PRIMO MUNICIPIO: UN PATTO DI COMUNITÀ PER RICOSTRUIRE LA FIDUCIA

Non solo una rete, ma un percorso verso la coprogettazione, tra associazioni e Municipio. Perché nessuno resti solo, neanche domani.

Continuano ad aumentare le adesioni al Patto di Comunità nato nel I Municipio (ne avevamo parlato qui): sono ormai più di 80,  e probabilmente aumenteranno, le associazioni e gli enti non profit che hanno aderito a questo progetto, che è una risposta collettiva, coordinata, collaborativa all’emergenza in cui ci troviamo immersi, ma che in realtà vuole essere – ed è – molto di più. Ce lo spiega la presidente del Municipio, Sabrina Alfonsi.

patto di comunità
Sabrina Alfonsi

Quando  è nata l’idea del Patto di Comunità?
«È una elaborazione successiva al lavoro fatto durante il lockdown: la costruzione di una rete per dare una risposta materiale alle persone in difficoltà, a partire dai nuovi poveri e dalle fragilità che si stavano creando, in un clima sociale completamente diverso da quello di oggi, perché la paura aveva creato una coesione sociale ed emotiva e un senso di comunità… L’esempio emblematico sono le persone che cantavano dalle finestre. Oggi siamo in una situazione completamente diversa, segnata da una disperazione  più livelli, che colpisce tante categorie, tante soggettività, tante fragilità che si sono crete e questa disperazione non porta alla solidarietà, ma porta al rancore e alla abbia. Il Patto di comunità è un salto di qualità, rispetto alla Rete, perché si occupa delle tante fragilità esistenti e perché prova a dare risposte non solo emergenziali. Credo che questo nuovo modo di creare comunità possa essere una risposta per il futuro, quando finirà il problema sanitario, ma rimarrà quello economico e sociale».

La rete è molto ampia e mette insieme associazioni ed enti di terzo settore molto diversi tra loro. Riusciranno a lavorare insieme?
« La risposta è stata immediata, entusiasta e continua. È vero che si tratta di realtà associazioni molto diverse, ma questa è la nostra comunità. Riuscire a lavorare insieme, vuol dire riuscire ad integrare tutte le potenzialità della comunità del I Municipio – ma non solo, perché penso che questa rete poi porterà buone pratiche alla città nel suo complesso –. Noi pensiamo che riusciremo a lavorare insieme, perché ognuno “porta il suo portato”.

Ci sono attività che già fanno e che, se diventano patrimonio di tutti, permettono di arrivare a tutti. Se c’è uno sportello per la disabilità che dà una risposta alle famiglie per il trasporto o su come richiedere sussidi, nel momento in cui le 80 associazioni sanno che lì si può avere quella risposta, possono mandare le persone che ne hanno bisogno nel posto giusto. E così cambia completamente la percezione: non sei più solo.
In più ci sono le azioni che mettiamo in campo ad hoc, come rete. Prendiamo il caso della spesa sospesa: c’è il Municipio che fa l’accordo con la grande distribuzione e ci sono associazioni che vanno a prendere quanto lasciato delle persone, ma tutti possono dare l’indirizzo di chi ne ha bisogno. E insieme possiamo dare una risposta capillare. La rete può davvero arrivare a tutti».

Stiamo parlando solo di un coordinamento, o questo è l’inizio di un percorso di coprogettazione?
«Stiamo parlando di coprogettazione, anzi direi di un ampliamento della coprogettazione, perché noi l’abbiamo fatta con il Piano sociale di zona, che abbiamo elaborato insieme a tutte le realtà che si occupano di sociale sul territorio. Poi abbiamo fatto coprogettazioni su temi specifici: penso al piano di accoglienza per il freddo, che ci ha permesso di passare dall’emergenza ad un piano programmato. Grazie alla coprogettazione le persone che abbiamo ospitato sono state prese in carico, hanno avuto grazie uno sportello psicologico, un aiuto per le pratiche (alcune ad esempio avevano diritto ad una pensione e non l’avevano mai chiesta). Senza associazioni non avremmo potuto fare i piani personalizzati, che ci hanno permesso di togliere dalla strada il 30% di queste persone. Tanto che il 13 novembre  abbiamo fatto un Avviso Pubblico per Coprogettazione di interventi a favore dei delle persone senza fissa dimora.  Anche il Patto di Comunità entra in questa logica. Aggiungo che secondo noi il Patto di Comunità è un bene comune, perché è la costruzione di un nuovo modo di vedere la comunità e quindi stiamo cercando di coinvolgere, con un impegno economico e non solo, la Regione, attraverso la legge sui Beni Comuni, perché il Patto di Comunità possa diventare il più stabile possibile».

patto di comunitàCon una rete di partner così ampia, qual è il ruolo dell’istituzione, cioè del Municipio?
«Prima di tutto è un ruolo di indirizzo, poi di coordinamento. La presenza dell’istituzione dovrebbe anche favorire il superamento della frammentazione: lo stare dentro un contenitore istituzionale favorisce la collaborazione. Il nostro ruolo poi riguarda la presa in carico delle persone, attraverso il PUA (Punto Unico di accesso), indirizzandole al servizio più adatto a loro. Attraverso il Pua, come strumento  e il Patto di Comunità come rete, abbiamo la possibilità di prendere in carico le persone “a tutto tondo”, se così si può dire.
Tornando all’esempio della spesa sospesa: è già successo che tornando dalle consegne, il volontario  ci ha segnalato un problema, ad esempio una persona con l’Alzheimer. La rete ci permette di mappare le situazioni di fragilità e di isolamento. Così i servizi sociali possono prendere contatto.

È questa la strada per riavvicinare i cittadini alle istituzioni e ricostruire una fiducia che ormai manca da tempo, ben prima dell’emergenza?

«Certamente sì. Per noi è il punto di arrivo di quello che abbiamo costruito in questi otto anni. Abbiamo iniziato con un regolamento per la partecipazione: l’unico modo per governare in un clima di sfiducia, ed essendo un ente, il Municipio, che è più grande di un Comune medio italiano, ma che non ha la capacità  e le competenze che ha un sindaco, era di farlo insieme ai cittadini, alle associazioni, al Terzo settore. Favorendo anche la nascita di un associazionismo civico e la sua messa in rete. Tant’è vero che abbiamo promosso la nascita di associazioni dei genitori nelle scuole e le abbiamo tenute aperte oltre l’orario; abbiamo messo in rete i nostri centri anziani; abbiamo sostenuto i centri interculturali e ludoteche che per noi non sono servizi aggiuntivi, ma essenziali. Grazie a questo modo di governare raccogliamo tantissima fiducia dalla cittadinanza, non solo per quello che abbiamo fatto, ma anche per come lo abbiamo fatto. Il Patto di comunità è l’apice di questo percorso».

 

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