SOSTEGNO ALLE FAMIGLIE: È DIFFICILE COLLABORARE CON I SERVIZI TERRITORIALI

Si chiama Family care il progetto di Nessuno Luogo è Lontano per le famiglie in difficoltà. Ma fare rete è difficile

Eppure si fa fatica. Il progetto è bello e di grande utilità, considerati i tempi di disgregazione sociale e di conflitti diffusi. Ma gli operatori del progetto ci parlano di un’enorme fatica per farsi ascoltare dalle scuole e farsi prendere in seria considerazione. È il pensiero di Elisa Pandolfo, responsabile del progetto Family Care,
promosso dall’associazione Nessun Luogo è Lontano ), e viene realizzato con un contributo della Regione Lazio ed in collaborazione con i Municipi VIII, XI e la Croce Rossa Italiana-Comitato Provinciale di Roma. Un territorio dunque che si trova a sud ovest della capitale, 135mila e 180mila abitanti rispettivamente, con tante comunità di stranieri in zona.

 Un sostegno psico-sociale ed educativo

Una proposta progettuale che è stata presentata nel migliore dei modi. Sono stati già contattati 11 Istituti Comprensivi nei territori di riferimento, per un totale di 54 scuole tra materne, elementari e medie. Con i servizi sociali territoriali è stata avviata l’azione di rete per la segnalazione dei casi interessati al percorso di sostegno. «Genitori assenti o in difficoltà a seguire i figli? C’è bisogno di un sostegno? Le comunità di riferimento si fanno carico di questi problemi? Spesso le discussioni aperte e animate non trovano facili risposte: che forse non ci sono. Ma c’è anche chi s’impegna a dare risposte concrete». La premessa. E quindi l’offerta, spiegata certo, a chi di dovere in forma ufficiale e qui in parole “povere”: «È il caso di Family Care, un servizio di sostegno psico-sociale ed educativo finalizzato al reinserimento sociale dei nuclei familiari con difficoltà di relazione e a rischio di disagio sociale residenti nel territorio».
Se non fosse sufficientemente chiaro, qualche parola in più affonda il dito nella piaga:  «Un intervento di natura psico-sociale e di mediazione dei conflitti – da effettuare in rete con i servizi sociali dei Municipi aderenti – per scongiurare i pericoli di una possibile disgregazione familiare ed affettiva che spesso coinvolge i figli, minori e non».
Il tutto partendo dall’esperienza associativa nella quale, attraverso il lavoro quotidiano, si riscontra «un forte indebolimento delle funzioni genitoriali, uno smarrimento che causa disorientamento nei giovani, con particolare riferimento anche alle famiglie straniere».

Collaborazioni difficili

«Per questo motivo “Family Care” prende in considerazione tutte le dinamiche legate alla problematica familiare: dinamiche intergenitoriali, rapporti genitori-figli, promozione del ruolo interfamiliare e extrafamiliare dei figli (soprattutto in famiglie straniere). Inoltre, per prevenire ritardo scolastico e difficoltà di apprendimento, vengono svolte attività di sostegno scolastico e linguistico.»
Con un’attenzione intelligente: «Per far fronte a tali situazioni, gli interventi psico-sociali sono pensati per integrare e non sostituire i servizi sociali territoriali di riferimento, le ASL, le scuole. Le azioni sono dunque realizzate nella cornice della rete territoriale in quanto solo così il disagio dei destinatari viene visto e percepito con maggior rilevanza e in maniera sistemica.”
Eppure, a fine febbraio, ritornando a monte, con le attività iniziate a gennaio, sono state segnalate, per ora, solo due bambine, inviate dalla ASL RMC, che vengono seguite dall’equipe multidisciplinare per due pomeriggi a settimana. Altri due casi sono stati segnalati, ma non è stato ancora definito l’invio da parte del servizio sociale. Quindi nasce spontaneo, e giustificato, lo scoraggiamento di chi se ne occupa con passione, che non intende mollare. «Continuerò a sollecitare con tenacia e con fiducia le scuole e i servizi sociali territoriali perché collaborino al nostro lavoro, e quanto meno ci ascoltino», ci dice la Pandolfo (una lunga esperienza sul campo oltre 30 anni di professionalità, da assistente sociale, e tante cose da dire e da proporre).
Ci vorrebbe un coordinamento qualificato delle istituzioni perché le cose funzionino, sottolinea. Proprio quella carenza che – praticamente in tutt’Italia – è stata denunciata in un recente rapporto (promosso da WeWorld, associazione Bruno Trentin, Fondazione Giovanni Agnelli, CSVnet, con il titolo “Lost – Dispersione scolastica: il costo per la collettività e il ruolo di scuole e Terzo settore”) e che finisce per rendere poco efficace il lavoro svolto da tante associazioni del Terzo Settore per combattere la dispersione scolastica. Chi gestisce gli ordinari percorsi scolastici, infatti, quasi sempre (sbagliando) ritiene i volontari (ma anche professionisti utilizzati ad hoc) poco idonei a garantire percorsi formativi adatti a raggiungere gli obiettivi.
Ma la tenacia e la fiduciosa speranza – come quella della Pandolfo – potrebbero cambiare il modello di pensiero e i comportamenti.

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