IL GENOCIDIO DEL TIGRAY, CHE NON SI PUÒ PIÙ IGNORARE

Fame, stupri, violenze. L'Associazione delle Donne del Tigray di Roma chiede pace, protezione per le donne, corridoi umanitari

Le poche notizie, sul genocidio del Tigray, che arrivano dalle organizzazioni umanitarie che operano in loco, raccontano di una popolazione stremata, senza cibo né medicine, che sta vivendo un dramma di proporzioni immani.

 

genocidio del Tigray
Roma, 14 febbraio. La manifestazione dell’Associazione Donne del Tigray (foto Lucia Aversano)

Secondo la Caritas le persone che necessitano di aiuti umanitari sono 2,3 milioni, 1,3 sono gli sfollati interni e 60.000 le persone fuggite nel Sudan dall’inizio degli scontri. A questi si aggiungono i circa 96.000 eritrei ospiti dei campi profughi della regione, campi che risultano gravemente danneggiati. Dal 4 Novembre, data in cui il governo centrale etiope guidato da Abiy Ahmeb ha avviato una violenta repressione nei confronti delle forze del Fronte Popolare di Liberazione del Tigray (Tplf), le comunicazioni via telefono e via internet sono state interrotte, salvo che per alcune zone del sud e dell’ovest della regione; i pochi ospedali presenti sul territorio sono stati resi inutilizzabili o distrutti, così come scuole ed edifici pubblici. Mentre, secondo la Croce Rossa Etiope, sono oltre tre milioni le persone nel Tigray e nelle regioni vicine di Amhara, Afar, Benishangul – Gumuz e Snnpr che non hanno accesso al cibo, generi di prima necessità, acqua, servizi igienici e forniture mediche. Numeri che vengono aggiornati giorno dopo giorno al rialzo. La regione, già colpita duramente negli ultimi tempi da carestie, emergenza Covid e l’invasione di locuste del 2020, ha visto, in questi tre mesi di conflitto, l’aggravarsi delle condizioni di vita dei suoi abitanti, tanto da far allarmare la comunità internazionale.

La guerra sul corpo delle donne

I civili sono coloro che stanno pagando il prezzo più alto del conflitto, le violenze si stanno perpetrando in maniera feroce su loro e con particolare crudeltà sulle donne. Pramila Patten, rappresentate speciale del Segretario delle Nazioni Unite sulla violenza sessuale nei conflitti, il 21 gennaio ha rilasciato una dichiarazione in cui sottolineava la preoccupazione per «le gravi accuse di violenza sessuale che stanno avvenendo in questi giorni nella regione del Tigray e nella capitale Macallé. Ci sono giunti anche report inquietanti su persone presumibilmente costrette a stuprare membri della propria famiglia sotto minaccia di imminente violenza. Alcune donne sono state obbligate dai militari ad avere rapporti sessuali in cambio di beni di prima necessità, mentre i centri medici segnalano un aumento di domanda della contraccezione di emergenza e di test per le malattie sessualmente trasmissibili, che sono spesso indicatori di violenze perpetrate ai danni delle donne durante i conflitti.»

 

genocidio del Tigray
Le violenze sulle donne sono all’ordine del giorno

Sebbene la Patten non identifichi la provenienza dei militari accusati delle violenze, molti sopravvissuti accusano le forze pro governative Etiopi e le forze Eritree, includendo i paramilitari della regione di Amhara. La giornalista freelance Lucy Kassy, di origine tigrina ma residente ad Addis Abeba, ha pubblicato un articolo sul “Los Angeles Times“, nel quale riporta la storia di una donna rapita, segregata e violentata ripetutamente, dai militari eritrei, che hanno condotto lei e la sorella  in un edificio situato in una zona remota della regione. Dopo 15 giorni la donna, che stando alla diagnosi dei medici che l’hanno presa in carico a causa delle violenze subite probabilmente non potrà più camminare, è riuscita a scappare, ma della sorella non si ha traccia. Dalla sua testimonianza è emerso che all’interno del campo di fortuna in cui era segregata c’erano altre 8 donne tigrine.

Il genocidio del popolo tigrino

 LAssociazione donne del Tigray di Roma ha organizzato il 14 febbraio scorso una manifestazione in Piazza della Repubblica, per chiedere l’immediata interruzione del conflitto. «Siamo estremamente preoccupati per quello che sta accadendo, alcuni di noi non riescono a mettersi in contatto con i propri parenti e questa angoscia non ci fa dormire la notte». ha dichiarato Tzehainesc Cahsai, portavoce dell’Associazione, «l’accesso al cibo è quasi del tutto impossibile, quel poco che si trova è venduto a prezzi altissimi e le banche sono state tutte chiuse. Le donne sono vittime di brutali violenze da parte dei soldati, e i giornalisti vengono  continuamente minacciati di morte».

 

Tra le richieste, la riapertura dei corridoi umanitari

Quella che si è svolta a piazza della Repubblica, è solo l’ultima di una serie di manifestazioni che sono state organizzate in questi ultimi mesi a Roma per portare l’attenzione sul genocidio del Tigray. «Manifesteremo fino a quando tutte le donne che si trovano nel Tigray non siano messe in salvo, e fino a quando l’esercito Eritreo non abbandoni il nostro territorio, perché nonostante Etiopia ed Eritrea neghino il coinvolgimento nel conflitto di questi ultimi, ci sono giunte numerose testimonianze che raccontano di soldati eritrei attivi sul territorio, così come lo sono quelli di altre forze straniere tra cui le forze emiratine.  Chiediamo inoltre che vengano ripristinati i corridoi umanitari, in quanto sono stati deviati rendendo di fatto difficili gli approvvigionamenti dei beni di prima necessità».

Se avete correzioni o suggerimenti da proporci, scrivete a comunicazionecsv@csvlazio.org

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