FRONTIERA E ORIZZONTE. MADRE E FIGLIA. QUANTE COSE È LA LINGUA

Il contributo dei migranti, e dei cittadini di nuova generazione, alla lingua italiana. Un incontro promosso dal centro Astalli

di Lucia Aversano

Nel processo d’integrazione che coinvolge i migranti, la conoscenza della lingua è un aspetto cruciale. Il Centro Astalli è da sempre portavoce della necessità di garantire l’insegnamento della lingua a tutti i rifugiati, i migranti e i richiedenti asilo che giungono in Italia. Ma, come ha affermato Padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, durante l’incontro “Lingua madre o figlia. Il contributo di migranti e cittadini di nuova generazione alla lingua italiani” tenutosi lo scorso 3 febbraio (qui, la diretta su Facebook), «forse, inconsapevolmente, siamo caduti nell’ambiguità di aver usato la lingua come ennesimo strumento discriminatorio, come un’ennesima frontiera; mentre, la lingua, dovrebbe essere orizzonte, perché essa è un organismo vivo che modella, ed è modellata da chi la parla». Su questo assunto nasce la riflessione che si è svolta presso la Biblioteca Europea di Roma promossa dal Centro Astalli, alla quale hanno preso parte due giovani scrittrici italiane, Djarah Kan e Asmae Dachan, insieme al linguista Luca Serianni, moderati da Marino Sinibaldi, presidente Centro per il Libro e la Lettura.

Italiano lingua senza impero

Se si pensa ai vari modelli d’integrazione, come ad esempio il modello assimilazionista, o quello funzionale, la lingua è, tra i fattori che entrano in gioco nel processo d’integrazione, quello più neutrale. E questo è dato dal fatto che, l’apprendimento di una lingua nuova, spiega Luca Serianni «non implica un carico di rinunce né tantomeno la cancellazione della cultura d’appartenenza: basti pensare ai bambini che hanno la fortuna di crescere bilingue: le imparano perfettamente e senza nessuna distinzione per l’una o l’altra lingua».

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Luca Serianni alla Sapienza in una foto di Stefania Sepulcri

L’italiano poi, rispetto a lingue come lo spagnolo o il francese, ha una particolarità in più, in quanto «secondo la definizione di Francesco Bruni, è una lingua senza impero: i tentativi coloniali non hanno lasciato tracce significative nelle zone che hanno conosciuto un dominio diretto dall’Italia», così come è accaduto per la Spagna. Nonostante ciò, però, «mi piace ricordare anche che», continua Serianni, «l’italiano è stato utilizzato come atto di assoluta gratuità da illustri personaggi stranieri: della regina Elisabetta I abbiamo alcune lettere scritte da lei in italiano destinate a persone non italiane, per cui l’italiano poteva essere un lusso linguistico; così come Mozart, che oltre a conoscere l’italiano si divertiva a maneggiarlo scherzosamente».

Dunque l’italiano viene appreso quale lingua di letteratura, ieri come oggi, senza nessun tipo di condizionamento esterno.

Lingua e letteratura: come ribaltare gli schemi

“Ladri di denti” è una raccolta di racconti che tenta di descrivere i rapporti tra italiani e stranieri dal punto di vista di una donna nera e italiana. L’autrice del libro è Djarah Kan, italo-ghanese, cresciuta a Castel Volturno, di recente trasferitasi a Roma. Alla domanda di Sinibaldi, il quale le ha chiesto se avesse mai avuto problemi con l’italiano, la Kan ha risposto, con un leggero accento che disvela la sua provenienza campana, che l’italiano è la sua lingua madre, anche perché la madre le ha sempre parlato solo in italiano (Djarah ha precisato che avendo vissuto i suoi primi anni di vita con una famiglia italiana, e dunque parlando solo italiano, la madre non poteva fare altrimenti), e che, nonostante la madre e le sorelle conoscessero il Twi e il broken english, lei quelle lingue non le ha mai imparate.

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La copertina di “Ladri di Denti” di Djarah Kan

«Amo esprimermi in italiano», afferma la scrittrice. «Amo utilizzare l’italiano che ho imparato a casa mia e dagli immigrati africani che vivevano con me a Castel Volturno: un italiano diverso, non scorretto grammaticalmente, ma un italiano che non racconta solo la parola come un qualcosa che ha confini stretti che si esauriscono nel significato, ma che riporta delle immagini. Molte delle immagini che io utilizzo sono una sorta di lingua di confine tra la lingua italiana per come l’ho appresa dagli italiani, e la lingua italiana per come l’ho appresa da mia madre. La mia scrittura fa leva sul rapporto visuale, io quando leggo voglio vedere, e dato che questo desiderio mi ha sempre accompagnato, ho sviluppato un modo di raccontare che passasse soprattutto attraverso gli occhi

Per lei il lavoro di scrittrice è una rivoluzione gentile, e crede fortemente che attraverso la letteratura si possano ribaltare gli schemi. Anche se, quando si trova in libreria e si vede nello scaffale della sezione migrazioni ammette di storcere il naso: «dovrei essere tra gli scrittori italiani, perché la mia storia, sebbene non lineare, fa parte di questo Paese – e si/ci domanda – cosa c’è che rende così diversa la mia storia da quella di Elena Ferrante che parla di Napoli (i cui libri sono nella sezione “corretta”), quando tutti quanti dicono che Napoli non è Italia?»

Nuove generazioni la lingua è sia madre che figlia

Asmae Dachan è invece nata e cresciuta ad Ancona, e ha origini siriane. Oltre a essere scrittrice è anche giornalista e fotografa. Ha sempre parlato e scritto in italiano, ma ha spiegato che in casa si parlava la lingua dei suoi genitori, sebbene con i fratelli parlasse la lingua che stava studiando a scuola. Per lei essere bilingue è una ricchezza anche e soprattutto perché è grazie alla sua conoscenza dell’arabo che ha potuto scrivere di ciò che accadeva in Siria.

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L’ultimo libro di Asmae Dachan

La possibilità di accedere direttamente alle fonti senza ausilio di alcuna mediazione, e la capacità di comprendere e cogliere le varie sfaccettature della lingua sono state il suo punto di forza.

Ammette però che a volte il suo bilinguismo le ha provocato anche qualche smarrimento; come ad esempio quando ha «imparato, solo verso la fine della scuola elementare, come si chiamasse in italiano lo scolapiatti perché la parola usata dai genitori era un’altra». Ma su questo Serianni l’ha prontamente tranquillizzata, spiegandole che in Italia il gli utensili hanno nomi diversi a seconda della provenienza regionale. La scrittrice ha anche affermato di essere affascinata dalla contaminazione tra le lingue, nel suo caso arabo e italiano: «ogni volta che vado in Sicilia per me è una scoperta, perché sono numerose le parole italiane legate al mare, come la darsena e tutte parole legate al mondo della nautica, che attingono alla lingua araba».

E alla domanda che da il titolo all’incontro, lingua madre o figlia, la risposta è netta: è entrambe le cose.

 

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