AMNESTY INTERNATIONAL: NO AGLI ACCORDI CON LA LIBIA

A novembre si è rinnovato automaticamente il Memorandum Italia-Libia. In questo modo restano intatte le condizioni alla base delle violazioni dei diritti di donne, uomini, bambini

Il 2 novembre 2022 si è rinnovato automaticamente il Memorandum Italia-Libia, con cui da cinque anni i Paesi sulle due sponde del Mediterraneo si impegnano ufficialmente in “processi di cooperazione, contrasto all’immigrazione illegale e rafforzamento della sicurezza delle frontiere”. Il rinnovo degli accordi avviene automaticamente, e anche per questo l’avvenimento è passato piuttosto sotto silenzio. Ma, come ormai sappiamo, questo significa che in Libia continueranno le violazioni dei diritti umani che vanno avanti da anni. Per questo Amnesty International ha lanciato la campagna #NONSONODACCORDO – No agli accordi con la Libia, perché il nostro governo ponga fine a questo trattato. Una storia che va avanti da tanto, ormai troppo tempo. Ne abbiamo parlato con Serena Chiodo di Amnesty International. Partendo proprio dall’inizio di questa storia. «Il Memorandum Italia-Libia è un trattato firmato tra Italia e Libia firmato il 2 febbraio 2017, sotto il governo Gentiloni, che di fatto è andato a ripristinare il trattato amicizia che è stato stipulato con Tripoli nel 2008» ci ha spiegato. «È un accordo della durata di tre anni, il cui rinnovo è previsto in forma automatica. Prevede che il governo italiano fornisca aiuti economici e supporto tecnico e di addestramento a quelle che vengono definite le autorità libiche con l’obiettivo prioritario di ridurre flussi migratori». «Quello che succede in Libia è abbastanza evidente a tutti» continua. «Nel 2008 non era evidente cosa succedeva alle persone, in particolare ai migranti. Ormai sono anni che sappiamo come questa riduzione dei flussi migratori venga attuata. L’addestramento a quella che viene definita la guardia costiera libica di fatto si traduce un invio di mezzi di terra e acqua, e fondi di addestramento per coloro i quali bloccano i migranti nelle acque e li trattengono in centri di detenzione che nel memorandum vengono definiti centri di accoglienza. Nonostante numerose denunce e testimonianze, anche in loco, questo Memorandum è stato più volte rinnovato e rifinanziato. Il 16 luglio 2020 la Camera ha rifinanziato le missioni militari all’estero, e anche il Memorandum, che il 2 novembre è stato rinnovato in forma automatica dal nuovo governo, abbastanza sotto silenzio».

La Libia non ha mai riconosciuto la Convenzione di Ginevra

Memorandum Italia-Libia
La nave di vascello italiana Virginio Fasan, nell’agosto 2014, durante le operazioni di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo centrale, all’interno di Mare Nostrum. Il 14 agosto furono recuperati 1,004 rifugiati. Foto Amnesty International

Nella pratica, l’accordo si traduce in respingimenti, detenzioni arbitrarie, violenze, sfruttamento. Che cosa è filtrato all’esterno di quello che accade in Libia, sulle coste e in questi centri definiti di accoglienza? «Le voci che si sollevano dal territorio libico, in particolare dai centri di detenzione, sono numerose» ci spiega Serena Chiodo. «Abbiamo portato avanti diversi rapporti e approfondimenti focalizzati su quello che succede in Libia. Le voci sono diverse. Pochi anni è emerso un movimento, Refugees in Libya, creato e composto da persone migranti che si sono sollevate rispetto alle condizioni in cui sono trattenute in Libia e hanno manifestato a Tripoli stessa, con un certo coraggio, perché non è affatto semplice manifestare per i propri diritti in Libia. Si sono accampate davanti alla sede dell’UNHCR a Tripoli per rivendicare diritti e chiedere protezione. Protezione che non può essere data in Libia, perché è un paese che non ha mai riconosciuto la Convenzione di Ginevra Quindi andare a firmare un accordo sui flussi migratori con un paese che non ha mai firmato una convenzione sui rifugiati crea anche un vulnus. In Libia, al di là di quello che succede con i migranti, c’è una condizione di instabilità politica che rende estremamente complesso monitorare l’uso e la destinazione di questi fondi e di questi mezzi».

Memorandum Italia-Libia. Serve un sistema di monitoraggio dei fondi

Il Memorandum, come detto, prevede il sostegno, attraverso fondi, mezzi e addestramento, dei guardia coste libici, che respingono donne, uomini e bambini e li riportano in un Paese che non può considerarsi sicuro. «Nel momento in cui l’Italia rilascia dei fondi economici, delle risorse pubbliche, sarebbe quantomeno opportuno garantirne il monitoraggio» ragiona Serena Chiodo. «Noi sappiamo che dal 2017, la cosiddetta guardia costiera libica – usiamo il termine non a caso, perché è difficile riconoscere un’autorità in un paese così instabile –  ha ricevuto oltre 100 milioni in formazione ed equipaggiamenti, non soltanto dall’Italia; 45 milioni solo attraverso la missione militare italiana dedicata. Sono soldi pubblici che vengono impiegati per gli usi di cui parlavamo prima e non c’è alcun meccanismo di tracciamento e di monitoraggio». «Per cui, oltre allo stralcio del Memorandum, noi chiediamo anche un sistema di accountability, che si conosca la destinazione d’uso di questi soldi. In un Paese come la Libia il rischio è che questi fondi vadano di fatto alle milizie e ai trafficanti che sono poi la causa della continua destabilizzazione politica della Libia. È un cane che si morde la coda, un circuito vizioso. In cui quelli che perdono sono ovviamente le persone e i loro diritti, costantemente violati».

I centri di detenzione: persone trattenute in condizioni indegne per qualsiasi essere umano

Nei centri di detenzione definiti “centri di accoglienza” in Libia, le persone migranti vedono quotidianamente calpestati i propri diritti. Cosa accade davvero là dentro, come è la vita in questi luoghi? «L’accesso è garantito ad alcune associazioni governative e non governative, come Medici Senza Frontiere e dell’UNHCR» ci spiega Serena Chiodo. «Questi ingressi sono monitorati, non ci sono ispezioni casuali: queste realtà possono entrare solo quando è data loro la possibilità dalle cosiddette autorità libiche. Quello che succede in questi centri si delinea come una serie di trattamenti inumani e degradanti, come ha sostenuto anche l’ONU, che ha portato avanti approfondimenti in seno a questi centri. Queste persone, in base alla legge libica, che prevedere la detenzione dei migranti irregolari, vengono trattenute in condizioni indegne per qualsiasi essere umano, e per tempi potenzialmente illimitati, perdendo qualsiasi contatto con i parenti. E spesso l’unico contatto è un in vista di un ricatto: la loro famiglia viene ricattata affinché vengano continuamente inviati dei soldi per il rilascio della persona. Non sono poco frequenti testimonianze di persone che vengono picchiate e torturate mentre stanno al telefono con la famiglia». «All’interno di questi centri spesso sussiste un meccanismo di collaborazione tra trafficanti e guardiani. In un paese come la Libia non c’è una garanzia di tutele per le persone. C’è invece un aumento delle vulnerabilità di persone che già sono vulnerabili, perché hanno affrontato un viaggio migrazione molto pericoloso, che sono privi di documenti e il cui unico obiettivo è andare via da quel Paese».

Una politica di esternalizzazione portata avanti da tutta l’Unione Europea

Memorandum Italia-Libia
Foto Marc Silver, www.marcsilver.net

Nonostante le denunce e le testimonianze dirette di chi ha sofferto abusi, violenze e sfruttamento, l’Italia e l’Unione Europea continuano a impiegare in Libia sempre più risorse pubbliche e a considerare la Libia un Paese con cui poter stringere accordi, all’interno di un sistema basato sull’esternalizzazione delle frontiere. «La Commissione Europea ha presentato il nuovo piano d’azione per affrontare le sfide dei flussi migratori all’interno della rotta del Mediterraneo centrale» ci spiega Serena Chiodo. «Ed è un piano in cui, di nuovo, si conferma il rafforzamento e la cooperazione con i paesi terzi, tra cui la Libia, che viene citata all’interno del piano. Il Memorandum Italia-Libia non è un accordo nato da due paesi dal nulla: si inserisce in una politica di esternalizzazione portata avanti da tutta l’Unione Europea. Si è visto recentemente, con il problema degli sbarchi, quanto questo tema possa creare problematiche tra i paesi europei, e quanto questo tema non venga affrontato mantenendo il punto fermo sui diritti umani, Ed ecco che l’esternalizzazione delle frontiere viene portata avanti dall’Unione Europea attraverso dei patti di cooperazione, anche bilaterali, tra paesi membri con i paesi terzi. Nel nuovo piano di rafforzamento si riparla del rafforzamento della cooperazione, in particolare con Paesi come Tunisia Egitto e Libia, “per assicurare un miglior controllo delle frontiere e una migliore gestione delle migrazioni”. Tutte le denunce di violazione, portate avanti sia da associazioni in loco, sia dalle persone che vivono queste violazioni, sia da organismi governativi e non governativi, non hanno finora cambiato nulla. Sembra che la Commissione Europea avvalli ancora questa politica. E che il nostro Ministro dell’Interno sia a favore di questo nuovo piano».

I migranti: merce di scambio tra trafficanti o tra Stati

Rinnovare il Memorandum significa mantenere intatte le condizioni affinché proseguano le violazioni ai danni di donne, uomini, bambini e bambine: per questo è urgente che l’Italia e l’Europa riconoscano le proprie responsabilità e non rinnovino gli accordi con la Libia. Ma che speranze ci sono di uscire da questa situazione? «Una via d’uscita in realtà ci sarebbe» spiega Serena Chiodo. «Non voler vedere le violazioni che vengono portate avanti rispetto a delle persone che, quando arrivano in Italia, diventano anche titolari di protezione internazionale, è il nodo da sciogliere. L’Unione Europea e i Paesi membri non possono continuare a definire un problema l’arrivo dei migranti, quando quelli che vivono i problemi sono i migranti stessi, ed è per questo che scappano. Di fronte alle enormi problematiche che affrontano le cittadine ucraine, la dichiarazione dell’Europa è “Allarme arrivo profughi”. Non può essere questo il punto di vista: non si può vivere come un problema l’arrivo di persone in fuga, potenziali titolari di protezione internazionale. Deve cambiare l’ottica. E l’ottica cambia prima di tutto mettendo a regime delle misure di solidarietà tra Paesi membri, che esistono: come il meccanismo di relocation, il meccanismo volontario di solidarietà tra Paesi membri, che è stato reso operativo nel giugno 2022 e che prevede la redistribuzione tra gli Stati dell’UE delle persone che arrivano sul suolo europeo. Di fatto scavalcando quello che è il regolamento di Dublino, che obbliga le persone che arrivano a rimanere nel Paese dove arrivano e a portare avanti la richiesta di protezione nel primo Paese d’ingresso. La solidarietà tra Stati è uno dei principi di base dell’Unione Europea. Bisognerebbe riportare tutto a questi principi e implementarli, renderli operativi. E ampliarne i numeri. A oggi la redistribuzione sta nell’ordine di un centinaio di persone. È necessario prevedere dei meccanismi di ingresso legale e sicuro sul territorio europeo. Nel momento in cui queste persone vengono costrette ad affrontare viaggi disperati si inseriscono in meccanismi di vulnerabilità che li rendono di fatto merce di scambio tra trafficanti. Nel piano europeo sono invece merce di scambio tra Stati. Lo vediamo nel caso dell’Ucraina, nel caso dell’accordo con la Turchia, lo abbiamo visto nella Rotta Balcanica. In cui alcuni Stati la mettono su questo piano: “apriamo le frontiere se non ci date dei fondi”».

I fondi ci sono: basta cambiare gli obiettivi

Memorandum Italia-Libia
Migranti e rifugiati prima dello sbarco dalla nave vascello italiana Virginio Fasan. Foto Amnesty International.

«Quello che facciamo come Amnesty International è controllare la garanzia e la tutela dei diritti umani. Guardando quello che succede in Libia non si possono non vedere le costanti violazioni dei diritti» conclude Serena Chiodo. «E non possiamo continuare ad avallare, a renderci in qualche modo responsabili di queste violazioni con l’utilizzo di risorse pubbliche che invece potrebbero venire utilizzate per garantire percorsi di inclusione e accoglienza per le persone in arrivo, e canali di ingresso legali e sicuri, che ci sono, ma vengono implementati solo per piccoli numeri. I fondi ci sono: basta cambiare gli obiettivi. Le migrazioni non si fermeranno: solo nella rotta del Mediterraneo centrale fino ad oggi, nel 2022, sono oltre 90mila le persone sbarcate, partendo soprattutto da Libia e Tunisia. È un +50% rispetto al 2011, che riscontra anche il contesto pandemico. Ma le rotte non si fermano. Eventualmente si modificano. Serve con i Paesi di partenza una cooperazione sana, che non si ammanti di questo termine per poi portare avanti militarizzazioni ed esternalizzazioni».

 

 

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