LETTERA ALLA SCUOLA, RAIMO: LA SCUOLA SIA SPAZIO DI LIBERAZIONE

Lettera alla scuola è un libro scritto dalla III M dell’Istituto Amaldi di Roma con Christian Raimo e ispirato a Lettera a una professoressa di Don Milani. Un libro collettivo che si chiede: la scuola può essere un posto dove stare bene?

Lettera a una professoressa è il libro che don Milani e i suoi studenti della scuola di Barbiana pubblicarono nel 1967, e che fece nascere un interessante dibattito intorno alla scuola. La III M dell’Istituto Amaldi di Roma e Christian Raimo, insegnante, scrittore, politico, dopo aver letto insieme quel libro, hanno deciso di provare a fare un lavoro analogo. È nato così Lettera alla scuola (Feltrinelli Junior), ispirato, appunto, a don Milani e ai suoi ragazzi, ma calato nella scuola italiana del 2023. Non è un libro dedicato agli insegnanti, ma ai genitori: è un invito a chi fa parte della comunità scolastica a organizzarsi, a ragionare insieme su come migliorare l’esperienza educativa, l’istituzione scolastica e la società intera per diventarne veri protagonisti. Quello della III M e Christian Raimo è un libro illuminante, intenso, frutto di un lavoro enorme, un saggio sulla scuola di oggi che si legge come un romanzo (e ha una bellissima copertina di Zerocalcare). A partire da un inizio molto “cinematografico” che racconta il mondo di Castelverde, nella periferia Est di Roma, (22 chilometri dal centro di Roma, 35 minuti di macchina senza traffico, più di un’ora con il traffico). Castelverde “è Roma, ma non è Roma. è città, ma non è città, è periferia ma non lo è del tutto, o meglio è una periferia mista a campagna”.
In questa succursale con 250 alunni, un liceo scientifico, gli studenti vivono una parte importante della loro vita, e si interrogano su alcuni punti cardine della scuola di oggi: se la bocciatura sia giusta o meno e se sia possibile una scuola senza bocciature, ma con altri metodi di recupero. La dispersione scolastica, che in Italia ha cifre superiori a gran parte dei Paesi europei. L’orientamento, qualcosa che riguarda il futuro, ma che nelle nostre scuole è ancora molto arretrato. E poi quel registro elettronico che, come lo apri, ti spara in faccia la tua media voto, e i voti numerici, che non fanno altro che indurre nei ragazzi un’enorme ansia da prestazione. La scuola che vorremmo, che vorrebbero i ragazzi, deve essere altro, un “luogo desiderato e desiderante”. Ne abbiamo parlato con Christian Raimo.

Il termine bocciatura nasce dal gioco delle bocce, dallo spingere via un’altra boccia per allontanarla: è un termine già di per sé escludente. Ma la bocciatura oggi serve o no?

lettera alla scuola
Christian Raimo: «Oggi a volte si rimpiange la scuola vecchia, gentiliana. Io di quella scuola non solo non ho rimpianti, ma ne vedo i brutti cascami nella scuola pubblica. Di quei cascami dovremmo farne strame e pensare alla scuola come a un grande laboratorio di democrazia radicale»

«Una delle cose che capita è pensare alla scuola come un elemento naturale della nostra vita. In realtà è una costruzione, che può essere fatta in un certo modo o in un altro. Come è fatta la scuola è una decisione collettiva: se deve avere le bocciature o no, se la valutazione deve essere fatta con i numeri o i giudizi descrittivi sono tutte decisioni, non date una volta per sempre. La scuola può essere ripensata a partire dai principi costituzionali. In Costituzione non ci sono articoli espressamente dedicati alla funzione della scuola, ma di articoli che la prevedono libera, aperta a tutti, secondo i valori presi dall’illuminismo invece ce ne sono. L’articolo 3 detta e chiarisce il senso di qualunque attività della Repubblica: la rimozione degli ostacoli e la promozione dello sviluppo sociale. Cioè l’educazione alla democrazia. La scuola, insieme ad altre realtà, deve rimuovere gli ostacoli ed educare alla democrazia. Come farlo allora? Con le bocciature o senza? Si può partire da impressioni, capire dalle persone se quella bocciatura è servita. E dalle statistiche: chi è bocciato e ripete l’anno è riuscito a recuperare? Serve a dare più tempo a studiare? Dal punto di vista della spesa sociale è un bene? Tutte le indagini dicono “no” e “ni”, ma soprattutto “no”. Nella maggior parte dei casi le bocciature non servono, ma contribuiscono ad alimentare fragilità, ad espellere le persone da scuola, ad aumentare la dispersione scolastica. Servirebbe altro: il recupero, una modulazione diversa dei cicli e così via».

Nel libro si sottolinea come bocciatura e dispersione scolastica siano legate, ma qualche ragazzo dice che alcuni insegnanti che riescono ad interessare i ragazzi potrebbero evitare la dispersione…
«Quando parliamo di scuola dobbiamo capire che stiamo parlando di questioni sistemiche. Tutti noi abbiamo opinioni sulla scuola, perché siamo stati studenti, o genitori, o insegniamo, ma abbiamo inevitabilmente una versione parziale, perché ogni scuola è un caso a sé. La cosa migliore è partire dai dati di sistema per individuare le strategie per contrastare la dispersione. La dispersione in Italia è molto alta, parliamo quasi del 12% e polarizzata tra aree interne e aree urbane: nelle aree periferiche è molto alta, in Sicilia e in Sardegna siamo oltre il 20%. I dati dimostrano come non siamo riusciti ad avere una scuola più inclusiva che dia a tutti le stesse possibilità. Mentre non guardiamo al sistema, ciò che può accadere, di fatto, è che troviamo qualche insegnante particolarmente carismatico, eroico e capace e ci appassioniamo. E questa è la cosa peggiore che può accadere: non dobbiamo avere insegnanti modello, ma insegnanti che siano il più possibile piuttosto buoni, non alunni modello, ma studenti che siano tutti piuttosto buoni. Per me la cosa fondamentale è che quel 12% scenda a zero. Perché così è come avere tutti i giorni in classe un’ottava, una nona fila invisibile composta da tutti gli studenti che in quel momento non sono a scuola».

Veniamo all’orientamento: a quell’età scegliere è troppo presto, e nelle scelte conta spesso la famiglia, per cui la scuola tende a riprodurre il capitale culturale familiare, a continuare le scelte dei genitori e perpetrare le disuguaglianze. Come funziona l’orientamento oggi?
«Il PNRR mette un miliardo su un orientamento, per la prima volta, massivo nelle scuole statali. Per me è un disastro. Non si è fatta prima una formazione agli orientatori e ai tutor, per cui mettiamo in classe persone spesso impreparate ad affrontare un tema così importante, che riducono a piccole nozioncine rimasticate di psicologia e pedagogia e alla condivisione di procedure burocratiche. Se dobbiamo ridurre l’orientamento a questo, che insegniamo a fare Platone o Leopardi? A scuola insegniamo la storia di persone che sono andate contro tutto e tutti, dissidenti nei confronti del proprio tempo, e poi, a un certo punto, senza una minima critica, dobbiamo dare dei modelli di adesione acritica alla società. L’orientamento è fondamentale, ma occorre una formazione pedagogica seria per tutor e orientatori, che non siano quattro cose imparate on line».

Nel suo libro di parla anche del registro elettronico, che mette in evidenza, in homepage, voti e media. Ma i voti servono?

lettera alla scuola
«A scuola insegniamo la storia di persone dissidenti nei confronti del proprio tempo, e poi diamo modelli di adesione acritica alla società»

«No. Servono pochissimo, alla fine dell’anno dopo ragionamenti lunghissimi su che cos’è la valutazione. Servono invece valutazioni molto analitiche e descrittive, soprattutto formative, che permettano agli studenti di capire in cosa possono migliorare e cosa sanno già fare. Un voto non dà queste informazioni, è un timbro che crea una classifica. Se fossi l’allenatore di una squadra non mi baserei sulle pagelle dei giornali sportivi per capire se una partita è andata bene o male. Cercherei di far capire perché uno schema non ha funzionato, perché quell’allenamento ha bisogno di più tempo per mostrare i suoi effetti, perché si è scelta una tecnica che è andata bene».

Tutto questo, i voti, le bocciature, il registro elettronico portano un’ansia da prestazione che negli studenti è molto più diffusa di un tempo.
«Assolutamente. Non c’è altro.  Non provano nessun altro sentimento».

La scuola dovrebbe essere un luogo desiderato e desiderante. È un concetto che racchiude la scuola che vorremmo, insieme ad un altro, il rispetto reciproco tra insegnante e alunno.
«La scuola per me deve essere un luogo dove a un certo punto si trova uno spazio di liberazione. O è fatta per dominare o è fatta per liberare. Quello che possono fare gli insegnanti è metterci tutta la loro passione e la loro professionalità per cercare di trovare insieme una forma di liberazione, imparare e condividere tecniche di liberazione. Un’espressione di Mario Lodi, che ragiona sulla scuola quando esce dal fascismo, e dice: adesso noi sappiamo cosa è stata la scuola fascista, dobbiamo pensare a una scuola per la democrazia e per la repubblica. Altrimenti produrremo lo stesso setting di prima, una scuola autoritaria, classista. Oggi alle volte si rimpiange la scuola vecchia, gentiliana, lo fa anche il nostro ministro. Io di quella scuola gentiliana non soltanto non ho nessun rimpianto, ma vedo i brutti cascami che esistono ancora oggi nella scuola pubblica. Di quei cascami dovremmo farne strame e dovremmo pensare alla scuola come a un grande laboratorio di democrazia radicale».

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lettera alla scuolaLettera alla scuola
La III M dell’Istituto Amaldi di Roma e Christian Raimo
Feltrinelli Junior, 2024
pp. 176, € 13,30

LETTERA ALLA SCUOLA, RAIMO: LA SCUOLA SIA SPAZIO DI LIBERAZIONE

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