno

Dopo due anni di lavoro e tavoli di discussione, è partito finalmente il progetto “Francesco Marabotto” per la salute in carcere, che offre la possibilità a tutte le donne che sono detenute nella Casa Circondariale femminile di Rebibbia di effettuare mammografie ed ecografie, senza che vengano spese cifre folli per portarle in una struttura sanitaria esterna, estendendo le attività educative e di prevenzione anche al personale femminile di polizia penitenziaria e amministrativo dell’Istituto.
Nato da un’idea proprio di Francesco Marabotto, il caporedattore Ansa scomparso nel 2014 specializzato nell’informazione medico-scientifica che collaborava con l’associazione VIC Onlus (Volontari in Carcere), questo progetto è partito il 20 Novembre 2015 con delle giornate di orientamento e sensibilizzazione al problema dei tumori mammari. Il 1 e 2 Dicembre, invece, sono state le date che hanno visto la Vic e l’associazione Susan G. Komen Italia, partner essenziale sul piano pratico, agire direttamente sul campo con personale medico e un’unità mobile dove effettuare gli esami. La scelta del reparto femminile del carcere non è stata fatta a caso, poiché le 300 donne detenute, oltre alle 150 che vi lavorano, confermano Rebibbia come il più grande istituto femminile in Europa.

Komen_unità_mobile
L’unità mobile fornita da Komen Italia

Abbiamo avuto la possibilità di parlare direttamente del progetto con Daniela De Robert, giornalista Rai, vedova di Marabotto ma in primo luogo presidente Vic, raggiunta telefonicamente a conclusione delle due giornate di prevenzione sul campo, proprio per offrirci un contributo complessivo di quanto svolto.

Signora De Robert, ci racconti innanzitutto la genesi di questo progetto. 
«L’idea fu di mio marito Francesco il quale, collaborando con Vic, ha trasferito la sua professionalità e la sua passione per la salute delle persone in un progetto di volontariato per dare cure mediche anche ai detenuti. L’ASL RMB ha quasi subito sostenuto il progetto, così come la direttrice del carcere. L’ingresso in campo al nostro fianco della Komen ha fatto il resto, tuttavia ci sono voluti ben due anni per avviarlo. Ne siamo comunque felici».

Ecco, nello specifico come vi siete divisi i compiti con Komen nell’operare nella struttura di Rebibbia?
«Vic lavora attivamente nella struttura sia maschile che femminile di Rebibbia, con oltre 100 volontari dell’associazione, abbiamo dunque gestito la parte istitutiva del progetto fornendo corsi di formazione ed educazione ai detenuti, parlando con le persone giuste per attivare il piano salute e facendo comunicati stampa. La Komen si è invece occupata di tutta la parte pratica del progetto, fornendo al carcere l’unità mobile di prevenzione, le attrezzature e il personale medico e paramedico per le donne interessate a fare lo screening. Se c’è in fase di diagnosi l’emergenza d’intervenire, si occupano loro delle eventuali ulteriori cure che una donna malata necessita».

Veniamo proprio al capitolo finanziamenti. Come sono stati ripartiti i costi dell’operazione? 
«Il progetto ha avuto una forte spinta economica da Komen che, ripeto, ha messo in campo personale e mezzi che altrimenti avrebbero avuto un costo altissimo per noi di Vic. La nostra parte economica è stata svolta a monte, con l’aiuto dei nostri volontari nel carcere in grado di diffondere con dei corsi la nostra missione di prevenzione. Le giornate organizzate intorno al 20 Novembre ci hanno dato infatti la possibilità di rompere il ghiaccio, farci conoscere ma soprattutto di fare breccia nell’indifferenza di molte detenute. Grazie al lavoro dei nostri volontari, abbiamo avuto un’adesione di oltre il 50% tra le donne detenute che hanno effettuato lo screening».

Personale medico al lavoro
Salute in carcere: prevenire ed educare si può

Ci racconti appunto queste due giornate appena concluse. Che impressioni ha avuto?
Il 1 Dicembre, noi con Komen ci siamo presentati con una squadra ben nutrita, composta da ecografi, radiologi, volontari e infermieri. Ovviamente non sapevamo come muoverci e abbiamo avuto qualche problema logistico, ma poi la giornata di prevenzione è partita. Ho provato una bella emozione nel realizzare che in quel momento eravamo proprio nel cortile interno del carcere. Abbiamo visitato ben 110 donne solo nel primo giorno, tante delle quali ci hanno ringraziato di cuore. Abbiamo ricevuto anche visite di tante indecise ma, grazie alla dolcezza e alla disponibilità del personale, la maggior parte di loro ha poi fatto lo screening. Il 2 Dicembre è ovviamente andata meglio, anche perché l’unità mobile era già lì e sapevamo come muoverci. Sono venute circa 45 donne, molte delle quali non avevano precedentemente dato adesione allo screening, ma anche tante di etnia straniera, comprese Rom. Tutte donne che fuori da Rebibbia, con tutta probabilità, non avrebbero mai fatto una visita per prevenire il tumore al seno».

Sembra sia stato un bel successo. Ora le chiedo quali sono gli obiettivi a breve e lungo termine per questo progetto?     
«Abbiamo in programma di attivare altre collaborazioni sanitarie. Per esempio c’è già in piedi un discorso avanzato con il reparto oncologico del Policlinico Pertini, ospedale dove già operiamo con i volontari Vic nel “reparto sanitario sorvegliato”, e un altro progetto in discussione con gli IFO per estendere, con le ASL di riferimento, una prevenzione medica a tutto tondo per i detenuti. Vorremmo ad esempio organizzare anche delle consulenze di nutrizionisti ed esperti di alimentazione».

Che risonanza vorrebbe che il progetto avesse in futuro.
«Vorremmo che questo progetto per la salute in carcere si estendesse anche ad altri carceri femminili. Parlando con Komen Italia, poi, vorremmo che alla prossima Race For The Cure da loro organizzata partecipassero anche delle detenute di Rebibbia in permesso con l’art.21. L’obiettivo convogliato da queste donne che corrono potrebbe sviluppare un pensiero nelle altre detenute: che anche loro hanno un futuro e hanno diritto a un futuro in salute. Dando così l’idea del carcere come occasione di crescita e di cambiamento anche rispetto al proprio corpo e alla sua cura, all’attenzione a sé e agli altri nella gestione della salute.

SALUTE. IN CARCERE SI PUÒ FARE PREVENZIONE ED EDUCARE ALLA CURA DI SÈ

SALUTE. IN CARCERE SI PUÒ FARE PREVENZIONE ED EDUCARE ALLA CURA DI SÈ