UN’ESTATE PIENA RASA: L’ITALIA SIA UNA REPUBBLICA FONDATA ANCHE SULLA SCUOLA

Un'estate piena rasa è la petizione lanciata da WeWorld e Mammadimerda per una scuola che tenga al centro i bisogni dei bambini e delle famiglie: apertura delle scuole a giugno e luglio e introduzione del tempo pieno dai 3 ai 14 anni

Nel corso della settimana scorsa, tra lunedì 11 e venerdì 15 settembre, i nostri bambini sono tornati a scuola. Lo hanno fatto dopo una pausa lunga, lunghissima. In Italia milioni di studenti e studentesse sono stati lontani dai banchi di scuola per 14 settimane, 3 mesi e mezzo. È la pausa estiva più lunga in Europa, che comporta perdita di competenze, aumento di disuguaglianze e casi di abbandono scolastico, soprattutto per chi viene da contesti più svantaggiati a livello socioeconomico e culturale, e un aggravio pesante per le famiglie, costrette a districarsi tra cura, lavoro e i costi di campus estivi, con grande difficoltà nel conciliare i tempi di vita e lavoro, che pesa soprattutto sulle madri.  Per questo WeWorld e Mammadimerda hanno lanciato la petizione Un’estate piena rasa, per una scuola che tenga finalmente al centro i bisogni dei bambini, delle bambine e delle loro famiglie a partire dalla rimodulazione del calendario scolastico. In concreto, le richieste sono due: l’apertura delle scuole anche nei mesi di giugno e luglio con attività extra scolastiche, e conseguente rimodulazione delle pause durante l’anno; l’introduzione obbligatoria e generalizzata del tempo pieno dai 3 ai 14 anni in tutte le scuole.

Il nostro sistema scolastico è uno dei più stressanti 

Un'estate piena rasa
«Oggi nel nostro paese abbiamo un milione e 300 mila minori che sono in povertà. Questi bambini non possono vivere un’estate piena come gli altri. La proposta di Un’estate piena rasa avanza questa idea di una scuola aperta sempre. E diventi veramente in grado di garantire opportunità per tutti». Immagine WeWorld

Sì, le ferie estive sono troppo lunghe. E non lo diciamo come quei genitori che non vogliono stare con i bambini. Anzi, lo diciamo proprio per loro. Il fatto è che il nostro sistema scolastico non solo è l’unico, insieme a Malta e Lettonia, ad avere una pausa estiva così lunga, ma è anche uno dei più stressanti. Gli eccessivi carichi di lavoro concentrati nello stesso periodo di tempo comportano effetti negativi non solo sul rendimento scolastico, ma anche sul benessere psicofisico: i bambini fanno fatica a trovare tempo per risposare, sono sotto pressione e possono arrivare a percepire la scuola come un peso. Questa riflessione non arriva all’improvviso, ma da un dibattito che dura da tempo. «C’erano state proposte in passato, una ai tempi del governo Monti», spiega Martina Albini, responsabile Centro studi di WeWorld. «La legge che propone questo sistema è anacronistica, parliamo di un decreto regio. Ci sono una serie di criticità, legate da una parte all’organizzazione delle famiglie e dell’altra alla questione del benessere e delle competenze degli studenti, su due livelli. Se parliamo di competenze, parliamo del summer learning loss, cioè della perdita di competenze durante i mesi estivi: con periodi di interruzione della didattica così lunghi si perdono competenze in lettura, scrittura, inglese. Gli altri paesi europei che non hanno calendari di questo tipo hanno dei risultati molto diversi, come dice l’ultima indagine Ocse uscita in questi giorni. E poi c’è il problema dello stress», continua. «Calendari di questo tipo, con periodi molto serrati di lezione, non prevedono mai interruzioni abbastanza lunghe che permettano di riposarsi completamente. Il nostro paese poi è particolarmente legato alla tradizione dei compiti a casa, così i ragazzi non hanno mai la possibilità di riposare. I dati Ocse ci dicono che i nostri studenti sono tra i più stressati al mondo. E questo ha ripercussioni sulla loro vita in generale».

Una scuola costruita in modo prestazionale

Quando a un bambino oggi viene chiesto “come stai?”, il primo pensiero va sempre alla scuola, che è la parte centrale della sua vita e sta diventando sempre più fonte di ansia. «Perché è una scuola costruita in modo prestazionale e i ragazzi si sentono continuamente giudicati» riflette Martina Albini.  «E sono consapevoli che la scuola li tratta in eguale maniera ma il risultato non sarà lo stesso. Il nostro è ancora un paese in cui la culla in cui si nasce conta tantissimo: i ragazzi si rendono conto che, ad esempio, il fatto di poter pianificare delle ripetizioni non è per tutti. È chiaro che chi ha accesso a risorse extra, alle librerie sul territorio, chi può fare vacanze studio all’estero ha dei tasselli in più per costruire competenze e conoscenze. La teoria del rubinetto dice che la scuola è un rubinetto e quando scorre e ne possono bere tutti, tutti ne beneficiano. Se il flusso viene chiuso, il pomeriggio e l’estate, chi quell’acqua non la può bere in casa sua, o nel territorio da cui proviene, rimane senza. La scuola non garantisce uguali opportunità a tutti. E da qui nasce la nostra proposta».

La pausa estiva: un enorme moltiplicatore di disuguaglianze

Un'estate piena rasa
«La scuola non garantisce uguali opportunità a tutti. E da qui nasce la nostra proposta». Immagine WeWorld

Sì, per come è costruita oggi la scuola, una pausa estiva così lunga si trasforma di fatto in un enorme moltiplicatore di disuguaglianze: non tutti i bambini e le bambine hanno, infatti, la possibilità di partecipare ad attività ricreative e di socializzazione, al contrario di altri che durante la pausa praticano sport, coding, imparano nuove lingue.  In Italia quasi 6 studenti su 10 (58%) delle scuole primarie statali non beneficiano di alcun servizio mensa (al Sud arriviamo a 8 su 10). Rimodulare il calendario scolastico è fondamentale per poter garantire a bambini e bambine le stesse opportunità. «La pausa estiva diventa moltiplicatore di diseguaglianze sia per la perdita di competenze cognitive ma anche per le opportunità esperienziali» ci spiega Martina Albini. «Quando parliamo di educazione facciamo un discorso più ampio, che non la semplice istruzione. È l’avere accesso a esperienze di vita, esperienze di senso che ti fanno crescere nella tua individualità e a contatto con l’altro, nel fare esperienze laboratoriali, culturali, sportive. Tutte queste cose a troppi bambini oggi sono negate. Oggi nel nostro paese abbiamo un milione e 300 mila minori che sono in povertà. Questi bambini non possono vivere un’estate piena come possono vivere gli altri bambini. La proposta di Un’estate piena rasa avanza questa idea di una scuola aperta sempre, una rimodulazione del calendario che elimini queste lunghissime interruzioni didattiche, sia l’estate sia il pomeriggio. E diventi veramente in grado di garantire opportunità per tutti».

Conciliare i tempi di vita e lavoro

Ma questa lunghissima pausa estiva significa anche una maggiore difficoltà nel conciliare i tempi di vita e lavoro, difficoltà che spesso grava esclusivamente sulle madri. Allo stato attuale delle cose, infatti, il calendario penalizza soprattutto le donne. Per questo nasce Un’estate piena rasa, che sarà possibile firmare sul sito di WeWorld e su change.org, che ha l’obiettivo di costruire un nuovo tempo scuola. «La scuola è un’agenzia fondativa delle nostre democrazie» afferma Martina Albini. «E come tale deve avere riconosciuta una pari dignità al mondo del lavoro. L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, ma vorremmo che fosse fondata sulla scuola. È chiaro che sei questi fossero i due poli sui quali deve gravitare la nostra società, questi due poli si devono muovere in maniera armonica. Nel migliore dei mondi possibili a questa riforma della scuola dovrebbe seguire un’armonizzazione degli orari degli uffici: ci sono aziende che garantiscono un’uscita che corrisponda all’uscita dei bambini da scuola, ma non tutte. Quello che noi diciamo è che il fatto di non introdurre vacanze estive vuol dire effettuare delle chiusure degli uffici scolastici ad agosto come nella maggior parte delle attività in Italia. Il resto dell’anno la scuola potrebbe rimanere aperta. Ma il punto su cui insistiamo è che l’obbligatorietà è per la scuola, non per la famiglia. I mesi in cui la scuola rimane aperta, la famiglia può scegliere se iscrivere i propri figli alle attività pomeridiane. Si tratta semplicemente di fornire l’opportunità che oggi non c’è. Ci sono famiglie in cui i genitori hanno dovuto prendere le ferie separate, o lasciare il lavoro. Siamo in crisi demografica e serve investire in politiche di questo tipo. Quest’anno i nostri studenti contavano 90mila numeri in meno rispetto all’anno scolastico precedente. Sono misure non rimandabili».

Aperture estive e tempo pieno fino ai 14 anni

Un'estate piena rasa
Per firmare la petizione Un’estate piena rasa è possibile visitare il sito di WeWorld e la piattaforma change.org

Come abbiamo scritto in apertura, sono due le richieste concrete di Un’estate piena rasa: l’apertura delle scuole anche nei mesi di giugno e luglio con attività extra scolastiche, e conseguente rimodulazione delle pause durante l’anno; l’introduzione obbligatoria e generalizzata del tempo pieno dai 3 ai 14 anni in tutte le scuole. Infatti, oggi meno di 4 studenti della scuola primaria su 10 frequentano il tempo pieno. Al Sud, solo il 18% accede al tempo pieno a scuola, rispetto al 48% del Centro-Nord. Ma è importante anche che l’attenzione arrivi fino all’età di 14 anni, coinvolgendo anche le scuole medie. «L’attenzione sul polo delle scuole medie deriva dal fatto che nel nostro Paese la spesa per l’istruzione, oltre ad essere più bassa della media Ocse – siamo al 4,2% contro la media del 5,1% – è molto sbilanciata sulla scuola primaria, che è considerata un’eccellenza» spiega Martina Albini. «Quando iniziamo a guardare le medie c’è un crollo degli investimenti. Le scuole medie sono uno snodo fondamentale, la maggior parte degli abbandoni arriva proprio alle scuole medie. È un momento in cui ancora oggi manca molto l’orientamento, è facile che sia un punto di caduta. Per questo i nostri interventi sui territori agiscono su questa fascia, quella della scuola media; insistiamo sul periodo 3-14 anni, perché sono l’età legale fino alla quale un minore non potrebbe mai trovarsi da solo. Potrebbe essere una proposta di buon senso avere una copertura pomeridiana per questa fascia». «La scuola aperta diventa un centro sociale aggregativo, un punto di riferimento per la comunità educante» continua. «Nella nostra proposta noi non tocchiamo i 200 giorni canonici di lezione che abbiamo qui in Italia. Aggiungiamo del tempo che non è riempito dalla solita attività didattica. Si farebbero attività laboratoriali, ricreative, sportive, il doposcuola. E nel tempo pieno è imperativo che i pomeriggi vengano dedicati a queste attività. Le scuole devono avere certe caratteristiche: laboratori, mense, non un allungamento del normale tempo di lezioni nel pomeriggio. Così la scuola diventerebbe un polo di riferimento per la comunità. Così abbiamo azzardato un’altra ipotesi: l’introduzione di una figura dirigenziale del tempo extra scuola, una persona selezionata con concorso pubblico a cui affidare l’offerta formativa del tempo extra scuola».

 

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UN’ESTATE PIENA RASA: L’ITALIA SIA UNA REPUBBLICA FONDATA ANCHE SULLA SCUOLA