POLI CIVICI E RETI DI MUTUALISMO A ROMA: UNA MAPPA PER LA CITTÀ CHE VERRÀ

Terzo settore, autorganizzazione ed economie trasformative: realizzata per la prima volta una mappa del contesto romano, pubblicata all’interno di una ricerca sullo sviluppo locale delle periferie, con un nuovo approccio socio-economico per la città

Quando si parla di periferie romane, spesso lo si fa mettendo in luce le diverse problematiche che affliggono tali territori. Raramente vengono presi in considerazione gli aspetti positivi e propositivi che li caratterizzano. Per questo la ricerca Reti di mutualismo e Poli Civici a Roma rappresenta uno strumento conoscitivo preziosissimo perché, per la prima volta in assoluto, viene tracciata una mappa dell’associazionismo formale e non, che anima la Capitale.

Quello presentato venerdì 27 gennaio al Campidoglio, è un lavoro ricco e denso di dati che fotografa le tantissime realtà civiche presenti sul territorio romano. La ricerca però non si è limitata solo a mappare il protagonismo sociale, ma ha perseguito altri due obiettivi generali: lo studio di modelli ed esperienze di reti di mutualismo italiane ed estere e la co-progettazione partecipata di un Hub per l’attivazione di processi di sviluppo socio economico, nei quartieri della periferia romana.

La rigenerazione urbana deve essere un tema condiviso

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Nelle tre esperienze al Quarticciolo, a Tor Bella Monaca e all’Esquilino è concreta la possibilità di realizzare un Polo Civico

Il punto di partenza del lavoro collettivo svolto dal LabSU del DICEA (Dipartimento di Ingegneria Civile Edile e Ambientale) dell’Università La Sapienza di Roma, la Fondazione Charlemagne e l’Associazione Fairwatch è l’idea che per dar vita a una rigenerazione urbana reale, non è sufficiente la sola riqualificazione fisica ma si deve investire anche in altre dimensioni, come quella del lavoro e delle economie locali. E per far ciò la soluzione potrebbe risiedere nell’istituzione di Poli Civici attraverso l’attivazione di percorsi condivisi tra amministrazioni pubbliche, servizi territoriali e i cittadini che tali territori li abitano. Alla luce di ciò, all’interno della ricerca, oltre ad essere evidenziate le problematiche che riguardano le realtà attive sul territorio – tra cui l’eccessiva burocrazia, la mancanza di spazi e le difficoltà economiche relative alla gestione delle diverse attività – vengono fornite  alcune soluzioni presentando le tre esperienze sviluppatesi nei quartieri Quarticciolo, Tor Bella Monaca ed Esquilino. Esperienze dove è concreta la possibilità di realizzare un Polo Civico.
La presentazione di questa ricerca, secondo Carlo Cellamare, responsabile scientifico di DICEA, rappresenta il primo passo «di un percorso che può portare a trasformare queste proposte in politiche pubbliche, perché i Poli Civici sono dei motori di crescita in cui i protagonisti sono i soggetti che fanno parte dei territori.» La partecipazione dei cittadini è una condizione essenziale affinché ci sia la spinta per quel cambiamento necessario e auspicabile.

I Poli Civici

 L’idea dei Poli Civici parte da lontano. Discende dai “laboratori di quartiere” che a partire dalla fine degli anni ‘80 e l’inizio dei ‘90 erano stati avviati dall’amministrazione comunale dell’epoca. Nonostante il loro carattere innovativo però, l’impostazione top-down fece naufragare quell’esperienza che oggi viene riproposta in termini differenti. Innanzitutto i territori già esprimono tantissime iniziative. E questo è emerso chiaramente durante la pandemia. E inoltre i Poli Civici, così intesi dalla ricerca, sono contesti che oggi non guardano solo alla necessità di riqualificare i quartieri, ma devono concentrarsi anche sulla dimensione strutturale: «Esistono dei problemi strutturali», sottolinea Cellamare, «legati al lavoro e alle attività produttive, che rappresentano il punto debole delle periferie romane. Di cosa vivono le persone che abitano queste periferie? A Tor Bella Monaca per esempio c’è una forte presenza della criminalità organizzata perché essa rappresenta un’economia alternativa che prende piede proprio lì dove esistono alti tassi di disoccupazione. Quindi bisogna ribaltare questa condizione accompagnando i territori nello sviluppo di percorsi che promuovano il cambiamento».

Le periferie come le aree interne

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La ricerca rappresenta un elemento di partenza rivolto soprattutto alle istituzioni, che mette nero su bianco cosa si può fare e come

I problemi strutturali che coinvolgono le periferie sono l’eredità di un’economia speculativa che caratterizza il modello di sviluppo romano da sempre: «i nostri territori», spiega Riccardo Troisi di Fairwatch,  «sono stati massacrati da un’economia che, come una rete a strascico, ha preso quello che serviva e ha lasciato dietro di sé territori abbandonati. A Roma possiamo trovare tantissime “aree interne”, ovvero luoghi privati di una possibilità di trasformazione socio-economica. Quindi per avere una reale rigenerazione, bisogna ripensare la matrice del cambiamento della trasformazione dei territori, altrimenti rischiamo di fare delle operazione palliative, dove si fanno dei piccoli aggiustamenti, senza però incidere in nessun modo sul modello economico. I Poli Civici devono dunque essere dei veri e propri Hub di trasformazione territoriale con al centro quelle economie trasformative che sono in grado davvero di mettere in discussione il modello dominante.»
Senza però un intervento pubblico che affianchi chi opera nei quartieri, risulta difficile innescare un vero cambiamento, per questo la ricerca rappresenta un elemento di partenza rivolto soprattutto alle istituzioni che mette nero su bianco cosa si può fare e come.

La mappa del contesto romano

Tra ETS, realtà di autorganizzazioni e di innovazione sociale ed economie trasformative sono state mappate 6.259 realtà. Un panorama quasi unico in Italia che secondo Stefania Mancini della fondazione Charlemagne rappresenta una ricchezza che il pubblico non può non mettere a frutto, soprattutto ora che in ballo ci sono i fondi europei, il Giubileo e l’Expo.  «Questa rappresenta un’occasione unica per la città, e sebbene Roma sia afflitta da innumerevoli problemi, l’amministrazione comunale deve agire ora o mai più; perché se un lato positivo la pandemia lo ha avuto, è stato proprio quello di mettere in evidenza le realtà del Terzo Settore che hanno fatto emergere quel collante di solidarietà che mette al centro la persona.»

Dal punto di vista istituzionale, l’amministrazione capitolina si è mossa in tre direzioni. A spiegarlo durante l’incontro è stato l’assessore Andrea Catarci: «Abbiamo approvato il Regolamento per la gestione dei beni indisponibili, che è pensato da una parte come uscita dalle secche della 140 e dall’altra come strumento per avviare una politica espansiva rispetto all’utilizzo del patrimonio pubblico della città. Insieme a questo, abbiamo approvato il Regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni comuni, che mette al centro la relazione tra soggetti diversi dentro una logica di patto di collaborazione. Il terzo elemento sul quale stiamo lavorando è l’istituzione di un Albo della cittadinanza attiva e delle reti civiche, consultabile online». Queste azioni rappresentano solo tre ganci istituzionali, conclude Catarci, «che serviranno come base per il lavoro che andrà sviluppato nei Municipi e negli oltre 300 quartieri della città.»

Immagini tratte dalla ricerca Reti di mutualismo e Poli Civici a Roma

POLI CIVICI E RETI DI MUTUALISMO A ROMA: UNA MAPPA PER LA CITTÀ CHE VERRÀ

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